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Il governo nel caos sul Pnrr, la battaglia per il controllo di Bakhmut e le altre notizie della giornata

Ucraina Kiev ANSA

Il racconto della giornata di lunedì 3 aprile 2023 con le notizie principali del giornale radio delle 19.30. Dopo i ritardi sul PNRR ammessi da Fitto, la Lega vorrebbe cambiare la destinazione dei fondi o valutare se rinunciare a una parte dei finanziamenti. I 209 miliardi del PNRR sono un fiume da mille rivoli di mille capitoli di spesa, alcuni più imponenti di altri, ma ciascuno con proprie specifiche criticità che causano non tanto e solo lentezze, quanto l’incapacità di spendere i soldi che arrivano. Questa mattina a Milano la sottosegretaria all’istruzione Paola Frassinetti, di Fratelli d’Italia, ha reso omaggio a Fausto Tinelli. Kyiv nega che i russi abbiano preso il controllo del centro di Bakhmut; intanto in città si continua a combattere strada per strada.

La Lega propone di alzare bandiera bianca sul Pnrr

(di Michele Migone)
“Forse sarebbe meglio rinunciare a una parte dei fondi a debito” – ha detto il capogruppo alla Camera Riccardo Molinari.  “Il problema sono i vincoli di spesa e occorre chiedersi se serva veramente impiegare così tanti fondi su certe partite”. La sua uscita è stata l’ennesima dimostrazione delle difficoltà, del caos in cui si trovano il governo e la maggioranza nella gestione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. Basta seguire la cronologia della giornata. Mezz’ora dopo che le agenzie avevano rilanciato le parole di Molinari, a Verona, a Vinoitaly, Giorgia Meloni rilasciava invece una dichiarazione rassicurante ai giornalisti presenti: “Non sono preoccupata per i ritardi. Non facciamo allarmismo. Non voglio rinunciare ai fondi”. Una pezza, ma insufficiente. Perché il fuoco di fila delle opposizioni è partito subito. Il PD, Azione, i 5Stelle hanno chiesto subito a Meloni di andare in Parlamento a spiegare a che punto siamo con i ritardi e cosa intende fare il governo per evitare di perdere i miliardi europei della terza tranche. Per smorzare le polemiche, allora Palazzo Chigi ha fatto uscire una nota in cui ha ribadito che il governo non vuole rinunciare ai fondi, ma che “il piano deve essere rimodulato eliminando i progetti che non possono essere portati a termine nel 2026”.  Dietro l’atteggiamento del governo si intravvede non solo l’incapacità dell’esecutivo di gestire i ritardi ma alcune scelte sbagliate che hanno a loro volta provocato una dilatazione dei tempi, come lo spostamento della cabina di regia dal ministero dell’economia alla presidenza del consiglio, e il il braccio di ferro tra i partiti della maggioranza per spostare le risorse su altri progetti. Osvaldo Napoli, deputato di lungo corso, ha poi una sua chiave di lettura per spiegare l’uscita di Molinari: la Lega fa pressioni sulla Meloni sul Pnrr per costringerla a cedere sulle nomine delle partecipate e dare a Salvini le poltrone che vuole.

Perché non riusciamo a spendere i soldi del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza

(di Massimo Alberti)
I 209 miliardi del PNRR sono un fiume da mille rivoli di mille capitoli di spesa, alcuni più imponenti di altri, ma ciascuno con proprie specifiche criticità che causano non tanto e solo lentezze, quanto l’incapacità di spendere anche i soldi che arrivano: finora solo il 6%, secondo quanto puntualizzato dalla Corte dei Conti. Con i soldi delle rate su cui l’Italia è in ritardo, resterebbe la difficoltà di spenderli. Di due temi si è parlato molto: la carenza di personale nel pubblico, per cui comuni, ma pure ministeri, vedi alla voce ambiente, non riescon a far progetti per i miliardi a loro destinati. Il piano prevedeva assunzioni a tempo, avviate dal governo Draghi, ma per nulla attrattive sul mercato del lavoro. Ciò causa l’altro problema, gli appalti lenti. Anziché investire in personale i governi Conte e Draghi hanno introdotto deroghe diventate strutturali con Meloni. Salvini prova così a salvarsi dai forti ritardi sulle infrastrutture sotto il suo ministero, colpito anche dall’aumento generale dei costi dovuto all’inflazione. Poi ci sono problemi specifici su alcuni punti, come la sanità. Il piano non mette nulla sulla carenza di decine di migliaia di medici e infermieri. E così le case di comunità, le aggregazioni territoriali di medicina di base, sono un flop. Perché non ci sono i medici a riempirle. In questo quadro il governo gioca alle tre carte: rimandare alcuni progetti, posticiparne altri, rinunciare ad alcuni anche se non si può dire, nel contesto di un negoziato con l’Europa che magari permetterebbe anche piccolo cabotaggio su qualche centinaia di milioni, tra gli stretti paletti europei, da spostare su progetti di clientele dei partiti e ritenuti fattibili. Mentre le imprese, non paghe di 38 miliardi di incentivi già previsti, ne vorrebbero gestire direttamente altri. Senza che nessuno metta mano al problema di fondo, e non nuovo, di un paese che si trova privato della struttura per funzionare anche quando i soldi ci sarebbero.

La destra in doppiopetto cerca la “pacificazione”

(di Lorenza Ghidini)

Questa mattina a Milano la sottosegretaria all’istruzione Paola Frassinetti, di Fratelli d’Italia, ha reso omaggio a Fausto Tinelli, ucciso nel marzo 78 insieme a Lorenzo Iaio Iannucci. Una iniziativa che si iscrive nel filone inaugurato da Ignazio La Russa col suo discorso di insediamento alla Presidenza del Senato, quando nominò proprio Fausto e Iaio, insieme a Sergio Ramelli, per dire che è ora di lasciarsi alle spalle gli anni 70 e la violenza politica.

“Negli anni 70 c’è stata una guerra tra giovani, oggi sono qui per portare un messaggio di pacificazione”.
Paola Frassinetti arriva al Brera a bordo di una utilitaria, con un mazzo di fiori da deporre sotto la lapide che ricorda Fausto Tinelli, allora alunno di quel Liceo [CONTINUA A LEGGERE]

A Bakhmut si continua a combattere strada per strada

(di Emanuele Valenti)

A Kyiv negano che i russi abbiano messo la loro bandiera sul municipio della città, come aveva detto ieri il capo dei mercenari di Wagner, Prigozhin.

Entrambe le dichiarazioni sono difficilissime da verificare. La zona è off limits per i giornalisti e proprio in questi giorni il ministero della difesa ucraino ha stretto molto sulle dichiarazioni, ufficiali e non ufficiali, alla stampa, soprattutto da alcune zone. La prima è proprio Bakhmut.

Sappiamo però alcune cose: il municipio è nella parte più orientale del centro città, alla quale i russi si sono avvicinati da tempo. Così come da nord e da sud. E gli stessi ucraini, come abbiamo detto, ammettono che si combatta nelle strade, metro per metro. Ma sappiamo anche che in passato altre dichiarazioni di Progozhin sono state smentite dal corso degli eventi.

Probabilmente la zona del municipio è contesa e potrebbe anche essere che  a un certo punto le truppe di Kyiv decidano di tenere e difendere i quartieri occidentali. In questo momento il loro obiettivo a Bakhmut è infliggere il maggior numero possibile di perdite al nemico in attesa di una contro-offensiva.

Anche secondo gli americani la resistenza degli ucraini nella città del Donbas va avanti.

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    Sabato 20 e domenica 21 settembre al Paolo Pini di Milano si terrà la prima edizione del Godai Fest, il festival multidisciplinare che unisce la musica alle arti performative e visive nato da un’idea del musicista Rodrigo D’Erasmo, del produttore Daniele Tortora e dell’artista visivo Cristiano Carotti per abbattere i recinti di genere e di partecipazione, connettere le arti, sperimentare nuovi linguaggi, ampliare le visioni. L’arte, in tutte le sue declinazioni, sarà protagonista di un viaggio attraverso i 4 elementi della cultura umana (Fuoco, Terra, Acqua, Aria) ai quali si aggiunge, secondo la filosofia orientale, il principio del Vuoto. Ad ogni elemento corrisponde un curatore: Rodrigo D'Erasmo in questa intervista di Elisa Graci e Dario Grande a Volume ci ha presentato il concetto e il programma di questo festival.

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    Il 9 settembre, dopo 14 anni di lavori, l’Etiopia ha inaugurato ufficialmente la Gerd, la Grand Ethiopian Renaissance Dam, il più grande progetto idroelettrico d'Africa, e tra i 20 più grandi al mondo. Da anni la diga è anche causa di tensione con i paesi a valle del Nilo: Sudan e soprattutto Egitto, che temono di vedere ridotte le proprie risorse idriche, anche in considerazione dei sempre più frequenti periodi di siccità. “Questa diga sarà certamente uno degli epicentri di tensione di questa regione nel prossimo futuro” spiega Luca Puddu, docente di storia dell’Africa all'Università di Palermo, al microfono di Sara Milanese. Ascolta l’intervista andata in onda in A come Africa.

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