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Il 25 Aprile e i ragazzi

Associazione Nazionale Partigiani d'Italia

Io quando penso al 25 aprile automaticamente mi commuovo. Questa giornata è, e deve essere, soprattutto una grande festa perché ha significato il ritorno alla vita dopo un ventennio di buio. Ma nonostante questa sia una festa, una riflessione, per quanto poco bella, bisogna farla.

Fra qualche anno, e speriamo che questo avvenga il più tardi possibile, non ci saranno più coloro che durante la Seconda Guerra Mondiale hanno partecipato alla Resistenza e coloro che sono sopravvissuti ai campi di concentramento nazisti e fascisti.

I partigiani e i deportati sono le due categorie di persone che più hanno sofferto e più si sono sacrificate per la conquista – dopo un ventennio oscuro di dittatura, di violenza, di soprusi, di torture, di distruzioni, di stragi e di milioni e milioni di morti – della libertà, della pace e della democrazia. Troppo poco sono stati ascoltati e le conseguenze sono davanti agli occhi di tutti: la memoria storica – per i ragazzi soprattutto – è una sorta di optional e l’oblio lo sport nazionale più praticato. Ma la colpa non si può attribuire a loro che altro non sono altro che l’implacabile specchio di un fallimento quasi totale delle generazioni, la mia e quella precedente, che non hanno saputo o voluto raccontare.

La scuola, dalle elementari all’università, e i media, dai giornali alla televisione soprattutto, poco o nulla hanno fatto per cercare di narrare quegli eventi tragici. Non si è compreso che le conseguenze di questo mancato passaggio di testimone storico, culturale e sociale, per una sorta di nemesi, ci avrebbe presentato il conto salato da pagare. A questo punto non possiamo non porci una domanda: ma se con i testimoni vivi siamo arrivati a questo disastro, quale inquietante futuro ci aspetta?

Da anni tengo dei corsi di teatro nelle scuole, soprattutto di primo grado, quelle che una volta si chiamavano le medie inferiori. Faccio parte dell’ANED (Associazione Nazionale Ex Deportati), ho la tessera dell’ANPI (Associazione Nazionale Partigiani Italiani). Insegno la storia della deportazione e della Resistenza grazie ad un lavoro drammaturgico e recitativo delle testimonianze dei protagonisti. I risultati? Splendidi. C’è una adesione, un impegno, un entusiasmo che sorprende gli stessi insegnanti. È la forza del teatro? Probabile. Ma non è solo questo.

I ragazzi chiedono, sono curiosi, vogliono – ripeto, vogliono! – sapere cosa sia successo ai loro nonni e cosa sia avvenuto nel territorio dove vivono. Alla fine giungono e fanno dei ragionamenti per la loro età tanto semplici, quanto profondi. Uno su tutti: capiscono per esempio che tutto quello che hanno (dall’acqua a una casa calda, dal mangiare tutti i giorni in abbondanza ai vestiti confortevoli, dal letto alla libertà) non piove dal cielo e che non è sempre stato così. Una ragazzina di dodici anni ha affermato che è bello andare a dormire senza il terrore dei bombardamenti. Ascoltassero lei invece dei potenti della terra e in Siria non ci sarebbe l’orrore che sappiamo.

E allora diamoci da fare, perché oggi più che mai c’è bisogno di impegnarsi non solo perché all’orizzonte incombono nuvole – politicamente e pericolosamente – molto nere, ma anche perché questi ragazzi, quelli di oggi, non avranno probabilmente la stessa fortuna che abbiamo avuto noi di poter conoscere, vedere, ascoltare direttamente i testimoni. E se il nostro tentativo fosse destinato al fallimento? Non potremmo fare comunque diversamente. E del resto, lo dico a quelli di Radio Popolare, potremmo farne a meno? Assolutamente no. Noi viviamo per questi principi e valori, e come diceva Padre Turoldo (o il suo sodale Don Camillo De Piaz, adesso non ricordo): “Se mi togliete la Resistenza mi manca l’aria che respiro”.

Buon 25 aprile e buon abbonamento!

Associazione Nazionale Partigiani d'Italia
Foto da Facebook
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    Renato Sarti
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    Un percorso attraverso la stratificazione sociale italiana, un viaggio nell’ascensore sociale del Belpaese, spesso rotto da anni e in attesa di manutenzione, che parte dal sottoscala con l’ambizione di arrivare al roof top con l’obiettivo dichiarato di trovare scorciatoie per entrare nelle stanze del lusso più sfrenato e dell’abbienza. Ma anche uno spazio per arricchirsi culturalmente e sfondare le porte dei salotti buoni, per sdraiarci sui loro divani e mettere i piedi sul tavolo. A cura di Alessandro Diegoli e Disma Pestalozza

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    Teatro. La rivoluzione delle "piscinine" milanesi vista da due piccioni in crisi esistenziale

    Teatro. La rivoluzione delle "piscinine" milanesi vista da due piccioni in crisi esistenziale Al Teatro della Cooperativa, a Milano ha debuttato in prima nazionale "Lo sciopero delle bambine", in scena Rita Pelusio e Rossana Mola di PEM Habitat Teatrali, compagnia che porta avanti una ricerca artista che declina contenuti civili e ironia. Lo spettacolo, con la regia di Enrico Messina, racconta una storia avvenuta a Milano nel 1902, quando le “piscinine”, che in dialetto meneghino significa “piccoline”, bambine, tra i sei e i tredici anni, che lavoravano senza diritti, sfruttate e sottopagate, ebbero la forza di scioperare e, per cinque giorni, fermare l’industria della moda della città. A raccontare la vicenda delle piscinine in scena sono due piccioni, due creature che abitano le piazze, le cui parole rispecchiano lo sguardo dei contemporanei, spesso stanchi e disillusi davanti alle sfide della storia. Nella trasmissione Cult Ira Rubini ha intervistato l’attrice Rita Pelusio.

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