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Visentini: “Il Recovery Plan sarà importante per l’Italia”

Visentini recovery plan

Europa ed economia. Luca Visentini, segretario generale della confederazione europea dei sindacati, ha commentato i principali temi del momento in relazione a economia e lavoro, con un focus speciale sulle azione che dovrà intraprendere l’Italia per “spendere bene” i fondi del Recovery Plan.

Intervista al microfono di Lorenza Ghidini e Roberto Maggioni nella trasmissione Prisma.

Come ritiene il discorso pronunciato da Ursula Von der Leyen?

Ha fatto un discorso di alto profilo, la presidente Von der Leyen ha mostrato una grande leadership nell’affrontare temi spinosi e poi ha citato alcuni temi relativi al lavoro. Noi ci siamo occupati di questo con i commissari competenti e anche adesso stiamo cercando di capire come aiutare 60 milioni di lavoratori che in questo periodo sono in cassa integrazione o disoccupati. In questo momento c’è un’emergenza lavoro: se non aiutiamo queste persone c’è il rischio che esploda una bomba ad orologeria. Le misure sui salari minimi, la contrattazione collettiva, l’aiuto per il rientro dal mondo del lavoro sono provvedimenti che possono aiutare ad uscire da una crisi sociale, anche se purtroppo erano rispettati i tempi tecnici per avere le risorse disponibili. Tempi tecnici che costringono ad aspettare, per sperare che le imprese non muoiano e che non aumentino i disoccupati. Le misure della Commissione vanno però in questa direzione.

Quanto è importante il salario minimo?

Il problema è affrontare la questione dell’arretramento dei salari, abbiamo situazioni di divaricazione da 1 a 10 tra lavoratori occidentali e lavoratori dell’est che distrugge il potenziale del mercato interno e non permette di superare le disuguaglianze. Queste disuguaglianze portano indietro l’economia e per questo l’iniziativa sul salario è importante. Nei Paesi dove già esiste un salario minimo questo deve essere in linea con l’inflazione e la produttività e avere tassi di convergenza rispetto agli altri Paesi. L’altro punto è che non si vuole imporre un salario minimo legale ai Paesi nordici, l’Italia e l’Austria che non ce l’hanno. Non si può imporre se le parti sociali non credono sia utile. Terzo e ultimo elemento è che la direttiva rafforza la contrattazione collettiva nazionale, abbiamo solo 11 settori su 27 coperti e questo è un problema.

Come parte il confronto in Italia con la nuova Confindustria?

Atteggiamento miope che no fa bene agli imprenditori, usare la leva salariale al posto della svalutazione che non abbiamo più rimane profondamente sbagliato e lo dimostra il fatto che questa ricetta non abbia pagato durante l’uscita dalla crisi salariale. Lo dimostrano quei Paesi dove un forte decentramento e la mancanza di contratti collettivi non ha portato il rilancio economico sperato. La nostra economia vive di consumi e anche le imprese che pensano di avere qualcosa poi rischiano grosso. La ricetta perciò è proprio sbagliata dal punto di vista macroeconomico, Confindustria mostra così di essere arretrata e e un atteggiamento del genere non paga, visto che la direttiva europea arriverà.

Come credi che andrebbero spesi i fondi del Recovery Plan?

L’Italia ha due problemi storici: il primo è la tendenza a mettere insieme tanti piccoli progetti inutili. Noi speriamo che l’Italia abbia l’intelligenza di concentrare le risorse su pochi grandi progetti. L’altro problema è che siamo carenti sulla progettazione. Noi speriamo che l’italia segua l’esempio UE, che ha creato una grande task force con tutti gli attori politici ed economici per coordinare il lavoro. Ogni Paese deve spendere almeno il 37% delle risorse ricevute con il Recovery Plan per la transizione energetica: è giusto che tutti gli Stati europei procedano verso un’economia sostenibile. Va garantita un’alternativa lavorativa e per far questo serve una forte politica nazionale europea ma anche forti ammortizzatori sociali. Solo una giusta governance sociale dei fenomeni di trasformazione può rassicurare tutti a livello sia ambientale sia digitale. Soprattutto a livello di diritti, in particolare nell’economia digitale, dove i lavoratori non godono delle stesse tutele.

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    Violenza stradale, numeri un po' in calo. Il rimedio: l’educazione e diminuire la velocità

    L’Istat ha pubblicato i report sugli scontri stradali, su base regionale (relativi al 2024) e anche alcuni dati sui primi sei mesi di quest’anno. Ci sono meno feriti e meno vittime sulle strade, anche se i numeri restano ancora drammaticamente elevati. Secondo l’Istituto di Statistica nel primo semestre del 2025 i morti sono stati 1310 (si parla di morti per scontri stradali se il decesso avviene entro 30 giorni dall’evento, quindi sono escluse le persone che muoiono, nonostante la causa siano le conseguenze dello scontro, oltre quel limite temporale) contro i 1406 dello stesso periodo dell’anno precedente. I feriti sono stati 111090, anche in questo caso in calo rispetto al 2024, quando erano stati 112428. Gli obiettivi europei sulla sicurezza stradale prevedono il dimezzamento del numero di vittime e feriti gravi entro il 2030 rispetto all’anno di riferimento, che è il 2019. In Italia al momento registriamo una diminuzione del 4,5% (in Lombardia del 12,6). Bisogna ancora fare molto per riuscire a raggiungere l’obiettivo. Uno degli aspetti fondamentali, oltre la diminuzione della velocità, è l’incremento dell’educazione stradale. Stefano Guarnieri, padre di Lorenzo, morto nel 2010 a causa di un omicidio stradale a Firenze ha fondato l’associazione Lorenzo Guarnieri, che da anni si impegna a portare avanti un discorso di educazione. Alessandro Braga lo ha intervistato nella trasmissione Tutto Scorre.

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    Nubi sull'università italiana: si moltiplicano le adesioni alle università private telematiche, mentre alle statali il governo Meloni taglia i fondi. Ospite l'economista Gianfranco Viesti. E poi, il caso Raiplay Sound, la censura nei confronti di un podcast – prima autorizzato e poi annullato - sulla storia di Margherita Cagol, una delle fondatrici delle Brigate rosse. A Pubblica Nicola Attadio, uno degli autori insieme al giornalista Paolo Morando e al musicista Matteo Portelli.

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