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Akram Aylisli, uno scrittore scomodo

Akram Aylisli, scrittore azero candidato al premio Nobel per la pace, avrebbe dovuto partecipare oggi ad un incontro a Venezia ma ieri le autorità dell’Azerbaijan lo hanno trattenuto all’aeroporto di Baku per oltre 10 ore. Lo abbiamo intervistato il giorno prima del fermo di polizia

Dopo più di 10 ore di fermo di polizia all’aeroporto di Baku, ieri sera lo scrittore azero Akram Aylisli è stato finalmente rilasciato. L’autore, 78 anni, candidato al Nobel per la pace, non potrà però prendere parte all’incontro previsto oggi a Venezia. La polizia ha impedito infatti che prendesse l’aereo per l’Italia insieme a suo figlio, alle cinque del mattino, ora locale.

Gli organizzatori del festival Incroci di Civiltà hanno diramato una nota in cui esprimono “rammarico” per la sua assenza, confermando “l’appuntamento del programma […] che verterà comunque sull’opera dello scrittore”. L’editore Guerini e Associati, che ha da poco pubblicato una traduzione del romanzo Sogni di pietra, ha dichiarato invece che “ritiene questo gesto un’intollerabile limitazione della libertà personale ed un obiettivo ostacolo alla libera circolazione delle idee e alla pacificazione, a maggior ragione in un momento socio-politico nel quale è sempre più necessaria capacità di mediazione.” La notizia è rimbalzata presto in tutto il mondo, e un articolo sul caso Aylisli è uscito anche sul Guardian.

Non è la prima volta che lo scrittore finisce sotto bersaglio nel suo paese. La pubblicazione di Sogni di pietra, quattro anni fa, l’aveva messo al centro di una campagna d’odio senza precedenti, a causa del trattamento molto libero di temi controversi in patria, come il massacro di Sumgait, uno degli episodi più sanguinosi tra gli eventi che culminarono nella guerra del Nagorno-Karabakh. Manifestazioni e roghi pubblici dei suoi libri – e persino una taglia di circa 10.000 euro messa a disposizione da un politico locale per chi avesse voluto mozzargli un orecchio – erano stati alcuni degli effetti prodotti dalla pubblicazione del suo romanzo.

Non del tutto chiare le ragioni di quanto accaduto ieri. Secondo la comunicazione ufficiale diramata dal ministero degli Interni di Baku, si tratterebbe di una conseguenza di un non meglio precisato “scontro” che lo scrittore avrebbe avuto con la polizia aeroportuale. Cosa piuttosto curiosa, se pensiamo al fatto che il romanziere ha 78 anni suonati. Giorgi Gogia, direttore di Human Rights Watch per il Caucaso del Sud – da noi interpellato – ci ha parlato invece di un “chiaro tentativo di intimidazione nei confronti di uno degli autori più bravi e coraggiosi dell’Azerbaijan”.

“Le autorità – ci ha detto ancora Gogia – non hanno spiegato all’autore i motivi per cui hanno limitato la sua libertà di movimento, ma questo fa parte delle tattiche del governo, che usa il divieto di viaggiare solo e unicamente come strumento per intimidire e perseguitare chi la pensa diversamente.”

Abbiamo intervistato l’autore azero, in esclusiva, poco prima della sua detenzione all’aeroporto di Baku. L’autore nell’occasione non ha fatto alcuna menzione dei suoi timori riguardo al viaggio che lo attendeva di lì a poche ore.

Come è nata l’idea di Sogni di pietra? Potrebbe parlare del suo lavoro su quel libro?

Credo che il dolore che ho descritto in Sogni di pietra sia nato insieme a me nel luogo descritto dal libro, ovvero nel villaggio di Aylis. Non potevo fare a meno di scrivere questo romanzo. Non l’avrei mai scritto se il conflitto tra azeri e armeni non fosse iniziato.

Anche se non molto noto al grande pubblico, quello del Nagorno-Karabakh è uno dei conflitti più polarizzati del nostro tempo. Nel suo libro si parla liberamente di episodi considerati tabù, come il massacro di Sumgait. Perché ha deciso di farlo?

Non sono stato un testimone oculare degli eventi di Sumgait. Ma quello che è successo a Baku il 13 gennaio 1990 [data in cui ebbe luogo un pogrom contro la popolazione armena della capitale azera ndr] è stata una tragedia personale per me. È impensabile che i buoni vicini di ieri siano diventati acerrimi nemici. Quanto a scrivere su argomenti “tabù” – non credo che sia qualcosa che richiede particolare coraggio. Credo che per uno scrittore sia un’azione del tutto normale, da un punto di vista etico. Uno scrittore dovrebbe esprimere onestamente valori morali e spirituali eterni. Non è colpa sua se i politici non riescono a comprendere questo punto.

Quali sono state le conseguenze della pubblicazione del libro per lei e la sua famiglia? Una volta ha parlato di “stalinismo” per descrivere quel periodo della sua vita.

La psicologia del potere non mostra alcuna tolleranza nei confronti degli scrittori che hanno una propria visione degli eventi sociali più importanti. Il potere punisce tali scrittori con crudeltà e in modo orribile. E così sono stato trattato: in un modo crudele e orribile.

Ha ricevuto segni di solidarietà nel suo paese dopo la pubblicazione del libro?

Molte persone sono state solidali con me. Molti di loro avevano paura di esprimere pubblicamente la loro opinione. Ma, nei primi giorni della mia oppressione, alcuni autori di spicco sono intervenuti in mia difesa: Tamerlan Badalov, Etibar Aliyev e Gunel Movlud. Un sostegno particolare e significativo mi è stato dato da diversi scrittori e giornalisti famosi: Andrey Bitov, Viktor Erofeev, Sergey Kaledin, Denis Gutsko, Lev Anninsky, Boris Akunin, Alla Latinina, Shura Burtin e altri.

Perché ha deciso di continuare a vivere in Azerbaijan, invece di lasciare il paese?

In primis, nessuna organizzazione e nessun paese hanno offerto condizioni accettabili per il trasferimento della mia famiglia. In secondo luogo, non ho mai avuto più di tanto desiderio di lasciare il mio paese, che non ho iniziato ad amare di meno dopo tutto quello che mi è stato fatto dalle autorità.

Quali sono i suoi progetti in corso? Sta lavorando ad alcuni libri?

Continuo a scrivere e a pubblicare. Recentemente miei nuovi racconti sono stati pubblicati in Russia, Lettonia e nel Regno Unito.

Quest’anno per la festività di Nowruz diversi prigionieri politici sono stati rilasciati in Azerbaijan. Come valuta la situazione attuale?

Sono contento per quelli che sono stati liberati. Spero che tutti i prigionieri di coscienza vengano liberati, e che in futuro neppure uno solo di loro sarà più imprigionato.

Qual è la sua speranza per il futuro dell’Azerbaijan? Pensa che avremo la pace un giorno nel Nagorno-Karabakh?

La pace in Nagorno-Karabakh richiede delle leadership in Azerbaijan e in Armenia che abbiano un quadro più ampio di questo conflitto. Leader con una visione su larga scala che si prendano cura dell’interesse comune di entrambi i popoli e della prosperità di tutta la regione del Caucaso del Sud. Fino a quando i leader di ogni paese lotteranno solo per i propri interessi nazionali, il conflitto non potrà essere risolto.

Di Simone Zoppellaro

Tratto da Osservatorio Balcani Caucaso

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    Teatro. La rivoluzione delle "piscinine" milanesi vista da due piccioni in crisi esistenziale Al Teatro della Cooperativa, a Milano ha debuttato in prima nazionale "Lo sciopero delle bambine", in scena Rita Pelusio e Rossana Mola di PEM Habitat Teatrali, compagnia che porta avanti una ricerca artista che declina contenuti civili e ironia. Lo spettacolo, con la regia di Enrico Messina, racconta una storia avvenuta a Milano nel 1902, quando le “piscinine”, che in dialetto meneghino significa “piccoline”, bambine, tra i sei e i tredici anni, che lavoravano senza diritti, sfruttate e sottopagate, ebbero la forza di scioperare e, per cinque giorni, fermare l’industria della moda della città. A raccontare la vicenda delle piscinine in scena sono due piccioni, due creature che abitano le piazze, le cui parole rispecchiano lo sguardo dei contemporanei, spesso stanchi e disillusi davanti alle sfide della storia. Nella trasmissione Cult Ira Rubini ha intervistato l’attrice Rita Pelusio.

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