
“Nessun problema, sono questioni locali.” Per ora Matteo Salvini sceglie il basso profilo di fronte ad un voto in Consiglio dei ministri che altri leghisti giudicano una vera e propria decisione politica, quella di bocciare e impugnare la legge della provincia autonoma di Trento che aveva innalzato da due a tre il limite di mandati possibili per il presidente. Il governo ha impugnato la legge, e lo ha fatto a maggioranza, i leghisti hanno votato contro. Per l’opposizione, ciò che è avvenuto – cioè che un vicepremier si schiera contro una decisione e un voto del Consiglio dei ministri – dovrebbe portare alle dimissioni immediate. Ma non è così, Salvini per ora aspetta, attende i prossimi passi di Giorgia Meloni prima di decidere che tipo di contromossa fare. In Consiglio dei ministri è avvenuta una sorta di scambio, Fratelli d’Italia e Forza Italia impugnano la legge, che a questo punto coinvolge anche l’altra regione governata dalla Lega, il Friuli Venezia Giulia di Fedriga, e in cambio la Lega ottiene il via libera alla legge delega sui Lep, il primo passo per le modifiche in Parlamento dell’Autonomia differenziata. Una delega che per ora è una scatola vuota, serve solo come vessillo per dimostrare che un passo in avanti si è fatto, ma, come ha commentato Alfieri, responsabile riforme del Pd, è una delega che bypassa i rilievi della Consulta e serve solo per fare propaganda. Accade proprio oggi quando Sergio Mattarella da Venezia lancia un appello perché si difendano i principi di sussidiarietà tra le regioni, soprattutto per la sanità pubblica. La legge della provincia di Trento impugnata è la chiusura definitiva di ogni possibilità di terzo mandato per le regioni, anche se Friuli Venezia Giulia e Trentino Alto Adige sono regioni autonome, questo però impedirà ogni appiglio legislativo e giuridico alle altre regioni per chiedere deroghe per il terzo mandato, a cominciare dal Veneto, dalla Puglia e la Campania di De Luca. Un tema che attraversa entrambi gli schieramenti.