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Il carbone, il nuovo simbolo della guerra

Sono le due del pomeriggio. Un gruppo di minatori ha appena finito il turno di lavoro. Arrivano in superficie dopo sei ore a 500 metri di profondità.

Mascherine, caschetti, tute da lavoro. Tutto coperto di polvere nera. Come le loro facce e le loro mani. Gli occhi sono stanchi. Escono in fila indiana dalle gabbie d’acciaio che li hanno appena portati su. Con loro arriva anche una forte corrente fredda.

Foto di Claudio Maggiolini
Foto di Claudio Maggiolini

Siamo nella miniera di Kalinovskaya, una ventina di chilometri da Donetsk, nella zona di Makeevka. Come tutte le altre miniere della Repubblica Popolare di Donetsk anche questa è ormai sotto il controllo dei separatisti. Un mese fa, per rispondere al blocco commerciale ucraino, hanno nazionalizzato imprese e miniere di carbone.

Questo salto di qualità del conflitto ucraino sta mettendo ulteriormente in crisi l’economia, in Ucraina e qui nelle regioni separatiste dell’Est. La produzione di carbone è in calo. Così come il numero di minatori. Qui a Kalinovskaya lavorano 1.100 persone. Prima della guerra erano quasi 1.400.

Foto Claudio Maggiolini
Foto Claudio Maggiolini

Parliamo con il direttore della miniera (ci ha chiesto di non fare il suo nome) per capire quale sia lo stato di salute del settore minerario, la voce più importante nel bilancio della Repubblica Popolare di Donetsk.

“Prima della guerra e in realtà fino a quest’ultimo blocco commerciale il carbone andava anche in Ucraina. L’Ucraina ha bisogno del nostro carbone. Adesso invece produciamo solo per noi, cerchiamo di mantenere i posti di lavoro e di ottimizzare il ciclo produttivo”.

Ma senza uno sbocco commerciale – la Russia, l’unico partner commerciale delle Repubbliche di Donetsk e Lugansk, non ha bisogno di questo carbone – il sistema economico locale rischia d’implodere. Il direttore non lo dice espressamente, ma lo fa intendere molto bene.

“Noi ci occupiamo della produzione. Cerchiamo di far funzionare al meglio il nostro impianto. Lavoriamo per migliorare la sicurezza dei nostri minatori. Studiamo come alzare la qualità del nostro carbone. Sono i leader politici a dover decidere cosa fare. Sta a loro decidere a chi vendere il carbone”.

Foto Claudio Maggiolini
Foto Claudio Maggiolini

Il blocco sul lato ucraino ha fermato anche alcuni materiali indispensabili alle attività delle miniere dell’Est. Il settore minerario veniva gestito direttamente qui anche prima della guerra. Il ministero ucraino per le miniere e per l’energia non era a Kiev ma a Donetsk. Ora è diventato il ministero della Repubblica Popolare di Donetsk. Nessun rappresentante ha voluto parlare con noi. In questi giorni la questione è troppo delicata. Alcuni funzionari di altri ministeri sono stati licenziati dopo aver parlato con la stampa. Dal futuro del carbone, l’ultimo simbolo di questa guerra, dipenderà il futuro dell’Est dell’Ucraina.

  • Autore articolo
    Emanuele Valenti
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    “E’ stato bello rendersi conto che la figura di Woodie Guthrie è ancora molto viva anche fuori dagli Stati Uniti”, racconta Sarah Lee, nipote dell’icona folk americana. “Le problematiche di cui cantava lui ottant’anni fa sono ancora attuali”, riferendosi al tema dell’immigrazione e alla difficile situazione al confine con il Messico. Con la sua musica Woody Guthrie "affrontava un concetto molto basilare di umanità e speranza, ovvero il trattare le persone come persone, aiutandosi a vicenda nei momenti di difficoltà": lo stesso messaggio che ora le Guthrie Family Singers vogliono portare avanti. Ascolta l’intervista di Elisa Graci alle Guthrie Family Singers.

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    Un percorso attraverso la stratificazione sociale italiana, un viaggio nell’ascensore sociale del Belpaese, spesso rotto da anni e in attesa di manutenzione, che parte dal sottoscala con l’ambizione di arrivare al roof top con l’obiettivo dichiarato di trovare scorciatoie per entrare nelle stanze del lusso più sfrenato e dell’abbienza. Ma anche uno spazio per arricchirsi culturalmente e sfondare le porte dei salotti buoni, per sdraiarci sui loro divani e mettere i piedi sul tavolo. A cura di Alessandro Diegoli e Disma Pestalozza

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