La decisione era nell’aria già un minuto dopo le prime proiezioni: Renzi ha deciso di dimettersi.
C’è ancor un po’ di cautela nel suo staff rispetto alla notizia fatta filtrare da altri e arrivata a tutte le agenzie, una specie di smentita ma senza molta convinzione, ma la scelta era inevitabile visto il risultato, il Partito democratico è parecchio al di sotto il 20 per cento, che negli obiettivi che si erano posti era il segno della débâcle.
Renzi lascia e spiegherà i motivi nel pomeriggio in una conferenza stampa prevista alle 17. Ma le cause sono note: in quattro anni dal 40 per cento delle europee del 2014 ha più che dimezzato i voti del partito di cui ha preso la guida dopo aver mandato via Letta.
E il silenzio questa mattina di Letta, di Prodi e di Veltroni, che hanno scelto di sostenere Gentiloni più che Renzi, è indicativo dell’isolamento intorno al segretario. Ma il vuoto intorno non è solo dei padri fondatori, c’è il silenzio di Franceschini, che ha perso nel suo collegio a Ferrara, di Del Rio, di tanti ministri che lo hanno sostenuto nei tempi passati e dopo la sconfitta al referendum costituzionale hanno iniziato a prenderne le distanze, per non parlare della minoranza interna, gli orlandiani che ben prima degli exit pool avevano commissariato Renzi chiedendo di partecipare alle consultazioni al Quirinale.
Ma nessuno può festeggiare, la situazione è talmente difficile, che un partito senza una guida è come una nave senza comando in un momento delicato come questo. Con le presidenze di Camera e Senato da votare, con le consultazioni al Colle.
Ci sarà un gruppo in Parlamento di fedelissimi renziani, ma senza più il capo, che diventerà senatore nella Camera che voleva abolire. Ieri sera la linea era di stare all’opposizione, ma senza Renzi sarà ancora questa? O qualcuno vorrà andare a parlare con i Cinque stelle?