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La farsa elettorale nell’ultima Banana Republic

Situazione assai tesa e incerta in Honduras, ancora senza risultato elettorale presidenziale a dieci giorni dal voto di domenica 26 novembre.

Scrutate poco dopo la chiusura delle urne circa la metà delle schede, il candidato moderato dell’Alleanza d’Opposizione contro la Dittatura, il presentatore televisivo Salvador Nasralla, era dato dal Tribunale Supremo Elettorale cinque punti in vantaggio (tendenzialmente in crescita) sul suo avversario della destra del Partito Nazionale, il presidente uscente Juan Orlando Hernandez. Tanto che il terzo candidato minore riconosceva la vittoria di Nasralla.

E’ a questo punto che il sistema di trasmissione dei dati si è misteriosamente inceppato per ben tre volte. E quando ha ripreso a funzionare Hernandez è comparso improvvisamente in vantaggio di un punto su Nasralla.

I disordini sono subito scoppiati a Tegucigalpa e nelle principali città del paese, con un saldo di almeno sette vittime per mano delle forze di sicurezza. Il governo di Hernandez come reazione ha imposto, scrutinio in corso, lo stato d’emergenza per dieci giorni; con coprifuoco dalle sei di sera alle sei del mattino.

Il Tribunale Elettorale ha nel frattempo concluso il conteggio, che darebbe Hernandez vincitore; pur curiosamente senza proclamarlo ufficialmente come tale, di fronte alla pressante richiesta da parte dell’opposizione di ripetere la conta delle schede, in particolare il risultato di circa cinquemila urne mai pervenuto.

Il broglio è apparso da subito clamoroso. Tuttavia, dopo la repressione delle prime manifestazioni di piazza, è giunto il colpo di scena. Numerosi reparti della polizia, compresi i corpi speciali Cobras e Tigres, hanno annunciato uno sciopero bianco, rinchiudendosi nelle caserme e rifiutandosi di intervenire a soffocare le proteste.

Di qui gli osservatori internazionali dell’Organizzazione degli Stati Americani, fino a quel momento timidi, hanno preso coraggio ed hanno chiesto al Tribunale Supremo di accogliere la richiesta di Nasralla di includere nel conteggio le cinquemila urne mancanti. Gli osservatori dell’Unione Europea sono arrivati persino a sollecitare il rifacimento dell’intero scrutinio.

Di qui lo stallo; mentre è in corso un braccio di ferro fra i poteri forti di questo paese dagli esiti imprevedibili. Con l’ambasciata degli Stati Uniti (priva di ambasciatore da mesi) inusualmente silenziosa.

E’ d’obbligo ricordare che l’Honduras viene dal colpo di stato del giugno 2009, per il quale il presidente Manuel Zelaya (il cui partito è in coalizione con Nasralla) fu prelevato a forza dal suo palazzo e deportato a bordo di un aereo militare in Costa Rica. La sua colpa? Aver annunciato la realizzazione di un referendum popolare di riforma della Costituzione che permettesse la sua rielezione.

Hernandez si è invece ricandidato violando con disinvoltura la carta costituzionale grazie al suo controllo sulla Corte Suprema, che ha formulato una deroga speciale all’articolo che vieta la ricandidatura presidenziale.

Sullo fondo la lunga storia dell’ultima Banana Republic dell’istmo centroamericano, convertitasi in un narco-stato, di cui Juan Orlando Hernandez è il boss, insieme ad altri suoi pari dell’oligarchia honduregna e di settori dell’esercito. In attesa dell’epilogo della farsa elettorale in corso.

  • Autore articolo
    Gianni Beretta
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