TUZLA, BOSNIA-ERZEGOVINA – Nei Balcani ancora si spera nell’Unione Europea accogliendo le famiglie in fuga dall’orribile guerra mediorientale.
Al campo di registrazione e transito dei profughi di Slavonski Brod in Croazia, accanto alla autostrada Zagabria-Belgrado, afghani e pakistani scendono stralunati dal treno delle 8 del mattino. Chiedono dove si trovano, prendono un bicchiere di caffè dalla suora che ne prepara a vassoi. Poi si infilano nelle tende dove ci si compilano le carte per la registrazione in entrata nella Unione Europea. Stanno in file assieme ai loro bimbi dagli sguardi stupiti e avvolti nelle giacche a vento.
Un gruppo di siriani a Slavonski Brod – Foto di Claudio Gherardini
Non fa freddissimo e non c’è neve a terra e la giornata si presenta solare ma forse queste famiglie non si accorgono nemmeno del tempo che fa.
La responsabile del campo che ci accompagna ci dice che sono quasi tutti passati nel continente sulle barche e gommoni ormai troppo tristemente famosi, rischiando la vita loro e dei loro figli.
Si prendono le impronte digitali, praticamente nel silenzio quasi totale e poi si accede al tendone delle organizzazioni umanitarie dove si può scegliere tra vari doni utili. Coperte, scarpe, zainetti, asciugamani e molto altro.
C’è anche il banco per chiedere asilo al governo di Croazia ma la nostra guida ci conferma che nessuno la chiede. Tutti vogliono ripartire subito verso nord, verso l’ignota terra che si dice sia promessa di vita migliore.
Il campo di Slavonski Brod è ben organizzato e ha ricevuto i complimenti da varie autorità internazionali e potrebbe anche ospitare temporaneamente i profughi. C’è anche un piccolo ospedale da campo ma è vuoto, viene usato solo se qualcuno sta male oppure per le partorienti. Nessuno vuole fermarsi qui.
Sembra che il precedente governo croato abbia inviato un ministro sul posto in grado di organizzare bene l’accoglienza e il passaggio, che fra l’altro avvengono in accordo con il governo serbo. Dopo un momento di tensione le cose si rimisero a posto tra Zagabria e Belgrado e i due governi collaborano fattivamente, il che non è cosa proprio banale.
Dopo gli arrivi a migliaia dei mesi scorsi (questi tendoni visto passare oltre duecentomila persone) ora il flusso è di poco meno di mille al giorno. La situazione si è complicata nei Paesi di fronte al Mediterraneo e i profughi in fuga non sanno che nemmeno il Nord si salva.
Come sempre quello che colpisce al cuore sono i bambini profughi e viene da pensare che se si lascia tutto e si rischia la vita dei propri figli, significa che non si può restare a casa propria perché rimanere sarebbe ancora più rischioso. Questo concetto non è troppo chiaro qua a Nord, dove molti pensano che questi disperati vengano per rubarci qualcosa.
In Bosnia Erzegovina non arrivano profughi: sanno già che qua c’è poco da chiedere. La Bosnia è il tappeto dove si è voluto nascondere la coscienza sporca di Serbia e Croazia e dove gli islamici sono miti ma non come una volta.
I tre protagonisti del momento, Russia con Putin, Islam con la Turchia e Arabi e Europa con il Vaticano, si fronteggiano ancora una volta nella bellissima terra bosniaca dove pochissimi detengono tutto il potere e lo fanno per dividere ancora i popoli in povertà.
Eppure qua si pensa ancora di diventare europei di serie A. Con l’entrata in UE della Croazia anche per andare al mare un bosniaco ha bisogno del passaporto. Anche i più pessimisti alla fine si comportano come se comunque il futuro diverrà europeo anche per loro.
Di risorse ce ne sarebbero in Bosnia Erzegovina: in tanti stanno inventando attività per i viaggiatori e i turisti. Dal rafting al ciclismo, fino alla gastronomia ricercata e pregiata, ci sono moltissimi giovani molto attivi. Anche loro sperano e lavorano per diventare europei di prima classe.
Purtroppo due generazioni di politici europei hanno agito ciecamente solo per interessi nazionali senza visuale alta e seguendo l’intestino degli elettori anziché seguire la mente lucida dei fondatori europei. Siamo ancora all’Europa delle patrie anziché alla patria europea. E stiamo andando alla rovescia.
Oggi si costruiscono nuovi steccati prima ancora di aver definitivamente abbattuto i precedenti. Le vittime ovviamente sono i profughi e i poveri, tanti bambini e vecchi. Le mafie ringraziano, con i confini moltiplicano i guadagni.
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Il cantante degli Editors Tom Smith racconta la sua nuova avventura solista
Di passaggio in Italia, il frontman degli Editors Tom Smith ci ha fatto visita a Radio Popolare per raccontare la nascita del suo primo album solista “There is nothing in the dark that isn’t there in the light”. Un progetto che nasce dal desiderio di fermarsi, respirare e mettersi in gioco in modo più vulnerabile e sincero. In questa intervista, Tom parla del bisogno di tornare a un suono più naturale e acustico, lontano dall’estetica elettronica del gruppo, lasciando le canzoni più vicine alla loro forma originaria. Condivide anche come sia cambiato nel tempo il suo rapporto con la musica, tra scoperte giovanili che hanno plasmato la sua identità e nuovi ascolti capaci ancora di sorprenderlo. Pur esplorando nuove strade, Tom ribadisce che non si tratta di un addio agli Editors: è solo un capitolo diverso, prima di tornare “ai suoi fratelli” sul palco e in studio.
Vieni con me è una grande panchina sociale. Ci si siedono coloro che amano il rammendo creativo o chi si rilassa facendo giardinaggio. Quelli che ballano lo swing, i giocatori di burraco e chi va a funghi. Poi i concerti, i talk impegnati e quelli più garruli. Uno spazio radiofonico per incontrarsi nella vita.
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La sigla di Vieni con Me è "Caosmosi" di Addict Ameba
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È la trasmissione che da settembre del 2014 si interroga su i mille intrecci di una coabitazione sul pianeta attraverso letteratura, musica, scienza, costume, linguaggio, arte e storia.
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