Approfondimenti

Le donne del Jihad

Le cronache di questi mesi e di questi giorni raccontano che il Califfato islamico recluta anche parecchie donne. Giovani, soprattutto. Alcune, come abbiamo visto con gli attentati di Parigi, fanno parte dei commando e arrivano a farsi esplodere. L’International Centre for Counter-Terrorism (ICCT) dell’Aja ha pubblicato quest’anno il rapporto “Le jihadiste europee in Siria: alla scoperta di un fenomeno poco esplorato”. Radio Popolare ha intervistato Seran de Leede, la ricercatrice che ha curato la pubblicazione insieme a Edwin Bakker, docente di Studi sull’antiterrorismo all’Università di Leiden (Paesi Bassi).

Chi sono

Non è possibile dare una risposta univoca perché non esiste un solo profilo tipico. La maggior parte di queste donne sono giovani, tra i 15 e i 25 anni, sposate da poco. E ci sono anche casi di madri che si spostano con i propri figli. Ma spesso si muovono da sole o con delle amiche. Alcune di queste ragazze hanno una buona istruzione ma sappiamo di molte ragazze che a scuola hanno fatto fatica, ragazze vulnerabili e influenzabili. Ci sono però anche donne molto forti e devote alla causa. Molte provengono da famiglie di fede musulmana, altre da famiglie non religiose; da famiglie numerose o da piccoli nuclei famigliari. Direi che l’unico vero tratto comune è la loro giovane età e l’abitudine a indossare un niqaab nero, il velo che copre anche il viso.

Da dove vengono

Nel nostro studio abbiamo preso in analisi diversi Paesi occidentali, in particolare Olanda, Germania, Gran Bretagna, Francia, Austria. Ma le donne del Jihad arrivano praticamente da tutto il mondo. Sappiamo di casi provenienti dagli Stati Uniti, dall’Australia, dagli altri Paesi europei e dallo stesso Medio Oriente.

Quante sono

Il nostro studio è stato pubblicato ad aprile 2015, le cifre più aggiornate a quella data indicavano circa 550 donne provenienti dall’Europa occidentale. Questo numero è verosimilmente aumentato negli ultimi mesi, ma potete immaginare quanto sia difficile stabilire l’esatta entità delle ragazze che hanno raggiunto la Siria per unirsi al Jihad. Pensiamo comunque che le donne europee siano il 18 per cento dei “foreign fighters” provenienti dal nostro continente. A livello globale, invece, le donne che fanno parte del Califfato (che quindi provengono anche da altri continenti) sono il 10 per cento del totale.

Che ruolo hanno

Per quello che possiamo sapere, solo in casi eccezionali queste donne vanno a combattere in prima linea. Il loro è più che altro un ruolo di supporto: per esempio si prendono cura dei “jihadi fighters” feriti, badano alla casa e ai figli. Ma hanno anche un ruolo di appoggio logistico e soprattutto propagandistico, diffondendo l’ideologia jihadista attraverso i social media: postano foto di brutali esecuzioni e le commentano, le celebrano e inneggiano ai loro uomini come eroi e vincitori.

Che cosa le spinge

Esattamente come per gli uomini, non c’è mai un solo fattore ma una combinazione di motivi. Crediamo che la spinta principale sia la volontà di difendere la comunità musulmana che ritengono minacciata. Di conseguenza sentono come un dovere, motivato dall’ideologia e dalla religione, far parte del Califfato, che le ha chiamate a raccolta, e contribuire alla sua affermazione. In alcuni casi prevale l’idea di un nuovo inizio rispetto a una vita che non offre sbocchi o rispetto a esperienze problematiche o a episodi di esclusione che hanno vissuto nella loro infanzia. Poi c’è un forte senso di appartenenza e la necessità di dare una direzione precisa, un obiettivo alla propria vita. E, ancora, non va sottovalutato l’elemento della fascinazione: la propaganda ritrae i jihadisti maschi come figure eroiche e virili, come guerrieri invincibili, disposti a morire per la causa, e le donne come mogli ubbidienti. Per queste ragazze gli uomini del Califfato sono molto attraenti e diventa un onore servirli. Sarebbe però sbagliato pensare che si tratti di donne ingenue e docili: spesso sono determinate e fedeli alla causa tanto quanto i loro uomini. Lo abbiamo visto durante il recente blitz a Saint Denis, dopo gli attentati di Parigi, alcune donne sono disposte a farsi esplodere. Il nostro monitoraggio dei social media ci ha mostrato chiaramente che le donne spesso postano commenti in cui si dicono pronte alla lotta armata. Sempre che dietro a quegli account ci siano davvero delle donne, ovviamente su questo non possiamo avere la certezza assoluta.

  • Autore articolo
    Valentina Redaelli
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    Le politiche pro natalità non funzionano, lo dicono i fatti

    Più che gelo siamo in glaciazione demografica, questione sociale per carità ma soprattutto politica, perché sono governi soprattutto di destra che la predicano, ma le politiche pro-natalità non stanno funzionando, perché sono cambiate le scelte, le prospettive e le possibilità dei nuovi genitori e la loro riduzione numerica è un dato di fatto storico non trasformabile con richiami ai valori della famiglia o con bonus bebè. Alessandra Minello, ricercatrice in Demografia al dipartimento di Scienze statistiche dell’Università di Padova, autrice per Laterza di “Senza figli. Scelte, vincoli e conseguenze della denatalità”) ci propone una lettura più solida di quella del dibattito politico sul tema. “È cambiato il modo in cui diamo valore e cerchiamo soddisfazione nella nostra vita. È una cultura che sta cambiando e parte dalle valutazioni di sé, dalle scelte appunto”. L’intervista di Cinzia Poli e Claudio Jampaglia.

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    Pubblica di mercoledì 22/10/2025

    Marina Berlusconi, una keynesiana (smemorata) a Segrate. In una lettera al Corriere della Sera di domenica scorsa la presidente di Fininvest e Mondadori ha denunciato lo strapotere mondiale delle Big Tech e ha vantato il sistema regolatorio pubblico vigente in Europa. «Quello delle Big Tech - ha scritto - è un potere che rifiuta le regole. E' concorrenza sleale bella e buona», ha scritto Berlusconi. La presidente Fininvest ha dimenticato la storia dell'impero industriale e finanziario che oggi controlla e guida. Una storia di norme ad personam: dai cosiddetti “decreti Berlusconi” emanati dal governo Craxi nel 1985, alla legge Mammì che certificò il monopolio TV privato, alla legge Gasparri del 2004. Nel suo articolo Marina Berlusconi ha scritto che «l’intreccio tra politica e Big Tech negli Usa è sotto gli occhi di tutti […] questi colossi non sono più solo aziende private, sono attori politici», ha sentenziato Berlusconi rimuovendo il fatto che il suo gruppo è ancora oggi l’azionista di fatto di un partito, oggi al governo, come Forza Italia. Pubblica ha ospitato Stefano Balassone, ex consigliere di amministrazione della Rai, già vice-direttore di Rai Tre, oggi produttore e autore televisivo.

    Pubblica - 22-10-2025

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