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Turchia, verso la chiusura di “Fermeremo i femminicidi”, il più grande gruppo di attiviste per i diritti delle donne del paese

Proteste femministe in Turchia

Quando l’anno scorso, a luglio, il Governo di Tayyp Erdogan ha annunciato che la Turchia sarebbe uscita dalla Convenzione di Istanbul, nelle strade del Paese si sono riversate centinaia di donne per protestare contro la decisione.

Tra le associazioni scese in piazza c’era anche “We Will Stop Femicide”, il più grande gruppo di attiviste per i diritti delle donne del Paese.
L’organizzazione, fondata nel 2010 dopo l’omicidio di una ragazza di 17 anni, uccisa dal fidanzato, conta 750 membri attivi e dal 12 anni si occupa di denunciare i casi di femminicidio che in Turchia ogni anno raggiungono numeri preoccupanti.

“We Will Stop Femicide” ha resto noto di aver ricevuto da parte del governo turco la richiesta di sciogliere l’associazione.
La notizia, riportata dal Guardian, arriva in un momento in cui i femminicidi nel Paese stanno pericolosamente aumentando. Secondo dati raccolti da “We Will Stop Femicide”, l’anno scorso le donne uccise sono state 416. A queste se ne aggiungono 72, ammazzate nei primi tre mesi del 2022.

Emma Sinclair-Webb, direttrice della sezione Turchia dell’ONG Human Rights Watch, ha denunciato attraverso i media e i suoi profili social quanto sta accadendo, definendo la manovra del governo turco “l’ennesimo tentativo di screditare il movimento in difesa dei diritti delle donne”.

“Stanno cercando di far credere alle persone che l’associazione stia, in qualche modo, agendo contro la legge e contro la morale. Ma si tratta solo di un manovra per fomentare le divisioni interne, prendendo di mira un’organizzazione che sta facendo un lavoro legittimo.
È un tentativo per screditare l’intero movimento per i diritti delle donne in Turchia. E anche per mettere le donne una contro l’altra, creando una divisione tra quelle che supportano il governo, conservatrici e pie, e quelle che organizzano questo tipo di attività, che invece sono molto critiche del governo. Le screditano facendo intendere che siano coinvolte in attività immorali, illegali, svilendo il loro lavoro.
L’associazione è stata accusata di essere contro l'”integrità delle famiglie turche”, è questo il pretesto che stanno usando. Ma è un concetto talmente soggettivo, vago, non è la precisa descrizione di un crimine, giusto?
Il fatto che una piattaforma che si occupa di diritti delle donne e lotta contro il problema degli omicidi delle donne in Turchia sia accusata di questo è scioccante, anche perché si tratta di una piattaforma molto popolare a livello internazionale.
Vogliono costringere al silenzio il lavoro di questa associazione”.

Ma in un Paese dove la difesa delle donne è soltanto una formalità, come ci spiega anche Sinclair-Webb, il lavoro di queste organizzazioni è fondamentale.

“Ci sono diverse leggi in Turchia per prevenire e perseguire i reati come la violenza domestica ma quello che vediamo, sfortunatamente, è che tutto l’impianto legale non viene poi messo efficacemente in atto per proteggere le donne. Ci sono enormi lacune nel sistema e queste possono essere mortali.
Ma il governo turco, lo stesso presidente, non supportano l’idea di “parità di genere”. E lo stesso uso del termine ora non esiste più nei documenti governativi, è stato eliminato. Anche se la Turchia è obbligata dalle leggi internazionali a rispettare la “parità di genere”, e non può smarcarsi da questo, la linea politica del governo non segue in alcun modo questa direzione.
Quindi, quella che prevale nel Paese è una visione conservatrice delle donne, considerate come esseri deboli, da proteggere. Una visione veramente paternalistica che vede anche sempre contrapposti i diritti delle donne ai valori familiari. Come se le due cose fossero in opposizione!
Si tratta di argomentazioni assolutamente false ed è il tipico discorso che viene fatto anche in altri Paesi. La Turchia non è l’unico dove si tenta di screditare i diritti delle donne, in favore dei valori della famiglia”.

Nei prossimi mesi, forse anche anni, “We Will Stop Femicide” dovrà probabilmente affrontare una lunga battaglia legale per riuscire a continuare la sua attività, a meno che non vengano ritirate le accuse mosse contro l’associazione. Sinclair-Webb è convinta però che il governo turco non riuscirà a costringere al silenzio le attiviste.

“Voglio dire un’ultima cosa. Intorno alla questione ora si è alzato un grande clamore perché abbiamo assistito anche in passato a tentativi simili. Tuttavia, molti di questi non hanno mai funzionato.
Diverse organizzazioni per i diritti LGBT+ avevano ricevuto lo stesso tipo di minacce ma sono finite in nulla. Non ci riusciranno neanche questa volta.
“We Will Stop Femicide” è un gruppo estremamente noto all’opinione pubblica locale e internazionale, non riusciranno in alcun modo a fermarlo”.

Eleonora Panseri
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    Gran Bretagna e Germania, i grandi malati d'Europa. Il primo ministro britannico Starmer e il cancelliere tedesco Merz sono entrambi proiettati in una rincorsa della destra estrema. Il laburista britannico Starmer, due settimane fa: «restauriamo ordine e controllo», titolo di un documento presentato alla Camera dei Comuni. Il democristiano tedesco Merz: ci vogliono «controlli ai confini e respingimenti» perchè «l’immigrazione ha un impatto sul paesaggio urbano». Proprio così. Germania e Gran Bretagna, due potenze economiche mondiali: la Germania (80 milioni di abitanti) con il terzo pil del mondo (dopo Stati Uniti e Cina); il Regno Unito (con 60 milioni di abitanti) con il sesto pil mondiale (dopo la Germania c’è il Giappone e l’India e poi il Regno Unito). La “malattia” (la rincorsa ad essere a volte più a destra delle destre) rischia di cambiare i connotati a tradizioni politiche europee centenarie: come il laburismo britannico, il popolarismo democristiano tedesco insieme alla socialdemocrazia, sempre in Germania. Pesa, inoltre, un discorso pubblico sempre più contaminato da un lessico guerresco. Che danni può provocare questa “malattia” in due paesi fondamentali del continente europeo? Pubblica ha ospitato la storica Marzia Maccaferri (Queen Mary, University of London) e il giornalista Michael Braun (corrispondente da Roma del berlinese Tageszeitung).

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    Lista stupri. Una delle ragazze minacciate: “L’educazione sessuo-affettiva serve ad arginare le violenze”

    L’educazione sessuale a scuola si farà solo con il consenso dei genitori degli studenti minorenni, sia alle medie sia alle superiori. Alla Camera ieri è arrivato il via libera agli emendamenti al ddl Valditara tra le proteste delle opposizioni. È stato respinto anche un emendamento che prevedeva di togliere il consenso dei genitori in caso il corso fosse organizzato dalle Asl, quindi non da associazioni ma dal servizio sanitario nazionale. Intanto, prosegue l’indagine della procura di Roma "lista degli stupri” comparsa nei giorni scorsi nei bagni del liceo romano Giulio Cesare. Al momento il reato ipotizzato è istigazione a delinquere finalizzata alla violenza sessuale. Andrea, una delle studentesse del Giulio Cesare il cui nome era presente nella lista, al microfono di Mattia Guastafierro, ci racconta qual è il clima a scuola: “Ci sono stati dei precedenti, sicuramente non così gravi: stati bruciati dei cartelloni contro la violenza sulle donne nel bagno dei maschi, sono state strappate delle petizioni messe in bacheca per sensibilizzare alla violenza di genere. Purtroppo ci sono persone che hanno avuto un'educazione familiare estremamente poco consapevole di certe cose e purtroppo questa è la prova che un argomento così terribile come lo stupro possa essere utilizzato con leggerezza e, anzi, scritto su un muro di un bagno”. Inoltre, Andrea riconosce l'importanza dell'educazione sesso-affettiva nelle scuole: "Noi passiamo tantissime ore all'interno delle mura scolastiche e quindi deve essere la scuola a insegnare ed arrivare dove la famiglia magari non riesce. C'è molta disinformazione su quello di cui si tratta nell’educazione sessuo-affettiva: serve per insegnare il consenso, per conoscere se stessi senza paure, senza timori e stigmi sociali, per accettare ogni parte di sé. Facendo questo percorso dentro la scuola inevitabilmente la violenza di genere, e le violenze in generale, vengono arginate proprio perché la violenza parte da un'insicurezza. Se noi insegniamo che va bene averle, che queste si possono gestire, come gestire le relazioni, i conflitti ed educare al consenso, io credo che queste cose non succederebbero più. La scuola se ne deve far carico".

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