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La sfida all’oppio

L’emergenza oppio attraversa gli ultimi decenni di storia di Myanmar.

Produzione e traffico non sono infatti mai stati realmente contrastati dal regime militare al potere fino al 2010 e sono anzi diventati fonte di finanziamento delle milizie etniche e dei “signori della guerra” locali nelle aree di conflitto interno.

I narcotici rappresentano un problema in più per i partiti democratici che si troveranno a gestire Myanmar dopo avere stravinto le elezioni dell’8 novembre; questa non è comunque tra le priorità del programma del futuro governo guidato dalla Lega nazionale per la democrazia della Premio Nobel per la Pace Aung San Suu Kyi.

“Riconosciamo l’esistenza di un problema legato alla coltivazione di oppio, ma al momento siamo troppo impegnati a preparare il trasferimento dei poteri per potere pensare seriamente anche a questo”, ha confermato Win Htein, tra i leader della Lega.

Non si tratta comunque di un problema indifferente, che appare tra l’altro legato alla transizione. Anche sotto un governo a guida democratica, infatti, i militari, oltre a mantenere il 25 per cento dei seggi riservati in parlamento, conserveranno il controllo dei ministeri della Difesa, dell’Interno e delle Frontiere. Una circostanza, quest’ultima, che consentirà loro di continuare a gestire in compartecipazione con le milizie etniche alleate una parte consistente del traffico di stupefacenti – che ha origine proprio nelle regioni di confine.

Il nuovo esecutivo che guiderà da febbraio il secondo produttore mondiale di oppio dopo l’Afghanistan, riceverà comunque 3,3 milioni di dollari dal governo finlandese. Risorse da destinare alla riconversione delle piantagioni in coltivazioni convenienti per i produttori locali, concentrati soprattutto nello Stato Shan, uno di quelli maggiormente coinvolti nel conflitto avviato tra milizie etniche e governativi ai tempi del regime militare ma ancora in corso.

Secondo le statistiche più recenti di fonte Onu, 200.000 persone basano la loro sussistenza sullo sfruttamento di 55.500 ettari coltivati a papavero da oppio.

L’impegno finlandese sarà diluito in tre anni e amministrato dall’Ufficio della Nazioni Unite per la droga e il crimine (Unodc) che negli ultimi anni ha già speso sei milioni di dollari nella riconversione delle coltivazioni.

L’idea è impegnativa, come segnala Lashi La, coordinatore del Forum dei coltivatori di oppio del Myanmar. “Nello Stato Shan – dice – gli agricoltori possono essere interessati a far crescere noci, legumi e jackfruit. Noi suggeriamo anche il caffè, in modo che in caso di fallimento commerciale di una produzione, un’altra può subentrare”.

Realistico pensare a un programma di sradicamento totale dell’oppio e la trasformazione delle coltivazioni illegali in piantagioni di caffè come proposto?

La risposta di Lashi La è affermativa: “Abbiamo calcolato che serverebbero più o meno 150 milioni di dollari Usa. Una cifra che appare modesta se confrontata con altre iniziative internazionali contro la produzione di stupefacenti”.

Ovviamente occorre convincere i contivatori della bontà dei progetti di sostituzione, dato che l’oppio è radicato non solo nella loro economia, ma anche nella loro tradizione culturale e medica.“Inoltre – segnala ancora l’attivista – la relativa facilità della coltivazione è un altro ostacolo; senza contare il valore elevato anche in rapporto al suo scarso peso. Condizioni che rendono difficile per la popolazione rinunciare alla coltivazione. Poi c’è anche la situazione di conflitto di diverse aree. Facile, in caso di necessità di fuga, portare con sé il raccolto, non così per altre produzioni agricole”.

Uno degli elementi che potrebbero ritardare la riconversione è poi anche l’utilizzo locale dell’oppio, più elevato nelle aree fuori dal controllo governativo; al punto che le stesse milizie etniche soffrono per l’abuso di oppiacei. Un problema comunque non confinato alle aree di maggiore produzione, ma che riguarda anche quelle circostanti di altri Paesi. Per questo Unodc continua a incentivare il coordinamento regionale della lotta al traffico illegale, che coinvolge anche Cina, Laos e Thailandia.

Per il terzo anno la produzione sembra comunque essersi stabilizzata, con una quantità stimata in 647 tonnellate nell’anno in corso. Stabile anche la superficie coltivata a oppio. Tra le ragioni che spiegano il fenomeno c’è sicuramente anche l’impegno nazionale e internazionale ma, come avverte Jeremy Douglas, responsabile Unodc per l’Asia sud-orientale e il Pacifico, “la produzione rimane a livelli elevati e i contadini sfollati dal conflitto, se senza alternative, potrebbero tornare alle coltivazioni tradizionali”.

Non va poi ignorata la sfida delle metanfetamine, in concorrenza quanto a diffusione con i derivati dell’oppio, tra cui l’eroina, ma con una estensione maggiore, in pratica in tutto il continente asiatico, sostenuta in particolare dalla richiesta cinese.

  • Autore articolo
    Stefano Vecchia
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