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L’Iran colpito per la prima volta dall’Isis

Per l’Iran e per il Medio Oriente si tratta di un punto di svolta.

La regione è in fiamme. Ci sono diverse guerre. L’ultimo scontro tra Arabia Saudita e Qatar ha confermato quanto sia instabile questa zona del pianeta. Ma fino a oggi l’Iran era un’eccezione. In tutti questi anni era rimasto uno dei pochi Paesi sicuri, probabilmente il più sicuro. Ora non è più così.

L’Iran confina con Iraq a ovest e con Afghanistan e Pakistan a est. Negli scorsi anni c’erano stati incidenti lungo le zone di confine, ma mai all’interno del Paese e soprattutto mai nel cuore simbolico della Repubblica Islamica, il mausoleo dell’Ayatollah Ali Khomeini.

In queste ore a Teheran sono stati chiusi molti uffici. Anche gli studenti universitari sono stati mandati a casa. Le autorità hanno chiesto alla popolazione di non frequentare luoghi pubblici e affollati. “C’è un clima a cui non eravamo abituati – ci ha raccontato una cittadina di Teheran – in questo momento regna semplicemente il panico”.

Due settimane fa, durante l’ultimo viaggio in Iran, ho avuto la solita sensazione: uno Stato che cerca di controllare tutto in maniera maniacale. Visti, permessi, autorizzazioni per qualsiasi cosa. Sulla carta al sistema non sfugge nulla. Ma quando questa mania del controllo viene portata all’esasperazione, con una grossa macchina burocratica al seguito, gli errori sono possibili. E da questo punto di vista gli attentati di oggi non ci devono stupire.

C’è poi un altro elemento. La sicurezza non è mai garantita da una massiccia presenza militare. Anche i siti che in altri posti vengono considerati sensibili – pensate alle città europee oggi – non sono blindati dalla polizia.

E infine non dimentichiamo che stiamo parlando di un Paese coinvolto fino al collo nelle guerre che si combattono nella regione: Siria, Iraq e Yemen. Ancora prima dell’intervento russo Teheran aveva garantito la sopravvivenza del regime siriano, un tassello fondamentale nell’asse sciita che si contrappone a quello sunnita guidato dall’Arabia Saudita, il nemico numero uno degli iraniani.

L’attacco è stato rivendicato dall’ISIS. Negli ultimi mesi lo Stato Islamico aveva cominciato a prendere di mira Teheran. Ci sono stati almeno 4/5 messaggi, uno anche video, lo scorso marzo, nel quale Daesh minacciava di colpire l’Iran parlando in farsi (la lingua persiana). In Iraq e in Siria l’Iran combatte nel fronte anti-ISIS.

In queste ore gli iraniani puntano però il dito contro i Mojahedin del Popolo, un partito-organizzazione armata da sempre contrario alla Repubblica Islamica, ma che da tempo non è più attivo. I suoi leader si sono trasferiti a Parigi. Unione Europea e Stati Uniti non lo considerano nemmeno più un’organizzazione terroristica. La lettura più comune è che questa formazione abbia agito su richiesta dell’Arabia Saudita ma anche con l’appoggio di cellule dormienti dell’ISIS in Iran.

Questi gli elementi di un quadro molto complesso. Una fonte vicina ai massimi vertici dello Stato iraniano, alla guida suprema l’Ayatollah Ali Khamenei, ci ha detto che “si tratta di un attacco senza precedenti in una realtà sempre più critica”. L’ennesimo elemento di instabilità in Medio Oriente.

  • Autore articolo
    Emanuele Valenti
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    L’esercito israeliano ha lanciato questa notte l’invasione di terra su Gaza City. Da ieri i carri armati sono entrati nel cuore della principale città della striscia, e i bombardamenti hanno colpito senza sosta strade, case, infrastrutture. Da questa mattina, i morti sono 89. Centinaia di migliaia di persone vivono ancora nella città. Migliaia di persone stanno invece cercando di fuggire, in un esodo verso un sud che non ha più spazio per ospitarli. Il servizio di Valeria Schroter.

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    1) “Gaza brucia di fronte al suo mare, testimone della sua tragedia”. L’esercito israeliano ha lanciato l’offensiva di terra sulla principale città della striscia. L’esodo in mezzo alle bombe. Quasi 90 i morti da questa mattina. (Valeria Schroter) 2) Israele come Sparta. Mentre l’ONU stabilisce che quello in corso a Gaza è genocidio, Netanyahu ammette l’isolamento internazionale e dipinge un futuro di autarchia e guerra permanente. (Anna Foa, Eric Salerno) 3) Gli Stati Uniti continuano a colpire il Venezuela. Trump punta a rovesciare il regime di Maduro con la scusa della lotta al narcotraffico. (Alfredo Somoza) 4) Cinquant’anni fa l’indipendenza della Papua Nuova Guinea. Il paese oggi è vittima della maledizione della ricchezza e rischia di finire ostaggio di un nuovo braccio di ferro tra occidente e Cina. (Chawki Senouci) 5) Spagna, l’estrema destra torna a riunirsi a Madrid. Il primo passo verso una grande alleanza di tutte le destre europee. (Giulio Maria Piantadosi) 6) Rubrica Sportiva. Julia Paternain, la maratoneta uruguayana entra nella storia vincendo la prima medaglia ai mondiali di atletica per il paese sudamericano. (Luca Parena)

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    Iniziamo parlando del festival Coachella 2026 di cui è appena stata annunciata la lineup e ricordando Victor Jara, cantautore cileno simbolo della canzone sociale e di protesta che scomparse oggi 52 anni fa durante la dittatura Pinochet. Proseguiamo con il mini live in studio delle Guthrie Family Singers, trio di discendenti di terza e quarta generazione dell'icona folk americana Woody Guthrie. Nell'ultima parte accenniamo al concerto di raccolta fondi per la Palestina del 18 settembre, organizzato a Firenze da Piero Pelù, e ricordiamo la stella del cinema Robert Redford appena scomparsa.

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