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Alberto Vannucci: “Il decreto semplificazioni è un minestrone tossico”

Semplificazioni - Giuseppe Conte

Alberto Vannucci, professore di Scienza Politica con alle spalle anni di studi sulla corruzione, commenta a Radio Popolare il decreto Semplificazioni che il governo sta mettendo a punto in questi giorni. L’intervista di Michele Migone.

Questo decreto semplificazioni snellisce la burocrazia o favorisce i furbi?

Per quel che riguarda il versante degli appalti e le modalità con cui il provvedimento andrebbe, almeno nella sua versione circolata in bozze, a incidere su questo settore delicatissimo, devo dire che ci sono molte e fondate preoccupazioni che questo decreto abbia in futuro una valenza direi criminogena, capace poi di generare anche fenomeni di natura corruttiva o, nel nel peggiore degli scenari, favorire le infiltrazioni di organizzazioni criminali in un settore molto lucroso e che lo sarà sempre di più nel momento in cui questa massa di investimenti e di risorse pubbliche verranno a regime. Se le linee guida di questo decreto verranno mantenute, questa massa di investimenti con modalità che ricordano molto quelle della “cricca della Protezione Civile”.
La cosa che più sorprende è l’incapacità di questa classe politica e questo governo, in buona compagnia rispetto a quello che abbiamo osservato negli esecutivi precedenti, di imparare le lezioni del passato. Il modello che viene riproposto vede sostanzialmente una liberalizzazione completa degli appalti: al di sotto dei 150mila euro si procede per affidamento diretto e quindi in pratica il decisore pubblico può chiamare chi vuole, nel migliore dei casi degli amici e nel peggiore dei casi quelli che in gli offrono migliori contropartite. Poi ci sarà anche il funzionario onesto, anzi forse la grande maggioranza dei funzionari onesti opererà in modo rigoroso nel rispetto della legge, ma ne basta una quota limitata visto che gli appalti sotto ai 150mila euro sono una percentuale altissima di quelli che vengono in concreto banditi.
Fino a 5 milioni di euro si procederà con una specie di trattativa privata, ci sarà un simulacro di indagini di mercato in cui si consulteranno 5 – anche qui 5 ditte di amici o 5 ditte che hanno già fatto cartello tra di loro – per poi assegnare l’appalto a prezzi che saranno inevitabilmente fuori mercato, per ottenere poi i risultati che conosciamo come ponti che cadono, gallerie che crollano, cemento depotenziato e così via. Questo però lo osserviamo sempre troppo tardi e temo che, se questa impalcatura normativa andrà a regime, lo osserveremo tra qualche anno.
Poi c’è la figura del commissario. Per le grandi opere che potranno essere liberamente commissariate vorrà dire che ci saranno delle figure, individuate dalla classe politica che spesso tende non a privilegiare il merito e l’integrità dei funzionari ma la loro sudditanza politica, a cui verrà assegnata la possibilità di decidere tutto quello che afferisce alla gara. Questo è un modello che abbiamo già visto all’opera, è la riproposizione del modello che ha portato alla cricca della Protezione Civile. È il modello Bertolaso che si è replicato anche durante l’emergenza COVID col grande ospedale da 27 milioni di euro realizzato alla Fiera di Milano che ha ospitato 23 pazienti. Se questo è il modello che hanno in mente per far ripartire l’Italia penso che ci sia un grosso rischio di tenuta dal punto di vista della legalità delle procedure in senso più ampio.

Lei dice che la classe dirigente non ha capito le lezioni del passato, ma secondo lei il modo in cui è stato strutturato questo decreto è figlio della fretta, delle pressioni o di una cultura amministrativa?

La fretta è il pretesto. L’emergenza COVID ha determinato su basi oggettiva quella che da sempre è la condizione che le varie cricche di questo Paese hanno sempre auspicato.
L’emergenza è il terreno più fertile, inquinato ma fertile, per le pratiche corruttive. Il COVID ha determinato questa situazione di emergenza che genera fretta di spendere. Questo è stato il pretesto, ma che questo pretesto sia stato raccolto e con questa modalità mi fa temere che in realtà siano state fortissime le pressioni a livello di lobby per ottenere un provvedimento che abbia queste caratteristiche e che di fatto va incontro agli interessi economici dei grandi soggetti di questo Paese, che sono pochi e che si mettono facilmente d’accordo. È il modello del Ponte di Genova, che è assolutamente irriproducibile su scala nazionale e che adesso viene sbandierato come se fosse il grande modello da seguire. In buona sostanza c’è un funzionario pubblico, un commissario nominato dallo Stato, che si seduto in una stanza con i rappresentanti dei più grandi e potenti gruppi imprenditoriali italiani e si sono spartiti l’appalto. È questo il modello con cui vogliamo far ripartire il Paese? È un modello che in quel caso specifico ha prodotto i risultati che si auspicavano, ma che se generalizzato su scala nazionale può diventare un modello della corruzione ventura, oltre che delle infiltrazioni criminali.
C’è sicuramente una pressione di questi interessi che si sposa a perfezione con la cultura amministrativa dominante in Italia, quella di tipo giuridico-formalistico in cui quello che conta è il rispetto formale delle norme e non il risultato, e quindi la qualità dell’azione amministrativa. Questi sono gli ingredienti di ingredienti di questo minestrone tossico che è il decreto. Spero che in queste poche ore che ci separano dall’approvazione ci sia almeno un tentativo di limitare il danno.

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    Il 9 settembre, dopo 14 anni di lavori, l’Etiopia ha inaugurato ufficialmente la Gerd, la Grand Ethiopian Renaissance Dam, il più grande progetto idroelettrico d'Africa, e tra i 20 più grandi al mondo. Da anni la diga è anche causa di tensione con i paesi a valle del Nilo: Sudan e soprattutto Egitto, che temono di vedere ridotte le proprie risorse idriche, anche in considerazione dei sempre più frequenti periodi di siccità. “Questa diga sarà certamente uno degli epicentri di tensione di questa regione nel prossimo futuro” spiega Luca Puddu, docente di storia dell’Africa all'Università di Palermo, al microfono di Sara Milanese. Ascolta l’intervista andata in onda in A come Africa.

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