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Otto mesi fa l’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina

invasione russa - guerra ucraina Kiev ANSA

Otto mesi di guerra in Ucraina hanno confermato una serie di cose, ma ne hanno anche dette di nuove. Di sicuro con l’invasione russa il conflitto è entrato prepotentemente in una nuova fase, molto diversa dalle precedenti. Vale lo stesso per i rapporti tra Russia e Occidente.

Allo stesso tempo però per comprendere quello che è successo dal 24 febbraio a oggi è necessario sapere anche cosa ci sia stato prima. La crisi ucraina continua a svilupparsi su tre piani, strettamente legati tra loro.

Un piano nazionale, ucraini che combattono contro ucraini. Da una parte le forze armate di Kyiv, dall’altra quelle alleate con la Russia nel sud e nell’est del paese, gli ucraini che si sono schierati con Mosca e combattono al suo fianco. Una dinamica che si sviluppa, con tutte le sfumature del caso, sulla classica divisione del paese tra aree russofone a est e aree culturalmente e storicamente più propriamente ucraine a ovest.

Un piano regionale, Russia contro Ucraina. L’invasione del paese vicino decisa da Putin ha confermato quello che fino al 24 febbraio i russi negavano, e cioè che fossero direttamente coinvolti nel conflitto a bassa intensità nel Donbass cominciato nel 2014. Il Cremlino continua a vedere l’Ucraina come uno stato illegittimo e sfrutta le sue divisioni interne.

Infine il piano internazionale, la contrapposizione tra Russia e Occidente. Le armi americane ed europee hanno permesso a Kyiv di resistere, e in questo momento addirittura di contrattaccare.

Gli ultimi otto mesi di invasione russa hanno confermato anche altre dinamiche. Per esempio la determinazione russa di cambiare lo status quo e di guadagnarsi un ruolo internazionale in contrapposizione all’Occidente. Qualcosa di simile era già successo in Siria. Oppure l’estrema difficoltà a trovare un terreno di dialogo tra le parti – a livello regionale e internazionale – e per quanto riguarda europei e americani la difficoltà a comprendere a pieno le intenzioni del Cremlino.

Quanto successo nelle ultime settimane ci spiga anche quanto siano legati i tre piani che abbiamo citato. La contro-offensiva ucraina è possibile sì grazie alle armi occidentali, ma anche alla compattezza della società, la cui maggioranza sembra convinta della necessità di resistere all’invasione. Un elemento a volte difficile da comprendere da fuori.

Le armi dall’estero sono indispensabili, ma non sufficienti. In molte regioni dell’est – da secoli nell’orbita di Mosca – c’è molto più senso di appartenenza allo stato ucraino. In fondo la Russia ha colpito proprio il loro territorio.
La crisi ha vissuto diverse fasi. L’invasione russa, la resistenza ucraina, la ritirata delle truppe di Mosca dal nord, la battaglia nel Donbass e l’occupazione da parte di Mosca di quella fascia di territorio che va dalla Russia alla Crimea, la contro-offensiva ucraina.

L’esito rimane incerto, soprattutto per le possibili mosse di Putin. Nelle ultime settimane il Cremlino ha messo sul tavolo diverse carte: la mobilitazione di centinaia di migliaia di riservisti, l’annessione dei territori occupati, la minaccia del nucleare, gli attacchi sulle infrastrutture civili, adesso la narrazione di un imminente utilizzo, da parte ucraina, di una bomba sporca. E l’esito è sempre più incerto man mano che sono sempre più evidenti le debolezze russe.

Ricordate che a fine febbraio molti pensavano che Putin potesse occupare velocemente tutto il paese? Non è andata così e nei prossimi giorni i russi potrebbero perdere addirittura la città di Kherson, sopra la Crimea, quindi di vitale importanza per Mosca. A un certo punto Macron disse che Putin non andava messo nell’angolo. Il presidente francese venne criticato da molti in Europa, ma anticipava un rischio, oggi reale. Non è in discussione la vittoria o la sconfitta di una delle due parti, ma quello che potrebbe succedere dopo un’ultima mossa estrema del Cremlino.

  • Autore articolo
    Emanuele Valenti
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    Società Civile per il No. È nato il comitato, promosso da vari esponenti della società civile, da sindacati, associazioni e realtà democratiche, che sostiene le ragioni del No al referendum costituzionale sulla riforma della Giustizia del Guardasigilli Carlo Nordio. Presieduto da Giovanni Bachelet, il comitato ha nel direttivo nomi importanti come il segretario della Cgil Maurizio Landini, la presidente di Libertà e Giustizia Daniela Padoan e l’ex ministra Rosy Bindi. I principali punti del comitato vertono sul fatto che una magistratura autonoma, indipendente, che non guarda in faccia a nessuno sia una cosa che conviene ai cittadini. Il prossimo 10 gennaio a Roma si terrà la prima assemblea generale, per la partenza della campagna referendaria, che vedrà la nascita di comitati territoriali in tutta Italia per lanciare una campagna informativa sulle ragioni del No. “Riteniamo che sia una battaglia per evitare che venga minato un principio fondamentale della nostra democrazia”, ha detto Rosy Bindi, che fa parte del direttivo del comitato, nella nostra trasmissione Radio Sveglia. L'intervista di Alessandro Braga.

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