La giornalista Olena Gubanova e il cameraman Yevgen Karamzin sono stati uccisi ieri nei pressi di Kramatorsk dall’esplosione causata da un drone russo. I due, insieme al collega Aleksandr Kolichev, si erano fermati a una pompa di benzina quando l’attacco russo li ha sorpresi. Per loro non c’è stato scampo, mentre Kolichev si trova ora all’ospedale ricoverato in condizioni gravi. Per i vertici ucraini si è trattato dell’ennesimo crimine di guerra russo e di un attacco mirato ai giornalisti. Zelensky accusa che non si tratta di incidenti o errori, ma di una strategia deliberata per mettere a tacere tutte le voci indipendenti che denunciano i crimini di guerra commessi dalla Russia in Ucraina. Il presidente ha parlato di 135 operatori dei media uccisi dal 24 febbraio 2022. Stando ai dati delle federazioni europee e internazionali dei giornalisti, il numero di colleghi ammazzati da quando i carabinieri di Mosca hanno varcato il confine ammonta a 17. L’ultimo, il 3 ottobre, il francese Anthony Lalique freddato da un drone nei pressi di Dushkivka, a poca distanza da dove sono morti i colleghi ieri. Il fatto è che il raccontare la guerra in Ucraina dal fronte o dalle aree a ridosso è diventato sempre più pericoloso, da quando i droni sono diventati padroni dei cieli, anche per correre pochi chilometri in macchina è un azzardo e quando ti sposti lungo le strade del Doneck, la paranoia è costante, il pericolo altissimo. I militari hanno parzialmente abbassato il rischio grazie a sistemi che interferiscono con le frequenze dei droni, ma i giornalisti che sono in possesso di questi sistemi sono ancora pochissimi dato il costo molto elevato e in molti casi persino seguire un’evacuazione di civili o un trasporto di feriti può essere letale.
di Sabato Angieri


