Approfondimenti

Lo stallo al Consiglio di sicurezza dell’Onu, la crisi nel Mar Rosso e le altre notizie della giornata

Il racconto della giornata di lunedì 18 dicembre 2023 con le notizie principali del giornale radio delle 19.30. Il voto del consiglio di sicurezza dell’Onu per una stregua umanitaria a Gaza potrebbe essere posticipato ancora per evitare di incorrere in un veto degli Stati Uniti. Anche l’Italia contribuirà alla coalizione guidata dagli Usa per assicurare la sicurezza della navigazione nel Mar Rosso. L’esercito ucraino ha richiesto la mobilitazione di altri450-500.000 uomini per mantenere gli sforzi bellici. Oggi il governo avrebbe dovuto rispondere sull’impatto del Mes sulle finanze dello Stato, ma la risposta non c’è stata. È stato deciso l’ergastolo per il padre e la madre di Saman Abbas. 

Il voto sulla risoluzione per una tregua umanitaria a Gaza potrebbe slittare ancora

(di Roberto Festa)
Sembrava che si fosse arrivati a una frase in grado di ottenere quanto meno l’astensione americana, e cioè urgente sospensione delle ostilità, ma secondo fonti ONU anche questa frase non va bene agli Stati Uniti, che vorrebbero qualcosa di meno vincolante per l’operazione militare israeliana, che peraltro prosegue senza troppo curarsi degli appelli internazionali. Poco fa il ministro della difesa israeliano, Yoav Gallant, ha detto che le operazioni di terra israeliane sono destinate a espandersi ulteriormente. Le trattative a Palazzo di Vetro dunque continuano, è fondamentale per i negoziatori votare una risoluzione che non incontri il veto americano. In tutto questo, si avverte però l’imbarazzo americano, che non riesce a uscire da un’ambiguità, potremmo dire da un’inconcludenza, che ormai sembra segnare la posizione americana. Da un lato, l’amministrazione Biden dichiara un incrollabile sostegno all’intervento armato di Israele. Dall’altro, Biden non può non ascoltare le richieste che gli vengono da buona parte del mondo, e ormai anche larghi settori della sua amministrazione, perché chieda a Israele di limitare le sue operazioni militari. Solo che le pressioni dell’amministrazione su Netanyahu, almeno sinora, non sono riuscite a ottenere molto. Questo peraltro sta danneggiando Biden anche all’interno. C’è un sondaggio sul New York Times di oggi, che dice che il 57 per cento degli americani disapprova la gestione di Joe Biden. Per alcuni ha sostenuto troppo poco le posizioni israeliane, per altri ha dato mano libera a Israele nel massacro a Gaza. Alla fine, con le sue ambiguità, e con una gestione troppo debole, Biden ha perso consenso all’interno del Paese e ha perso capacità di imporre una propria linea a livello internazionale.

Cresce la tensione nel Mar Rosso

Sono dieci i paesi che parteciperanno alla missione navale nel mar Rosso per rispondere a queste minacce. Tra questi, l’Italia, come ha annunciato oggi il ministro Crosetto dopo una chiamata in videoconferenza con gli alleati. Sulla carta la missione dovrebbe servire a proteggere le navi in transito e a rispondere ai nuovi attacchi provenienti dalle milizie Houthi. La guida è statunitense. Fino a che punto potrebbe spingersi l’azione delle navi coinvolte: Gianluca di Feo è vicedirettore di repubblica ed esperto di questioni militari.


La partecipazione dell’Italia è stata annunciata questa mattina, lo dicevamo, dal ministro Crosetto. Non ci sarà un voto parlamentare poiché la nave avrebbe già dovuto portarsi nel golfo di Aden per una missione anti-pirateria europea in febbraio e dunque la partenza verso l’area è solo anticipata. La Fasan ha un equipaggio di 200 membri: cosa prevedono le regole di ingaggio? Sentiamo ancora Gianluca di Feo.

 

L’esercito ucraino ha chiesto la mobilitazione di altre 500mila persone

L’Ucraina non sta perdendo la guerra e resta fiduciosa sul sostegno anche in termini economici e militari degli Stati Uniti e dell’Europa: così il presidente ucraino Zelensky da Kiev, rispondendo alle domande dei giornalisti stranieri, nella conferenza stampa di fine anno.
Una delle dichiarazioni più importanti fatte dal presidente ucraino riguarda la richiesta dell’esercito di mobilitare nelle forze armate altre 500mila persone.

 

Il governo rinvia il parere sul Mes

(di Anna Bredice)
Una continua tecnica di rinvio quella messa in atto dal governo sul Mes: aspettare, rinviare anche con cavilli tecnici per capire come va a finire la trattativa sul Patto di stabilità, atteso per domani e poi eventualmente decidere il definitivo rinvio a gennaio. Oggi si è assistito a questo spettacolo nella Commissione Bilancio alla Camera dei deputati, il governo doveva rispondere sull’impatto del Mes sulle finanze dello Stato, ma la risposta non c’è stata, il governo ha chiesto di rinviare tutto a domani, quando infatti si riunirà l’Ecofin. Le opposizioni a quel punto hanno tutte insieme lasciato i lavori della Commissione, mettendo in risalto la scelta di dilatare i tempi pur di non rispondere ancora con un sì o un no al Fondo salva Stati. Tutto si svolge sul filo di pochi giorni, il Mes infatti è in calendario nei lavori di Montecitorio, potrebbe addirittura arrivare in aula giovedì, domattina la riunione dei capigruppo deciderà i tempi dei prossimi provvedimenti da votare, in attesa della legge di bilancio subito dopo Natale. È quasi certo che nell’incontro tra i capigruppo l’opposizione non vorrà rinviare, si potrebbe quindi arrivare in Aula con il Mes e il governo chiedere di votare il rinvio, ma aprendo una discussione e un voto sullo slittamento, il che mostrerebbe pubblicamente la difficoltà del governo. In pochi giorni si concentrano temi difficili per il governo che hanno a a che fare con i conti pubblici: la manovra economica al Senato da votare con la fiducia e con qualche malumore della maggioranza; l’Ecofin domani per il quale Meloni spera in una proroga della sospensione fin dopo le europee e poi il Fondo salva Stati, questione che si trascina da tempo.

I genitori di Saman Abbas condannati all’ergastolo

Oggi è stata emessa la sentenza di primo grado sull’assassinio di Saman Abbas, la 18enne pakistana scomparsa nel 2021 a Novellara, in provincia di Reggio Emilia. I suoi resti furono trovati solo nel novembre 2022 e questo pomeriggio è stato deciso l’ergastolo per il padre e la madre della ragazza, giudicati colpevoli di aver ordinato la sua uccisione. Ad assassinarla secondo il tribunale è stato lo zio Danish Hasnain, condannato a 14 anni di carcere. Assolti invece due cugini della ragazza, che secondo la tesi dell’accusa fu uccisa perché aveva rifiutato un matrimonio forzato con un uomo residente in Pakistan.

Nuove accuse a Chiara Ferragni

(di Massimo Alberti)
Per ora, l’ “affare uova” di Chiara Ferragni è una notizia giornalistica. Che potrebbe trasformarsi in un nuovo intervento dell’antitrust, o addirittura finire in procura, così come per i pandori. Lo schema sembra analogo: una campagna di marketing per la vendita di un prodotto fatta passare come beneficenza, che rappresenta invece una goccia nell’oceano. Al di là di meme e polarizzazione sui social – i milioni di persone che seguono Ferragni non sono noccioline, per quanto non tutti reali, la vicenda pone diversi interrogativi. Il primo economico: le conseguenze su un impero di 40 milioni di euro che vive proprio di marketing digitale, dove la vendita del prodotto consegue alla vendita del marchio, in questo caso Chiara Ferragni stessa. Dove nulla è lasciato è casuale: comprese le scuse, in grigio, già visto e non è un caso, nel video di scuse e lacrime di Aboubakar Soumahoro. Cosa faranno ad esempio, ora, i marchi di cui è volto l’imprenditrice? Il brand Ferragni infatti vive della sua stessa reputazione, e qui si crea il primo equivoco: quanto la beneficenza serve al posizionamento finalizzato al marketing, così come alcune prese di posizione su temi civili, che scaldano proprio quel pubblico-cliente disposto poi a spendere per i suoi prodotti. Non è questione da poco e va oltre il semplice tema “influencer”, perché qui, come abbiamo visto, da un lato c’è un pubblico pagante,dall’altra chi guadagna. I follower naturalmente giurano sulla buona fede, gli oppositori alla truffa. Alla base, però, c’è la gran confusione che sottolinea la studiosa Rosa Fioravante, dove beneficenza, marketing, imprenditoria digitale, attivismo presunto, anziché star separati come sarebbe sano si confondono in figure come i Ferragni. Nessuno è davvero in grado di dire dove si ponga l’asticella. L’antitrust ha iniziato a fare un po’ di chiarezza. Ma in queste sovrapposizione, una delle forme contemporanee del capitalismo, sta il successo dell’impero economico. La cui caduta o salvezza è un fatto sociale, le eventuali conseguenze giudiziarie solo un pezzo della storia.

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    1) La guerra in Sudan continua e la crisi umanitaria si allarga. Le responsabilità, però, vanno ben oltre i confini del paese africano. (Giulia Chiopris - MSF, Emanuele Valenti) 2) “La guerra non si è fermata ha solo cambiato volto”. A Gaza la pace non esiste: almeno 236 palestinesi sono stati uccisi dall’entrata in vigore del cessate il fuoco. (Ezzideen Shehab) 3) “Maduro ha i giorni contati”. A colpi di raid e fake news, Donald Trump tenta di sollecitare la spallata interna al regime venezuelano. (Alfredo Somoza) 4) Spagna, a un anno dall’alluvione di Valencia l’indignazione popolare costringe il governatore Mazon alle dimissioni. (Giulio Maria Piantadosi) 5) Messico, l’omicidio del sindaco di Uruapan Carlos Manzo, che voleva rompere il compromesso sempre più stretto tra politica e narcotrafficanti. (Andrea Cegna) 6) New York, la vigilia. Domani il voto per il sindaco della città, un’elezione guardata con attenzione anche da Washington. (Roberto Festa) 7) Belem 2025, ultima chiamata. Il diario della Cop30: temi, obiettivi e sfide. (Alice Franchi)

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