Appunti sulla mondialità

Il ritorno della politica parte dai microchip

Una delle ricadute della pandemia che più hanno spaventato la politica è stata la messa a nudo di un rischio finora negato: il rischio, cioè, che la suddivisione internazionale della produzione fosse diventata un vulnus per la sovranità dei Paesi. Con sorpresa, la politica ha verificato che quando non si controlla più il ciclo industriale – perché delocalizzando si è dato il via all’industrializzazione di altre regioni del pianeta – la posizione di forza che in passato era esclusiva dei Paesi occidentali passa in altre mani. In un primo momento il problema era l’approvvigionamento di mascherine, guanti chirurgici e dei vari supporti per garantire il distanziamento, rigorosamente made in China; ora è la carestia dei semiconduttori che servono per fabbricare quasi qualsiasi cosa. L’Europa ha scoperto che è solo cliente di un mercato che vede Taiwan, Corea del Sud e Cina in posizione quasi monopolistica e sta discutendo un cambio di rotta che sarebbe stato imprevedibile ancora nel 2019.

L’annuncio della commissaria europea per la Concorrenza Margrethe Vestager è stato chiaro: la Commissione non soltanto continuerà a finanziare i progetti di ricerca e sviluppo sui semiconduttori ma prevede di sovvenzionarne anche la produzione. Insomma un ritorno alla vecchie pratiche del protezionismo, che ha aperto un vivace dibattito tra gli stati membri. I Paesi Bassi ad esempio, alfieri del libero mercato, scalpitano perché una corsa ai sussidi andrebbe a vantaggio degli Stati più grandi. Ipotesi realistica visti i piani di Intel, il gigante statunitense del settore che prevede di investire 30 miliardi di dollari per la produzione di microchip in Europa dividendoli tra la Germania (alla quale andrebbe la produzione), la Francia (per la ricerca) e l’Italia (per il confezionamento). La Germania si è spinta oltre, lanciando l’idea di creare un Fondo Sovrano Strategico dedicato ai semiconduttori che all’Europa costano oggi 44 miliardi all’anno, cifra che entro il 2030 toccherà gli 80 miliardi di spesa. Non è una questione solo di soldi, anche se tanti, ma anche e soprattutto di sovranità. Non è pensabile sostenere un’industria europea, da quella delle lavatrici fino a quella dei satelliti, senza produrre nemmeno un semiconduttore. Soprattutto è un grande rischio dipendere per il rifornimento da un Paese non riconosciuto e dal futuro incerto come Taiwan.

La voglia di riprendersi le produzioni strategiche non è sentita solo in Europa. Negli Stati Uniti è stato appena finanziato con 52 miliardi di dollari un capitolo specifico dell’Innovation and Competition Act dedicato ai semiconduttori, per rinforzare il settore allentando la dipendenza dai produttori asiatici.

Il mondo post-pandemico continua a stupire gli analisti perché si sta tornando a percorrere strade che nella narrazione della globalizzazione si davano per scomparse. Protezionismo, incentivi per il ritorno delle imprese, sovvenzioni, dazi. Tutti strumenti tipici della politica degli Stati. Ed è questo il protagonista della fase che si sta aprendo: lo Stato che non soltanto protegge i cittadini con i vaccini e con le limitazioni, non solo sostiene imprese e lavoratori indebitandosi, ma ora sta anche ridisegnando il mercato. Da qui derivano anche le difficoltà nel raggiungimento degli obiettivi di Parigi sul clima. Nessuno vuole regalare vantaggi ai concorrenti, anche se le conseguenze ambientali ricadranno su tutti.

Il mondo post-pandemia, ammesso che si possa considerare il Covid come un problema risolto, assomiglierà solo in parte a quello di prima. Nessuno si sarebbe mai immaginato che, in così pochi mesi, la delega in bianco che la politica consegnò all’economia 30 anni fa sarebbe stata ritirata. E questo può essere un bene, ma insieme è anche un grande rischio.

  • Alfredo Somoza

    Antropologo, scrittore e giornalista, collabora con la Redazione Esteri di Radio Popolare dal 1983. Collabora anche con Radio Vaticana, Radio Capodistria, Huffington Post e East West Rivista di Geopolitica. Insegna turismo sostenibile all’ISPI ed è Presidente dell’Istituto Cooperazione Economica Internazionale e di Colomba, associazione delle ong della Lombardia. Il suo ultimo libro è “Un continente da Favola” (Rosenberg & Sellier)

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    Lo studio del Politecnico di Milano: in Lombardia c’è un legame diretto tra smog e arresti cardiaci

    Più è alto il livello di inquinamento atmosferico, più aumenta il rischio di subire un arresto cardiaco. Uno studio del Politecnico di Milano rivela che in Lombardia c’è un legame tra i picchi di smog e la salute cardiovascolare. I ricercatori hanno analizzato oltre 37.000 casi registrati nel territorio lombardo tra il 2016 e il 2019, associandoli alle concentrazioni giornaliere degli inquinanti. Il rischio cresce nei mesi caldi e si presenta anche quando i livelli delle polveri sottili sono inferiori ai limiti di legge. Lorenzo Gianquintieri è un ricercatore del Politecnico di Milano che ha partecipato allo studio.

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    Un percorso attraverso la stratificazione sociale italiana, un viaggio nell’ascensore sociale del Belpaese, spesso rotto da anni e in attesa di manutenzione, che parte dal sottoscala con l’ambizione di arrivare al roof top con l’obiettivo dichiarato di trovare scorciatoie per entrare nelle stanze del lusso più sfrenato e dell’abbienza. Ma anche uno spazio per arricchirsi culturalmente e sfondare le porte dei salotti buoni, per sdraiarci sui loro divani e mettere i piedi sul tavolo. A cura di Alessandro Diegoli e Disma Pestalozza

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