
Jehad Jarbou è una giovane artista nata a Gaza nel 1999. Poeta, fotografa e artista visiva, tra sgomberi, macerie, tende, padre e fratello uccisi dall’esercito israeliano dopo i crimini di Hamas del 7 ottobre, nel 2024 s’è innamorata e sposata. A maggio ha avuto un bambino: l’ha chiamato Adam. Adāmā nell’ebraico biblico è “terra arabile”. Adamo, Adam, il primo uomo fu plasmato con polvere del suolo dal Creatore che insufflò nelle sue narici un respiro di vita. In polvere, cenere, macerie, è nato Adam. «Dio mi ha benedetto con un bambino» ha scritto Jeahad ad Alberto Figliolia poeta che con Silvana Sanson (l’iniziatrice) e Margherita Lazzati da anni lavora al Laboratorio di Scrittura Creativa al carcere di Opera. I tre hanno affidato ai detenuti attivi nel Laboratorio il bellissimo libro di Jeahad Jarbou Qui è la mia vita. Poesie e fotografie da Gaza curato da Barbara Archetti per l’Edizione dell’Affiche. I detenuti han ricambiato con poesie composte per Jehad, il marito, Adam, i gazawi prigionieri non solo da due anni del carcere a cielo aperto che è la Striscia. La poesia è il dentro e il fuori delle tragedie, per individui e sociale; riconosce e compone le alterità che potere e cieca sete di dominio negano, espellono, uccidono; rivela quanto sfugge all’Europa abulica e decaduta, alla pavida Roma, al “nuovo sceriffo alla Casa Bianca” (parola di Vance), al governo dell’imputato di crimini di guerra Netanyahu, ai coloni impuniti assassini, e cioè che si può essere liberi dietro le sbarre e che chi rinchiude tra muri un popolo e lo perseguita si incarcera a sua volta e rischia di perire esso stesso (Anna Foa, Il suicidio di Israele). «Quando Adam ha deciso di venire alla vita – ha scritto Jeahad – mentre ero in ospedale, un massacro ha avuto luogo nell’altro ospedale europeo. Ho perso la speranza nella vita in quel momento, ma quando ho sentito la voce del mio piccolo la speranza è tornata. Adam è uscito dal mio grembo portando la pace nella guerra in corso, contro di noi. Questo piccolo angelo vive nella fame e nell’interruzione di ogni mezzo di sussistenza. È il più giovane prigioniero di Gaza». Jehad poeta aggiunge: «Vi scrivo cercando tra le mie parole una pagnotta di pane». Lei e due milioni di sorelle e fratelli suoi e della Cisgiordania desiderano «il cibo di una madre». Chi crede nell’umano adamitico fatto di terra e respiro si ritrova e condivide i desideri di vita, che prevarranno nonostante terrorismi di Stato e di gruppi armati, spacconate, collusioni, convenienze, indifferenza, vergognose colpevoli impotenze.