Prima lo striscione del movimento giovanile del Carroccio apparso la notte scorsa davanti al consiglio regionale con la scritta: “Il Veneto ha indicato la via, ora alla Lega la Lombardia”. Poi, le parole del presidente lombardo Attilio Fontana: “Non si guardi al numero di voti nella scelta del mio successore”. Ancora, le dichiarazioni di Massimiliano Romeo, segretario della Lega lombarda: “Al Nord c’è la Lega”, e di Riccardo Molinari, capogruppo del Carroccio alla Camera: “La Lega si dimostra forza trainante al nord, con buona pace di tutti gli altri”.Un fuoco di fila che dimostra come il risultato in Veneto, con la Lega che ha di fatto doppiato Fratelli d’Italia e con l’exploit di Luca Zaia, recordman di preferenze con oltre 200mila voti, ha innescato gli attacchi dei lumbard, che ora rimettono in discussione l’accordo (già maldigerito) siglato da Salvini e Meloni, che prevedeva di lasciare il Veneto a un candidato salviniano in cambio di una prelazione dei meloniani in Lombardia nel 2028. Insomma, squadra che vince non si cambia. Un motto che anche il segretario federale Matteo Salvini ha fatto suo per molto tempo, ma che ora sembra aver accantonato. È proprio lui infatti a smorzare gli entusiasmi dei suoi: “Se Fratelli d’Italia avrà un candidato all’altezza sarò ben felice di accogliere la loro proposta”, ha detto, ribadendo anche che prima del voto lombardo ci saranno le politiche, nel 2027, e sarà in quella occasione che si capirà chi nella coalizione è più forte. Un modo per rimandare qualsiasi presa di posizione, nella speranza che qualcuno, o qualcosa, possa venirgli in soccorso. Intanto, resta schiacciato tra le pretese degli alleati e quelle dei suoi colonnelli.


