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La Premier League ai tempi della Brexit

Sabato 13 agosto ricomincia il campionato più ricco e seguito dell’orbe terracqueo, in quella che sarà la prima stagione post referendum sull’uscita del Regno Unito dall’Unione europea. Per ora gli effetti della Brexit non si sono ancora visti. E come potrebbe essere altrimenti, dal momento che il famoso articolo 50 del Trattato di Lisbona non è stato ancora attivato (quindi rimane tutto invariato) e soprattutto che la massima divisione inglese si appresta a vivere l’ennesimo episodio di una Eldorado calcistica apparentemente senza fine.

I nuovi contratti per la cessione dei diritti televisivi in patria e all’estero per il periodo 2016-19 frutteranno un totale di 8,5 miliardi di sterline (10 miliardi di euro, +70 per cento rispetto al triennio precedente). I 20 club della Premier sguazzeranno nel denaro, tanto che il fatturato complessivo della lega dovrebbe raggiungere i 5,6 miliardi di euro a fine 2016-17 (era 4,4 nel 2014-15). La Serie A non arriva nemmeno a due miliardi, tanto per capirci.

Non è un caso allora che il Manchester United, compagine quest’anno nemmeno impegnata nella lucrosa Champions League, abbia potuto staccare un assegno di 105 milioni di euro per riportare all’Old Trafford Paul Pogba – inviso ad Alex Ferguson e per questo scappato alla Juventus nel 2012, quando aveva soli diciannove anni. Se appare addirittura superfluo ribadire quanto spendano e spandano le altre grandi (il Manchester City ha speso quasi 50 milioni per il promettente Leroy Sané e altri 56,5 per il giovane difensore John Stones…), non va dimenticato che in Inghilterra anche le piccole hanno budget che dalle nostre parti si sognano. Prendiamo l’esempio del Bournemouth, salvatosi a sorpresa lo scorso maggio e in grado poche settimane fa di pagare 15 milioni al Liverpool per un giovane di belle speranze come Jordon Ibe.

Nella Deloitte Football Money League la Premier League domina incontrastata, con 9 team nei primi 20. Le ragioni di tanto successo sono risapute: maggior equilibrio nella distribuzione degli introiti, stadi di proprietà quasi sempre all’insegna del tutto esaurito e immensa capacità di vendere il prodotto (merchandising compreso) nei Cinque Continenti.

pogba

Va detto che rispetto al passato nell’ideale torta degli incassi la porzione relativa ai già citati diritti tv pesa molto di più. Ma fin quando durerà tutto questo bengodi e ci si potrà permettere di comprare giocatori a cifre folli e pagare stipendi da nababbi? O meglio, quanto peserà la Brexit a medio e lungo termine – a breve, come abbiamo detto, non si vedrà alcuna conseguenza, anzi… Con possibili limitazioni alla circolazione delle persone, è probabile che arriveranno oltre Manica meno stelle esotiche. Tanto per cominciare, non si potranno più prendere giovani nella fascia d’età tra i 16 e i 18 anni (come era accaduto proprio con Pogba o gente del calibro di Fabregas). La FIFA lo proibisce, derogando solo per l’Ue. Come se non bastasse, le vigenti regole per i giocatori che provengono da fuori l’Unione europea sono molto rigide (bisogna aver collezionato un numero variabile di presenze in nazionale per ottenere il permesso di lavoro), per cui se saranno traslate anche sui calciatori comunitari il rischio che sia più difficile mettere sotto contratto cittadini di Francia, Belgio o Germania è molto concreto. Nell’ultimo campionato oltre il 30 per cento dei componenti delle rose dei club della Premier veniva dall’Area Economica Europea (Ue più altri Paesi aderenti ai principi della libera circolazione, come la Norvegia).

Certo, una premier più autoctona, dove si valorizzano maggiormente i talenti di casa, potrebbe giovare alla nazionale. Lo scorso 30 luglio si è festeggiato il 50esimo anniversario dell’ultima (e unica) vittoria dei Tre Leoni in una grande competizione internazionale, nell’allora Coppa Jules Rimet. Cinque decenni punteggiati da sconfitte dolorose e umilianti, come quella recentissima contro la piccola Islanda a Euro 2016.

Senza tanti stranieri è probabile che la qualità possa diminuire, ma non è detto che le fonti di guadagno finiscano per seccarsi. Oramai il prodotto, il brand, sono riconosciuti e stimati a livello globale. Lo stile di gioco e il contesto (arene ultra-moderne e sempre molto affollate) contano e tanto, per cui dubitiamo che la Premier sia destinata a un rapido tracollo post-Brexit.

Pep-Guardiola1

 

E poi quello inglese è il campionato più avvincente ed equilibrato tra i principali tornei europei. Se in Francia, Germania e Italia il nome del vincitore ormai si sa già a metà agosto, in Inghilterra no. L’impresa del Leicester City ha rafforzato questa convinzione. Per carità, non dobbiamo dimenticare che negli ultimi lustri le prime quattro posizioni della classifica sono state appannaggio delle solite note e che probabilmente anche quest’anno si assisterà a un processo di restaurazione dell‘ancien régime, per buona pace di Claudio Ranieri e delle sue Volpi. Tuttavia in un calcio sempre più polarizzato e dove chi è ricco lo diventa ogni stagione di più – pensiamo al gap che esiste dalle nostre parti – un discreto margine di incertezza è già tanta roba.

Le favorite rimangono le due di Manchester, l’Arsenal e il Chelsea. Difficile che il Leicester si possa ripetere, soprattutto dopo la cessione di trottolino Kante e i mal di pancia della stella franco-algerina Mahrez (dato per possibile partente). Ma il 2016-17 sarà la stagione degli allenatori italiani, ben quattro. Oltre a Ranieri, ci saranno anche Conte (Chelsea), Mazzarri (Watford) e Guidolin (Swansea). L’ex ct nazionale ha già somministrato ad Hazard e compagni la sua “cura” fatta di allenamenti massacranti, sapienza tattica e urlacci. Vedremo se basterà a cancellare il gramo decimo posto racimolato dai Blues nel 2015-16.

Chelsea's José Mourinho

Ma la sfida delle sfide è quella tra i grandi nemici Mourinho & Guardiola. Il primo ha finalmente realizzato il suo sogno: sedere sulla panchina che fu del mito, della leggenda Sir Alex Ferguson. Il secondo approda nel massimo campionato inglese dopo lungo corteggiamento da parte degli sceicchi del City. Chi la spunterà? Un primo banco di prova si avrà già il 10 settembre, quando andrà in scena il primo, attesissimo derby della metropoli del Lancashire. Buon divertimento!

  • Autore articolo
    Luca Manes
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    Società Civile per il No. È nato il comitato, promosso da vari esponenti della società civile, da sindacati, associazioni e realtà democratiche, che sostiene le ragioni del No al referendum costituzionale sulla riforma della Giustizia del Guardasigilli Carlo Nordio. Presieduto da Giovanni Bachelet, il comitato ha nel direttivo nomi importanti come il segretario della Cgil Maurizio Landini, la presidente di Libertà e Giustizia Daniela Padoan e l’ex ministra Rosy Bindi. I principali punti del comitato vertono sul fatto che una magistratura autonoma, indipendente, che non guarda in faccia a nessuno sia una cosa che conviene ai cittadini. Il prossimo 10 gennaio a Roma si terrà la prima assemblea generale, per la partenza della campagna referendaria, che vedrà la nascita di comitati territoriali in tutta Italia per lanciare una campagna informativa sulle ragioni del No. “Riteniamo che sia una battaglia per evitare che venga minato un principio fondamentale della nostra democrazia”, ha detto Rosy Bindi, che fa parte del direttivo del comitato, nella nostra trasmissione Radio Sveglia. L'intervista di Alessandro Braga.

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