
Venti miliardi di export persi e 118 mila posti di lavoro a rischio entro il 2026. Questo è l’allarme che Confindustria ha lanciato sulla perdita economica e i relativi posti di lavoro a rischio con i dazi al dieci per cento imposti dagli Stati Uniti. Sono dati che le opposizioni in questi giorni stanno rilanciando per ribadire il rischio delle misure e le decisioni trumpiane che tengono l’Europa con il fiato in sospeso ormai da mesi, alternandosi tra minacce di dazi molto alti, poi proroghe e poi di nuovo minacce, per arrivare ora al prossimo mercoledì quando scadrà la pausa che il presidente degli Stati Uniti ha concesso all’Europa. Si spera in un’altra proroga, ma Giorgia Meloni non appare molto preoccupata dall’impatto dei dazi al dieci per cento. Aveva preannunciato un parere favorevole già durante il G7, “il dieci per cento sull’export negli Usa non sarebbe così impattante”, aveva detto la più stretta alleata di Trump in Europa qualche giorno fa, ma i dati di Confindustria dicono tutt’altro. L’ottimismo di Meloni serve per non preoccupare quella filiera economica più a rischio, più minacciata dai dazi, sono le aziende farmaceutiche, la meccanica, l’elettronica, il settore agroalimentare. L’ipotesi del governo per sostenerle sarebbe quella di una revisione del Pnrr per spostare risorse economiche del piano a sostegno delle aziende più colpite, ma è un’ipotesi che va discussa e concordata a livello europeo, un’Europa che per ora è in attesa che Trump decida e l’Italia più di altri Paesi sembra in balia delle scelte statunitensi.