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Caso Cucchi, il processo sui presunti depistaggi. Parla l’avvocato Fabio Anselmo

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Ilaria Cucchi in tribunale

È in corso ormai da qualche settimana il processo sui presunti depistaggi perpetrati da alcuni alti ufficiali dell’Arma dei Carabinieri nell’ambito delle indagini sul pestaggio e l’uccisione di Stefano Cucchi nell’ottobre del 2009 a Roma.

In tanti stanno iniziando a parlare, ma le testimonianze non sembrano affatto facilitate dalla presenza costante ad ogni udienza degli alti ufficiali dell’Arma. Ne abbiamo parlato con l’avvocato della famiglia Cucchi, Fabio Anselmo.

L’intervista di Lorenza Ghidini e Claudio Jampaglia a Prisma.

Nel processo per l’omicidio erano state determinanti le dichiarazioni di alcuni carabinieri con i quali l’Arma diciamo non era stata premiante. Poi abbiamo visto che nel processo per i depistaggi, l’Arma dei Carabinieri si è costituita parte civile, anche se sembra di capire che si è trattato di un gesto simbolico e null’altro. Cosa sta succedendo da questo punto di vista?

Come in ogni singolo atto in cui si è articolata questa tragica e infinita vicenda processuale e tragedia umana è sempre difficile cogliere in maniera netta una linea che possa condurci ad una trasparenza di posizioni processuali. Le costituzioni di parte civile sono state un atto fantastico e senza precedenti e noi siamo stati e continuiamo ad essere rassicurati da queste costituzioni
Detto questo, quello che poi succede nelle aule sta diventando un altro film. Ci troviamo di fronte a deposizioni sicuramente imbarazzanti perché dobbiamo ancora una volta sgomberare l’aula, in senso fisico e metaforico, dalla nebbia dell’ipocrisia che regna sovrana. La quasi totalità dei testimoni chiave del pubblico ministero sono carabinieri. Quali sono i loro gradi? Carabiniere semplice, Sottufficiale, Maresciallo, tutte gradi di modesta importanza rispetto alla scala gerarchica. Di fronte a loro, seduti sul banco degli imputati senza mancare un’udienza, ci sono degli alti ufficiali – Generali, Colonnelli, Capitani – con i loro avvocati e che sono nel pieno esercizio delle loro funzioni, perché nessuno di loro è stato sospeso. Quindi questi sottoposti sono costretti a testimoniare fatti e circostanze a cui hanno assistito, spesso balbettando e sudando e con evidenti difficoltà. E ogni volta che l’avvocato dei Generali o dei Colonnelli alza la voce nei confronti del teste, questi trema perché in quella voce alta vede di fianco l’espressione del suo superiore. Se poi aggiungiamo il fatto che alla deposizione di qualcuno che non viene apprezzata dal Comando Generale dell’Arma segue con immediata e formidabile tempestività un comunicato secco del Comando dell’Arma contro quella testimonianza, questo ci dà l’esatta sensazione che c’è un grande occhio che osserva non benevolmente tutto quello che succede in questo processo e che interviene a gamba tesa.
La veridicità delle testimonianze e delle deposizioni di un test, anche se carabiniere, e che vengono rese in un processo si discutono durante il processo, non fuori dal processo. Un comunicato del Comando Generale dell’Arma non è un comunicato fatto da un’agenzia di stampa normale o da un sindacato, ma è un comunicato di una istituzione a cui appartengono tutti i soggetti interessati da quel processo, testimoni e imputati. Ed è un comunicato di una istituzione che ha una rigida struttura gerarchica militare. Di questo non si può non tener conto.

Dal quadro che ci sta facendo sembra che l’Arma si sia costituita parte civile per giocare in tandem coi difensori degli imputati e tenere sotto pressione chi viene a parlare davanti alla Corte.

Io non ho le capacità per dirlo e non mi sento di esprimere questo giudizio, però mi limito ad osservare criticamente quello che accade. Non mi avventuro in interpretazioni che potrebbero essere sbagliate, ma faccio la cronaca di ciò che accade. Qui ancora una volta si interviene in un processo in corso e chi interviene in un processo in corso deve capire che non lo può fare. Può farlo, se vuole, attraverso i suoi avvocati, ma non con comunicati esterni dove si afferma una verità che può anche essere La Verità, ma che non può porsi dialetticamente in maniera così netta e di antagonismo rispetto all’oggetto di una testimonianza.

(Potete ascoltare l’intervista integrale a partire dal minuto 52)

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    Redazione
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