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L’onda nera sovranista atterra a Gallarate. E la Lega prova a cavalcarla

Cinema comunale di Gallarate

È un’onda nera quella che è atterrata a Gallarate, in provincia di Varese, a due passi dall’aeroporto internazionale di Malpensa. Se quantitativamente è stata meno rilevante del previsto (non erano pochi i posti vuoti nel teatro che ha visto la messa in scena sovranista, le presenze sicuramente qualcosa in meno dei 400 posti annunciati trionfalmente dagli organizzatori) qualitativamente è stata rilevante. Sul palco si è visto l’embrione di una classe dirigente futura, a livello mondiale: giovane, dialetticamente capace, connotata da una base ideologica fortemente cementata attorno a quella che, da qui in avanti, sarà la parola chiave di quel mondo: remigrazione. Che, più prosaicamente, si può tradurre in deportazione di massa. C’è da dire che nessuno dei protagonisti del summit ha nascosto l’obiettivo vero che hanno in mente, fino all’ovazione finale sulle parole di Afonso Gonçalves, fondatore del movimento Reconquista: “Il nostro non è un semplice convegno – ha detto – ma una visione. Noi abbiamo un sogno: si chiama remigrazione, per un’ Europa che tra dieci anni sarà solo degli europei, senza immigrati”. Una piattaforma politica chiara, e di destra che più di destra non si può. Su cui, a livello italiano, si è già buttato a capofitto Matteo Salvini. Ringraziata per il sostegno all’iniziativa, la Lega è sempre più profondamente dentro quell’onda nera mondiale. Lo hanno dimostrato i videomessaggi dei due neo vicesegretari del Carroccio, Vannacci e Sardone, accolti con applausi dalla platea. Lo ha dimostrato la presenza fisica in quel di Gallarate del capogruppo in consiglio regionale lombardo Alessandro Corbetta. Ancora, lo hanno dimostrato le parole del ministro dell’interno Matteo Piantedosi, per cui le parole sentite su quel palco non sono altro che “legittimi contributi”. La remigrazione, parole loro, deve diventare realtà. Speriamo di no.

  • Autore articolo
    Alessandro Braga
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    L’ONU lancia l’allarme per Gaza: “Servono più aiuti”. Ma il valico di Rafah resta chiuso

    A Gaza resta in vigore il fragile cessate il fuoco concordato a Sharm el Cheik, ma l’intesa tra Hamas e Israele è costantemente minacciata da accuse reciproche di violazione degli accordi. Al centro delle tensioni con il governo di Tel Aviv ci sono soprattutto i 19 corpi degli ostaggi non ancora restituiti dai miliziani, e il disarmo dell’organizzazione palestinese. Hamas da parte sua accusa Israele di violare la tregua e denuncia che sui corpi dei palestinesi morti in carcere e riconsegnati da Tel Aviv ci sono evidenti segni di tortura. Resta grave la situazione umanitaria: le agenzie Onu affermano che nella Striscia entra una quantità ancora troppo esigua di aiuti umanitari, mentre l’organizzazione mondiale della sanità parla di una diffusione incontrollata delle malattie infettive. Intanto il valico di Rafah resta chiuso. Giovanna Fotìa, dell’Ong WeWorld, è la responsabile dei progetti per la Palestina.

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