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La guerra nei Balcani e i Nirvana a Muggia

Il tour era quello di Nevermind, uscito in Europa un paio di mesi prima. Mtv mandava “Smells like teen spirit” quotidianamente.

I Nirvana in Europa ci tornavano per la seconda volta, la prima era stata nel 1989, sempre novembre, a pochi giorni dalla caduta del muro di Berlino.

Due anni dopo a iniziare a sbriciolarsi era un Paese, la Jugoslavia, a partire dalla sua regione più a nord, la Slovenia. Il 25 giugno la dichiarazione d’indipendenza, l’invasione delle truppe dell’allora Armata Popolare Jugoslava, in maggioranza composta da serbi e dove tanti furono gli sloveni, anche tra i sottufficiali, che non obbedirono agli ordini di Belgrado. Seguì la “guerra dei dieci giorni”, 27 giugno – 6 luglio. Le truppe serbe lasciarono definitivamente la Slovenia solo a fine ottobre 1991, quando in Croazia i combattimenti erano solo all’inizio.

E’ in quei primi mesi del ’91 che all’agenzia di concerti slovena Buba Booking Promotion arriva un fax dagli Stati Uniti con la proposta di organizzare una data ai Nirvana.

Il 20 marzo l’agenzia slovena propone tre date al tour manager, la guerra non era ancora iniziata.

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Quattro mesi dopo, il 16 luglio, gli sloveni riscrivono alla band: “La situazione nei Balcani è altamente instabile, credo voi abbiate perso tutte le speranze di far venire la band da queste parti”. Nel fax l’agenzia Buba spiega la situazione in cui si trova la Slovenia, indicando fine ottobre come possibile ritorno alla normalità e proponendo di fare comunque una data sola a Lubiana.

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L’instabilità jugoslava aveva però già portato i Nirvana a rinunciare alla data, spostando il concerto del 16 novembre in Italia.

La band, e soprattutto il bassista Krist Novoselic, di origini croate, non vuole rinunciare al pubblico della ex Jugoslavia. Chiedono quindi un concerto in una città vicina al confine, così da permettere a tutti di assistere al live. Si pensa a Trieste, ma il locale individuato aveva solo posti a sedere: impensabile per un gruppo punk rock come i Nirvana.

Sblocca tutto una giovane associazione, Globogas, che in zona aveva già organizzato qualche concerto. Il live si farà a Muggia, appena fuori Trieste, al teatro Verdi, in quegli anni gestito da un gruppo di ex partigiani.

Un successo, “arrivarono 1.100 persone, la metà slovene”, ci racconta Fabrizio Comel di Globogas.

58 minuti di concerto, la scaletta: Drain You, Aneurysm, School, Floyd The Barber, Smells Like Teen Spirit, About A Girl, Polly, Lithium, Sliver, Breed, Love Buzz, Been A Son, Negative Creep, On A Plain, Blew , Talk To Me, Oh, The Guilt, Territorial Pissings.

“Non ruppero nessuno strumento”, dice Fabrizio. Ricorda un Kurt Cobain silenzioso e schivo, “ma che evidentemente parlava tanto al telefono visto che arrivò in camera una bolletta da un milione di lire”. Krist Novoselic e Dave Grohl estroversi ed euforici. “Novoselic in particolare, che incontrò anche conoscenti croati”. La sera prima del concerto sbronza collettiva al bar Nutty di Trieste, “tutti tranne Cobain rimasto in albergo”, ricorda Fabrizio. Ad addolcire il tutto, la torta fatta in casa dalla mamma di uno degli amici di Globogas, apprezzata da Novoselic e Grohl.

“Kurt era silenzioso, ci sembrava fragile. Sul palco era quasi immobile, ma la voce era potentissima”. Qualcuno ricorda di una lattina di birra finita in faccia a Cobain, “lui non si scompose”. Altro ricordo, o leggenda, un ragazzo che si lanciò dal palco e finì a terra spaccandosi una gamba.

Ascolta l’intervista completa a Fabrizio Comel dell’associazione Globogas:

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In Slovenia poi i Nirvana riuscirono a suonare, ma solo anni dopo, il 27 febbraio 1994, un concerto per le vittime di stupro nella guerra di Bosnia. Fu il penultimo concerto della band.

 

Le foto sono prese dal gruppo facebook “Nirvana in Muggia“.

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  • Autore articolo
    Roberto Maggioni
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    Con il passare dei giorni e delle settimane aumenta la confusione. Sono confuso perché non riesco a dare la dimensione giusta ad una serie di fatti che si addensano nel nostro quotidiano: le guerre, sia in medioriente che nell’europa orientale, che altrove sul pianeta; le stragi continue (penso a Gaza); il clima surriscaldato che presenta il conto. E il conto è sempre più salato a causa del riarmo. Un conto che – per essere pagato - rischia di negare ad un’intera generazione il welfare e l’idea stessa del diritto ad una cura universale e pubblica. Più armi, meno ospedali, dunque. A questo elenco vi aggiungerei anche le narrazioni che continuano ad essere propalate dal mondo digitale: l’intelligenza artificiale – dicono – presto prenderà il sopravvento sull’intelligenza biologica (recentissimi i racconti del premio Nobel per la fisica, già alto dirigente di Google, Jeffrey Hinton). La confusione è generata dal fatto che le priorità si moltiplicano. Ma se le priorità si moltiplicano, rischiano di non essere più delle priorietà. Come la mettiamo? Condividete o respingete? A Pubblica rispondono Roberto Escobar, filosofo, docente di filosofia politica e analisi del linguaggio, autore di «Metamorfosi della paura» (Mulino); e Chiara Volpato, sociologa, ha insegnato psicologia sociale all’università di Milano Bicocca, autrice di «Psico-sociologia del maschilismo» (Laterza). A Escobar e Volpato Pubblica ha chiesto di ragionare su un’altra circostanza, e cioè la percezione che si viva sempre più in un clima denso di violenza, a tutti i livelli. Dalla violenza dei potenti (le guerre, le operazioni speciali) alla violenza di genere, maschile contro le donne. C’è uno slittamento verso l’autoritarismo, il gangsterismo, hanno scritto due americanisti come Mario del Pero e Federico Romero (ieri sulla prima pagina del quotidiano Domani). E il sociologo Nando dalla Chiesa, intervenendo ad un seminario dell’Osservatorio sull’autoritarismo all’università Statale ha ricordato il legame tra la violenza contro le donne, i femminicidi, e le forme di autoritarismo.

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