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Viaggio in Brianza, dove ha chiuso la prima impresa dopo lo sblocco dei licenziamenti

Due operai piazzano le sedie all’ombra di un silos. È alto almeno dieci metri, il marchio “Gianetti” si legge anche da lontano. “Per le assunzioni di là” dicono ai colleghi che arrivano davanti ai cancelli coi finestrini delle macchine abbassati. Col sorriso cercano di sdrammatizzare una situazione sconcertante. Fino a sabato scorso nello stabilimento brianzolo di Ceriano Laghetto, più di cento anni di storia alle spalle, facevano gli straordinari. Ora i macchinari sono spenti, i cerchi in acciaio da consegnare a clienti come Harley Davidson sono chiusi nei capannoni, gli operai fuori. La proprietà, il fondo tedesco Quantum, ha deciso di chiudere.

I lavoratori sono stati messi in ferie per poi andare in permesso retribuito fino alla chiusura definitiva dello stabilimento.Quello della Gianetti Ruote è il primo caso eclatante a livello nazionale di chiusura di un’ azienda al termine del blocco dei licenziamenti. È stata subito decisa la mobilitazione generale e sono state organizzati presidi già nella notte tra sabato e domenica «per evitare che la proprietà porti via i macchinari» . Una mobilitazione che continuerà nei prossimi giorni.L’accordo firmato solo pochi giorni fa da sindacati e Confindustria è stato completamente ignorato: niente ammortizzatori sociali, licenziamento collettivo. Nessuno dei lavoratori lo immaginava. “Segnali inquietanti dalla proprietà erano però già arrivati nell’ultimo anno” racconta Stefano Bucchioni della Fiom Cgil di Monza e Brianza. “Abbiamo vinto due cause per attività antisindacale, hanno provato a licenziare i delegati. Qui non vedevamo investimenti, nessun ricambio quando qualcuno lasciava per pensionamento. Quantum aveva già messo in liquidazione un’acciaieria in Veneto dall’oggi al domani. Anche qui è arrivata la procedura per chiusura dello stabilimento”. Prima che il licenziamento sia effettivo restano 75 giorni. “Il presidio deve resistere almeno fino ad allora, faremo i turni come se andassimo in fabbrica” dicono gli operai. Il loro lavoro è diventato difendere il posto di lavoro.

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    Gaza, l’Onu chiede cibo e tende per l’inverno, ma Israele continua a demolire edifici con raid aerei “A Gaza mancano cibo e rifugi, bisogna aprire il valico di Rafah”: è l’ennesimo appello che l’Onu rivolge a Israele. A quasi un mese dall’entrata in vigore del cessate il fuoco, nella Striscia entra ancora solo una minima parte degli aiuti previsti; le agenzie umanitarie denunciano che Israele impedisce l’ingresso anche a tende, coperte e rifugi. I palestinesi della Striscia, in gran parte sfollati, non sono in condizione di affrontare la stagione fredda che si avvicina. L’esercito però, in violazione del cessate il fuoco, continua l’opera di demolizione degli edifici: dall’alba sono in corso raid aerei sui quartieri orientali di Gaza City. A livello diplomatico intanto gli Stati Uniti, intanto, portano avanti il loro piano per Gaza presso il consiglio di sicurezza dell’Onu: nelle scorse ore la risoluzione che autorizza la Forza internazionale di stabilizzazione è stata presentata anche ai paesi arabi coinvolti nel processo di mediazione tra Hamas e Israele. Da Deir al Balah, la testimonianza di Nicolò Parrino, responsabile logistica di Emergency a Gaza, intervistato da Chawki Senouci.

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