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Bangkok investe nelle foreste cittadine per combattere il cambiamento climatico

Bangkok

Situata sulle pianure alluvionali del fiume Chao Phraya, Bangkok, un tempo celebrata come la “Venezia dell’Est”, sta affondando, e in fretta: secondo la Banca Mondiale, il 40% della capitale thailandese potrebbe essere allagata entro il 2030. La città sta sprofondando a un ritmo di 1-2 cm ogni anno.

Fino a pochi decenni fa le comunità locali si adattavano alle stagioni umide e secche, utilizzando le barche per il trasporto e il commercio. Le tradizionali case tailandesi erano costruite su palafitte e i suoi mercati galleggianti emergevano e scomparivano con le maree, creando una vita “anfibia” speciale e dinamica. Le inondazioni periodiche sono un fenomeno tipico di questo territorio, ma con il rapido sviluppo urbano degli anni 80, la vita nelle comunità acquatiche di Bangkok si è drasticamente ridotta in pochi decenni, con i canali blu che hanno lasciato il posto sempre più alle strade grigie: ne sono stati coperti oltre 1500, e da vie d’acqua sono diventati corsi stagnanti e inquinati. La capitale che un tempo era circondata da frutteti e risaie si è trasformata in una metropoli urbana. Le palafitte hanno lasciato il posto ai grattacieli.

I cambiamenti climatici hanno anche modificato i cicli idrici, con piogge incessanti, inondazioni, ma anche periodi di siccità, e infiltrazioni di acqua salata, che danneggiando gli habitat naturali. Poi nel 2011 il dramma: una tempesta tropicale ha causato nel paese più di 800 morti, e costretto centinaia di residenti a lasciare la capitale.

Dalla tragedia si è sviluppata una riflessione che sta portando oggi a un cambiamento reale. Bangkok aveva una delle percentuali più basse di spazi verdi in tutto il sud-est asiatico, ma ora l’obiettivo è quello di costruire 500 parchi entro il 2026: le foreste cittadine aiuteranno a combattere le inondazioni, assorbendo l’acqua piovana.

A dicembre verrà inaugurata una foresta cittadina più grande del Central Park di New York City, con 4.500 alberi, spazi in cui convogliare l’acqua delle alluvioni, uno sbarramento che rallenta il flusso dell’acqua e turbine per pulire l’acqua. A questo progetto si unisce il Benjakitti Forest Park, dove un’ex fabbrica di tabacco è stata trasformata in un’altra foresta cittadina di 41 ettari da 20 milioni di dollari. Il parco funge da spugna durante la stagione dei monsoni.

Infine, l’innovativo Chulalongkorn University Centenary Park, è stato costruito in pendenza in modo che l’acqua piovana possa defluire lungo i prati e raccogliersi nel laghetto di ritenzione incorporato sul fondo. Un serbatoio nascosto sotto il parco può contenere quasi 4 milioni di litri di acqua.

Questi parchi cittadini sono stati progettati non solo per regolare le acque piovane, ma anche per pulire l’acqua contaminata e fornire un habitat per la fauna selvatica, grazie ad alberi e piante autoctone, che favoriscono il drenaggio.

Gli architetti spiegano che le città nelle regioni monsoniche come Bangkok non possono copiare i modelli sviluppati in Occidente, costruite sul cemento: servono modelli più resiliente al clima e rispettosi dell’ambiente. La chiave dunque non è come liberare la città dall’acqua, ma come vivere assieme all’acqua.

  • Autore articolo
    Sara Milanese
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    Troppo caldo, lavoratori in sciopero. 36 gradi nel capannone dove si producono componenti per i condizionatori. Il paradosso è che, in quella ditta, si producono scambiatori di calore, componente fondamentale per gli impianti di climatizzazione. Che però, nei capannoni della Emmegi di Cassano d’Adda, non ci sono. La conseguenza, temperature roventi, che superano i 36 gradi, e condizioni di lavoro inaccettabili. Per questo lavoratori e lavoratrici stanno scioperando, per ottenere almeno un po’ di refrigerio, che però al momento viene negato dalla proprietà, che anzi ha incaricato un consulente per farsi dire che “la temperatura è acettabile”. Maurizio Iafreni è Rsu Fiom alla Emmegi e responsabile della sicurezza: (foto Fiom Cgil)

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