Tre gol in poco più di 40’. Con una vittoria in finale per 3-0 contro i Paesi Bassi la Corea del Nord si è confermata campione del mondo under-17 ai Mondiali femminili di calcio. Si sono conclusi pochi giorni fa, in Marocco. Che la nazionale giovanile e femminile del Paese più isolato al mondo, governato da una dittatura totalitaria e rigidamente patriarcale, vinca i Mondiali di calcio può sembrare una sorpresa. Invece è la conseguenza di una lunga e attenta pianificazione.Fin dalla fine degli anni ‘80 il dittatore Kim Jong Il, padre di Kim Jong Un, aveva individuato nella nazionale femminile di calcio uno strumento per rafforzare il regime. Se pensare di competere con le formazioni più attrezzate del mondo può essere complicato laddove le avversarie concentrano più risorse e più attenzioni, nei tornei femminili e giovanili il divario è molto meno ampio. Negli ultimi 20-25 anni la Corea del Nord ha così creato le condizioni per poter vincere tre volte la Coppa d’Asia e tre volte i Giochi asiatici con la nazionale femminile e per conquistare, nel 2016 e nel 2024, sia il Mondiale under-20 sia quello under-17, prima del successo di pochi giorni fa.Le informazioni su come funzioni il sistema messo in piedi dal regime per avere squadre così competitive non sono molto dettagliate, il perché è facile immaginarlo: le dittature non amano la trasparenza. Molto di quello che si sa è merito della regista austriaca Brigitte Weich, autrice di due documentari sulla nazionale femminile di calcio della Corea del Nord, che ha raccontato tempo fa a Bbc Sport com’è stato seguire per anni alcune calciatrici per i suoi lavori.Il trailer del secondo documentario, uscito nel 2024, mostra le immagini di una parata organizzata per celebrare il ritorno di una nazionale coreana da una vittoria internazionale. “Tutte le calciatrici amavano il loro sport, ma le grandi motivazioni erano il leader e la nazione – ha raccontato Brigitte Weich – la gloria della nazione è tutto, l’individuo è nulla: così vengono educate” ha aggiunto. Le selezioni per le nazionali vengono fatte da osservatori diffusi in tutto il Paese. Squadre militari danno poi la possibilità alle calciatrici di allenarsi a tempo pieno a spese dello Stato. La scuola calcio centrale di Pyongyang viene vista come un traguardo ambito sia dalle atlete sia dalle loro famiglie. Nella capitale il tenore di vita è decisamente migliore rispetto alle zone rurali in cui in molti devono fare i conti con le carenze dell’assistenza sanitaria, delle risorse energetiche e, spesso, anche degli approvvigionamenti di cibo. Il calcio e lo sport sono poi una delle pochissime opportunità che le donne hanno per viaggiare fuori dal Paese. Le loro libertà e i loro diritti, per il resto, sono annullati, quando non calpestati da violenze di Stato.Il regime della Corea del Nord sfrutta i successi delle sue calciatrici per la propria propaganda. Calciatrici anche molto giovani, nemmeno maggiorenni, imparano immediatamente a sacrificare qualsiasi aspetto ludico dello sport sull’altare dei risultati. Molto, quasi tutto, a proposito della Corea del Nord resta un mistero. L’importanza delle vittorie della nazionale femminile di calcio è una delle poche eccezioni.


