Approfondimenti

Trump reprime, le banche finanziano

“O ve ne andate o scatteranno gli arresti”. Prima l’ultimatum, poi lo sgombero, con scontri e nove arresti dei nativi del campo di Standing Rock Sioux Tribe, che da sei mesi stanno bloccando il tratto di costruzione dell’oleodotto Dakota Access (DAPL). L’amministrazione Trump, come annunciato, sta portando avanti la linea dura della repressione. I nativi ora stanno preparando la marcia su Washington del 10 marzo.

Trump aveva autorizzato la conclusione dei lavori dell’oleodotto contro il quale resistono da mesi i nativi, sotto i colpi della repressione della polizia e delle guardie private, con oltre 200 arresti e numerose violenze. È stato documentato l’uso di proiettili di gomma, di elicotteri e di potenti riflettori per illuminare a giorno gli accampamenti e impedire il sonno. E poi ancora episodi di detenzione di persone in cucce per cani e maltrattamenti durante gli arresti, nonché l’uso di idranti, con temperature ben al di sotto dello zero, che hanno gelato i nativi.

La polizia poco prima dello sgombero a Standing Rock - 22 febbraio 2017
La polizia poco prima dello sgombero a Standing Rock – 22 febbraio 2017

L’ultimo tratto dell’oleodotto (alcuni chilometri) attraversa i terreni sacri per la nazione Lakota, le vaste pianure all’interno della riserva indiana di Standing Rock, quella in cui fu ucciso Toro Seduto. Ma soprattutto le tubature – che avranno una capacità massima di 550 mila barili di greggio al giorno – passeranno sotto il fiume Missouri e le acque del lago Oahe, con il rischio reale di una contaminazione delle falde acquifere.

I nativi si preparano all'arrivo della polizia - 22 febbraio 2017
I nativi si preparano all’arrivo della polizia – 22 febbraio 2017

E mentre Trump reprime le tribù raccolte a Standing Rock Sioux Tribe – “violando diritti fondamentali”, come ha denunciato Amnesty International – le banche continuano a finanziare il mega oleodotto, tra queste anche la più importante in Italia: Intesa San Paolo.

Greenpeace ha avviato una campagna per chiedere alle banche di ritirare i finanziamenti al DAPL. Andrea Andrea Boraschi è il responsabile Campagna Clima ed Energia – Greenpeace Italy: “Ora più che mai, dopo l’intervento repressivo contro Standing Rock Sioux Tribe occorre che le banche che finanziano il progetto facciano una scelta. Non possono finanziare un progetto che reprime i diritti, danneggia l’ambiente e non rispetta la minoranze. Il tempo è scaduto. La banche che sostengono il Dakota Access Pipeline deve fare ora una scelta”.

I finanziamenti delle banche al Dakota Access
I finanziamenti delle banche al Dakota Access

Intanto Greenpeace ha compiuto, il 16 febbraio, una prima clamorosa protesta: quella contro la sede della banca ING, ad Amsterdam. Venti attivisti hanno installato un tubo di grande portata, lungo venti metri, fin dentro all’ingresso della sede principale del gruppo ING per rappresentare chiaramente l’impatto dell’opera, dell’oleodotto che si vorrebbe realizzare.

Greenpeace ha anche scritto una lettera a Intesa San Paolo chiedendo se intende continuare a finanziare l’oleodotto. “Ma sino a ora – spiegano gli ambientalisti – da parte della banca italiana c’è un “silenzio assordante”.

Radio Popolare ha chiesto a Intesa San Paolo un’intervista. Ci è stato mandata invece una nota scritta che trovate in fondo a questo articolo. Nella nota si dice, tra l’altro, che “Intesa San Paolo conferma il suo impegno a seguire da vicino e con la massima attenzione i risvolti sociali e ambientali legati al finanziamento del Dakota Access Pipeline – in particolare il rispetto dei diritti umani”.

Andrea Boraschi, voi di Greenpeace chiedete a Intesa San Paolo, e alle altre banche, di fare un passo indietro, di ritirare i finanziamenti al Dakota Access. Perché?

“Perché è un progetto distruttivo. Parliamo di violazione dei diritti umani di una comunità, di gravi rischi per l’ambiente in quanto l’oleodotto attraversa un’area con risorse idriche importanti, che servono17 milioni di persone. E poi se continuiamo a costruire infrastrutture per le fonti fossili il clima non lo salveremo mai”.

Voi avete scritto a Intesa San Paolo per chiedere se intende continuare a finanziare il DAPL. Avete avuto risposte, impegni?

“No. Ci hanno detto che stanno valutando. Allora per incrementare la pressione abbiamo avviato una petizione online dal titolo ‘Trump vuole l’oleodotto. Intesa lo finanzia, tu che da parte stai?‘”. (Nella petizione si dice: “Il silenzio di Intesa è assordante. Unisciti a noi! Difendi la terra dei Sioux dal businnes senza scrupoli delle banche”, ndr).

Quindi il vostro messaggio a Intesa?

“Chi gestisce il patrimonio di milioni di risparmiatori non può derogare dall’investire in modo etico e responsabile, e finanziare questo progetto, il Dakota Access, non è né etico, né responsabile”.

Lei dice questo ma Intesa San Paolo ribadisce che agisce nel rispetto del suo codice etico e degli standard internazionali, dei diritti umani.

“Ma guardi, sono stati testimoniati, documentati dai media internazionali la pesante violazione, la repressione dei diritti umani dei nativi, episodi ripetuti di violenza. E poi quelle comunità hanno dei diritti di sovranità sui territori riconosciuti dai trattati richiamati anche davanti all’Onu”.

Intesa San Paolo sostiene che l’attenzione al territorio è parte integrante del suo operare. Cosa risponde?

“Rispondo che se una banca ha un codice etico, di tutela dei diritti e del territorio e poi questo non le impedisce di finanziare un progetto del genere, allora vuol dire che quei codici sono inefficaci, deboli.

Intesa ha annunciato un indagine su quello che sta accadendo a Standing Rock, ma dovevano farlo ben prima, ora il tempo corre e avete visto come si sta muovendo Trump, con lo sgombero. E non si fermerà, farà di tutto per garantire l’industria fossile americana”.

Intesa sostiene che comunque la sua “esposizione nel DAPL è contenuta”. Lei cosa dice?

“Il suo investimento è contenuto solo se lo confrontiamo con altri investitori. In realtà si tratta di 339 milioni di dollari, cifra sino a oggi non smentita”.

Che messaggio vuol mandare al presidente del Consiglio di Ammistrazione di Intesa San Paolo, Gian Maria Gros-Pietro?

“Intesa deve darsi un codice, uno standard etico e ambientale di utilizzo dei fondi di cui dispone, che sono in larga misura anche di tantissimi correntisti, risparmiatori italiani, molto alto. Credo sia un pessimo business per un gruppo come Intesa aver investito in un progetto così controverso. Noi faremo di tutto per informare anche i clienti della banca di come vengono usati i loro soldi. Auspichiamo quindi un ravvedimento rapido dei vertici della banca”.

***

Questo il testo che Intesa San Paolo ci ha inviato.

“Intesa Sanpaolo, nonostante la sua esposizione in questo progetto sia contenuta, conferma il suo impegno a seguire da vicino e con la massima attenzione i risvolti sociali e ambientali legati al finanziamento del Dakota Access Pipeline – in particolare il rispetto dei diritti umani – in coerenza con i principi espressi nel suo Codice Etico e con gli standard internazionali in campo sociale e ambientale a cui aderisce (innanzitutto gli Equator Principles e il Global Compact delle Nazioni Unite).Consapevole delle proteste in corso, Intesa Sanpaolo si è unita al gruppo di istituzioni finanziarie che ha commissionato a un esperto indipendente specializzato in diritti umani un’analisi delle politiche e delle procedure adottate dai promotori del progetto in materia di sicurezza, diritti umani, coinvolgimento della comunità e patrimonio culturale. A seguito di tale riesame, l’esperto fornirà, nel caso, raccomandazioni per il miglioramento delle politiche e procedure nel proseguimento del progetto. Le istituzioni finanziarie, certe dell’attenta considerazione di questo delicato caso da parte delle Autorità statunitensi e del coinvolgimento dei governi tribali da parte delle Autorità, ritengono che i promotori esamineranno e terranno in considerazione tali raccomandazioni.Per Intesa Sanpaolo l’attenzione verso il territorio non data da oggi ma è parte integrante e consuetudinaria della sua business conduct, come indicato nel Codice Etico e testimoniato dall’ampio programma di interventi a favore delle comunità in cui opera.”

***

Le foto pubblicate sono dell’Agenzia Reuters

  • Autore articolo
    Piero Bosio
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