Nata a Torino da genitori del Sudan, Amira Kheir è cresciuta nel capoluogo piemontese, dove è rimasta fino ai diciotto anni. Pur vivendo nel nostro paese, Amira è stata circondata dalla cultura e dalla musica sudanesi della sua famiglia, e in Sudan è stata spesso, così da sentirsi innanzitutto sudanese. Ma anche italiana: e, trasferitasi nel 2003 a Londra, all’Italia è rimasta comunque legata. Tanto che in Alsahraa, il suo secondo album, uscito nel 2014, l’unica canzone non cantata in arabo era in italiano: e un brano cantato in italiano – Ti sento, successo metà anni ottanta dei Matia Bazar – troviamo anche nel suo quarto album, Black Diamonds, pubblicato su etichetta Contro Cultura Music e messo in circolazione in ottobre dalla Sterns.Essendoci di mezzo – come già per Alsahraa – la britannica Sterns, etichetta e distributore che da decenni si occupa di musica africana rivolgendosi al mercato mondiale, è evidente che non si tratta di strizzate d’occhio al pubblico della penisola, che deve essere l’ultima dellepreoccupazioni della Sterns, ma del naturale desiderio di Amira Kheir di esprimersi in una lingua che è sua da sempre: ma del resto non sarebbe male se Ti sento contribuisse a richiamare nel nostro paese l’attenzione su di lei, molto più affermata in Gran Bretagna e a livellointernazionale che in Italia, dove non è quasi per niente conosciuta. E’ il caso di meditare sulle motivazioni per cui a diciotto anni Amira Kheir ha pensato fosse il caso di andarsene: “sentivo che per me c’erano troppe porte chiuse – ha raccontato nelle sue interviste – e avevo l’impressione di essere bloccata in una società dove l’innovazione pareva un po’ difficile. Sono venuta a Londra per studiare, ma anche perché cercavo un posto che riflettesse di più tutte le differenze e le esperienze che avevo in me. E in questo senso Londra mi è sembrata perfetta”. “Londra – ha spiegato – ha cambiato la mia autodefinizione identitaria. È una città talmente multiculturale che quando conosci qualcuno quasi non ha senso chiedergli da dove viene”. Significativo da questo punto di vista l’assortimento dei musicisti da cui Amira Kheir è circondata in Black Diamonds: Nadir Ramzy, che collabora con lei da anni, è un suonatore di oud e vocalist originario del Sudan del Nord e specialista della musica tradizionale sudanese; il batterista e percussionista Leandro Mancini è cileno; e nel gruppo Amira ha anche qualcuno con cui può parlare italiano, il bassista veneto Michele Montolli, a Londra dal 2010. Ramzi, Mancini e Montolli li avevamo trovati anche nel terzo album di Amira Kheir, Mystic Dance, uscito nel 2018; ci sono poi fra gli altri il chitarrista britannico, piuttosto noto, Ant Law, e alla kora il gambiano Jally Kebba Susso. La varietà di provenienze dei suoi collaboratori non faccia pensare ad una world music senza bussola: a volte intima, a volte trascinante, la musica di Amira Kheir, cantante elegante e di temperamento, si conferma in felice equilibrio fra il suo background sudanese e l’apertura e la contemporaneità. A parte Ti sento, brani originali in inglese o arabo sono accostati ad arrangiamenti di canzoni sudanesi in arabo, come la popolarissima Sudani, scritta da Fadl Almula, e altri classici di autori come Abdel Rahman Alrayyah, Isa Barwi – con un brano dedicato alle donne sudanesi – e Abdel-Gadir Talodi: con questo album Amira Kheir vuole rendere omaggio alla ricchezza culturale che attraverso la sua famiglia le è arrivata dai suoi antenati, una eredità preziosa che Amira Kheir vuole preservare e valorizzare nel mondo di oggi. Se fino ad ora in Italia Amira Kheir non è stata molto notata, questi “diamanti neri” sono una nuova occasione per rimediare.


