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L'Ambrosiano

Natale, 10 idee-regalo per gioire, cambiare ciò che non va, a cominciare da noi

Ti auguro di ricevere qualcosa che solo tu puoi regalarti, ma di cui altri potranno godere se non terrai solo per te ciò che pensi, senti, trovi e ricevi.

Ti auguro un po’ di silenzio, che non è solo disconnettersi dai social, ma spegnere il modo che hai di lasciarti possedere da tutto, distraendoti da te.

Ti auguro un po’ di stupore; le cose che osservi sono le stesse di ogni giorno: sei tu che le vedi in modo differente, se ti poni da vertici inusuali.

Ti auguro d’avere un po’ di tempo per te: lo trovi in te stesso, magari nel vuoto disorientante e salutare di quando ti chiedi «non so cosa fare».

Ti auguro un po’ di ascolto: hai cose indubbiamente interessanti cui prestare orecchio; la prima: sta a sentire, poi decidi se vale la pena di parlare.

Ti auguro un po’ di compassione: non si sta mai bene o male da soli, ma è insieme agli altri che puoi gioire o patire, vaccinarti dall’indifferenza.

Ti auguro un po’ di perseveranza: se ti applichi con amore a ciò che fai e con gioia sei quello che sei, allora essa ti è piacevole compagna di viaggio.

Ti auguro un po’ di sogni: è il modo per stare con i piedi per terra guardando in alto e lontano, è l’immaginazione che rinnova te e il mondo.

Ti auguro un po’ di invisibile: è un dono straordinario; è accorgerti che tutto non incomincia né finisce con te, ma se tu non ci fossi alla storia mancherebbe un pezzo di importante, che un qualcosa di Invisibile (la storia? Dio? Il Mistero?) ha pensato sin da principio per fortuna tua, mia, del mondo.

Ti auguro di provare ad essere me; io cercherò di mettermi nei tuoi panni: parleremo, semineremo rispetto, voglia di cercare, parlare, amare, rinnovare, e ci contageremo di fiducia negli altri, nel lasciarci sorprendere, nella provvidenza (che la c’è!): quanto alleggerisce convincerci che tutto non dipende da noi, che siamo unici, ma non soli: 365 giorni, non solo a Natale

  • Marco Garzonio

    Giornalista e psicoanalista, ha seguito Martini per il Corriere della Sera, di cui è editorialista, lavoro culminato ne Il profeta (2012) e in Vedete, sono uno di voi (2017), film sul Cardinale di cui firma con Olmi soggetto e sceneggiatura. Ha scritto Le donne, Gesù, il cambiamento. Contributo della psicoanalisi alla lettura dei vangeli (2005). In Beato è chi non si arrende (2020) ha reso poeticamente la capacità dell’uomo di rialzarsi dopo ogni caduta. Ultimo libro: La città che sale. Past president del CIPA, presiede la Fondazione culturale Ambrosianeum.

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Mia cara Olympe

Nell’ultima riga, le speranze

No, non è il Natale che ci aspettavamo. E non lo saranno il Capodanno, e l’Epifania.

No, non è così che ce l’eravamo dipinti, noi più ‘virtuosi’ di altri, noi più sfortunati e colpiti di altri all’apice durissimo della pandemia. Noi che mettiamo in atto un’aspettativa risarcitoria e lo facciamo sempre pur sapendo assai bene quanto sia fallace. Abbiamo stretto i denti, abbiamo sopportato, siamo stati disciplinatamente alle regole, abbiamo vissuto perdite e lontananze, guai e fatiche, ci siamo messi in fila per i benvenuti vaccini: che qualcuno ora ci dia un Natale che sembri almeno un po’ Natale, in cui ci si possa vedere e abbracciare e fare un po’ festa, pensavamo. Che ci ripaghi, insomma, di quello in zona rossa dello scorso anno e di tutto il resto: d’accordo, sarà un pensiero puerile e un po’ magico, soprattutto per le anime laiche, ma alzi la mano chi di noi non lo ha fatto.

Invece. Saltano cene, viaggi, incontri, partenze, ritorni e programmi come i tappi delle bottiglie nei capodanni che ci siamo dimenticati, le file per i tamponi sono interminabili e così le quarantene, in ogni casa c’è una storia che ha il sapore della rinuncia e nessuno sembra indenne dall’avere parenti e amici alle prese con il Covid. Non la bestia cattiva di prima dei vaccini, ma comunque Covid. È ancora un Natale di piena pandemia.

Reggetevi ai sostegni, sentono ripetere costantemente i passeggeri della metropolitana di Milano: e non basta l’avviso se poi, com’è accaduto ancora una volta nei giorni scorsi, una bruschissima frenata d’emergenza riesce a spedire una decina di persone al pronto soccorso. Ma, incidente a parte e cause che si vorrebbe vedere lestamente chiarite e risolte, ogni volta quel richiamo mi appare come l’augurio adatto a questo tempo ancora difficile, sempre incerto, che ha addosso tutta la fatica che abbiamo cumulato.

Reggersi ai sostegni della propria vita, non dimenticarseli, non sottovalutarli: dirseli e ridirseli, contarli e ricontarli sulle dita, scrutarli uno per uno, quando occorre. E adesso, più di altri momenti, occorre. Sostegni di ogni tipo e ciascuna e ciascuno sa cosa mettere nella propria lista, che è unica ed è  questo il suo bello. Lo farò anche io e nella mia lista dei sostegni ci sono, come nel gioco che si faceva da piccoli, nomi, cose, città, fiori eccetera. L’ultima riga, però, nel gioco non c’era e la tengo per le speranze. 

  • Assunta Sarlo

    Calabromilanese, femminista, da decenni giornalista, scrivo e faccio giornali (finché ci sono). In curriculum Ansa, il manifesto, Diario, il mensile E, Prima Comunicazione, Io Donna e il magazine culturale cultweek.com. Un paio di libri: ‘Dove batte il cuore delle donne? Voto e partecipazione politica in Italia’ con Francesca Zajczyk, e ‘Ciao amore ciao. Storie di ragazzi con la valigia e di genitori a distanza’. Di questioni di genere mi occupo per lavoro e per attivismo. Sono grata e affezionata a molte donne, Olympe de Gouges cui è dedicato questo blog è una di loro.

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Bad Input

Ve la ricordate Immuni? È viva e lotta insieme a noi

Aumento di contagi, spesso senza sintomi. Almeno per i più fortunati. A mancare in questa fase, sostengono tutti, è un sistema di tracciamento efficace.

Domanda: quanti stanno utilizzando Immuni? Lo so, l’app non è particolarmente efficace e non ha di certo “sfondato” nell’opinione pubblica. In questo momento, però, potrebbe essere utile. Soprattutto per scovare quei casi positivi asintomatici che rischiano di passare inosservati ma alimentano la pandemia.

Capiamoci: Immuni, da sola, non permetterà mai di eseguire un tracciamento puntuale, ma magari qualche caso ce lo può risparmiare.

Stando ai dati forniti dal sito ufficiale,  è stata scaricata 18 milioni di volte. Nella maggior parte dei casi, però, le persone lo hanno fatto solo per conservare il Green Pass.

Una volta installata, però, tanto vale usarla… no?

  • Marco Schiaffino

    Dopo una (breve) esperienza come avvocato, nel lontano 2000 mi sono trovato quasi per caso a scrivere di Internet e nuove tecnologie, quando il Web e il digitale erano una specie di hobby per smanettoni e appassionati di fantascienza. Mentre continuavo a scrivere per la mia banda di nerd, mi dannavo per trovare il modo di passare a quello che pensavo fosse un giornalismo “più serio”. Qualche volta ce l’ho anche fatta. Poi è successa una cosa strana: quello di cui mi occupavo da anni, ha cominciato a interessare tutti. Ho smesso di dannarmi.

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Tra Buddha e Jimi Hendrix

Rilassati, un giorno morirai! Piccole riflessioni per uscire dalla paura

Guardiamo in faccia la realtà: la vita è insicura, breve e pericolosa.
Lo è sempre stata, ultimamente persino di più. Quindi, per quanto giovane e in salute tu sia, rilassati, perché un giorno morirai. Ogni minuto che passa ci avvicina tutti alla tomba. E questo che ci piaccia oppure no. Siamo un lampo brevissimo in un lungo spazio scuro. Brrr, che brutta immagine. Diamone una un po’ più simpatica. Siamo come quei pop-up che appaiono un secondo o due nel nostro computer, e quando ci accorgiamo della loro presenza se ne sono già andati. Alcuni sono belli, luminosi e li notiamo per la loro capacità di brillare. Di altri invece non ci accorgiamo per niente e svaniscono senza che nessuno se ne accorga. Eppure entrambi hanno una cosa in comune: la loro presenza nel monitor del nostro pc è brevissima. Esattamente come la vita di ogni uomo o donna su questa terra.
Possiamo preoccuparci, spaventarci, intristirci per questa ineluttabile condizione ma questo non cambierà le cose. Il tempo passerà e prima o poi moriremo.
La cosa strana è che la maggior parte di noi vive, agisce e si preoccupa come dovesse vivere per sempre. Se accettassimo la nostra mortalità, probabilmente della nostra vita ne faremmo un uso migliore. Certamente ci incazzeremo meno. Potremmo arrivare persino a ridere della nostra condizione ‘mortale’ e della comicità dell’universo, prendendo in giro tutti quei matti che si picchiano per possedere questo o quello, dimenticando che siamo arrivati in questo mondo senza niente e senza niente da questo mondo ce ne andremo. E svuotando il più possibile la mente dalla pesantezza dei nostri pensieri, un giorno potremmo addirittura arrivare e giocare con la vita, conoscendo più cose possibili del mondo quanto di noi stessi. Sia chiaro: anche in questo secondo caso il tempo passerà ugualmente. Invecchieremo, ci ammaleremo e moriremo, ma magari non oggi. E allora scopriremo che ci sono anche giorni colmi di gioia, profondità e bellezza, e che quando un giorno smetteremo di essere vivi in questa forma mortale torneremo a ricongiungerci con l’energia che soggiace a tutta l’esistenza, sperimentando forme diverse e più sottili di esistenza. Si viene e si va, come canta quel terribile cantautore emiliano che incomprensibilmente in tanti amate. E si ritorna, aggiungerei. Ma non perdiamoci con inutili elucubrazioni filosofiche. Quello che conta è che siamo qui adesso, chiamati a vivere una vita in cui ci riconosciamo completamente. Che poi è l’unica formula infallibile per non avvelenarsela. Senza paura, nessuna paura. Siamo chiamati a vivere tutte le dimensioni possibili che la vita ci serve giorno dopo giorno, belle o brutte che siano. Molte persone vanno dal proprio confidente spirituale – che sia un prete, un monaco, un mullah o un guru – e spesso chiedono: “Padre la prego mi benedica, faccia che non mi accada nulla”. Concettualmente le capisco, sono un cacasotto patentato, ma se ci ripensiamo un attimo, che diavolo di benedizione è? La vera benedizione è che possa accaderci di tutto. Siamo venuti qui per evitare la vita oppure per viverla?
Se siamo venuti per vivere, la benedizione è che le cose ci accadano. Se invece non vogliamo vivere la vita, che in estrema sintesi è un turbinio di avvenimenti continui, cerchiamoci pure un ponte per lanciarci giù perché stare al mondo senza vivere risulta più penoso che essere già morti.
In estrema sintesi, si vive per vivere e fare esperienza. È tutto molto semplice. Quando sei vivo, vivi. E quando sei morto, muori. Ora respiriamo tutti inseme, concentriamoci sui nostri piedi che fanno un passo dietro l’altro… e andiamo.

  • Federico Traversa

    Genova 1975, si occupa da anni di musica e questioni spirituali. Ha scritto libri e collaborato con molti volti noti della controcultura – Tonino Carotone, Africa Unite, Manu Chao, Ky-Many Marley – senza mai tralasciare le tematiche di quelli che stanno laggiù in fondo alla fila. La sua svolta come uomo e come scrittore è avvenuta grazie all'incontro con il noto prete genovese Don Andrea Gallo, con cui ha firmato due libri di successo. È autore inoltre autore di “Intervista col Buddha”, un manuale (semi) serio sul raggiungimento della serenità mentale grazie all’applicazione psicologica del messaggio primitivo del Buddha. Saltuariamente collabora con la rivista Classic Rock Italia e dal 2017 conduce, sulle frequenze di Radio Popolare Network (insieme a Episch Porzioni), la fortunata trasmissione “Rock is Dead”, da cui è stato tratto l’omonimo libro.

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Appunti sulla mondialità

Quale lavoro in futuro?

Nel 2017 Bill Gates, fondatore di Microsoft, lanciò l’idea provocatoria di tassare il lavoro che, in futuro, sarebbe stato svolto dai robot a discapito degli esseri umani occupati nell’industria. Ma il suo allarme fu considerato prematuro e cadde nel vuoto. Invece la sostituzione di manodopera umana con i robot, e più in generale con l’intelligenza artificiale, sta facendo passi da gigante. Si tratta di una riproposizione di ciò che accadde con le delocalizzazioni dell’industria negli anni ’90, quando attraverso il nomadismo delle aziende alla ricerca di Paesi con bassi stipendi si cercava – con successo – di abbattere i costi di produzione. Quei maggiori margini di guadagno, ormai è storia nota, in massima parte non andarono a vantaggio dei consumatori ma si tradussero in capitali accumulati in Paesi esentasse. Ora, con l’introduzione massiccia dell’intelligenza artificiale nei processi industriali, non ci sarà più bisogno nemmeno di migrare: per le aziende, i costi caleranno senza bisogno di uscire dai propri confini.

Secondo diverse indagini, nei soli Stati Uniti nei prossimi anni l’automazione farà perdere dagli 8 ai 15 milioni di posti di lavoro. E in prospettiva, secondo gli esperti, la sostituzione dell’attività umana potrebbe andare a intaccare il 45% circa dei lavori attualmente svolti. Questo processo di erosione dell’occupazione si somma ai costi e alle trasformazioni del sistema produttivo imposti dalla transizione ecologica che i Paesi occidentali, nel tentativo di porre rimedio al cambiamento climatico, hanno giustamente intrapreso. L’industria automobilistica europea, che dal 2035 non dovrebbe produrre più motori termici, potrebbe perdere mezzo milioni di posti di lavoro, solo in parte assorbiti dalla nuova occupazione creata dallo sfruttamento dell’energia rinnovabile. Per non parlare del ciclo industriale del petrolio, che è interessato sia dall’automazione (nella fase di trivellazione), sia dalle ricadute della transizione ecologia (nei settori della raffinazione e distribuzione dei derivati, in declino per via dei cambiamenti nella motorizzazione).

Si pone quindi un problema gigantesco per l’occupazione, paragonabile a quello determinato dalla rivoluzione industriale. Nell’800 i posti di lavoro, eliminati soprattutto nell’agricoltura, erano automaticamente ricreati nell’industria e nei servizi: semplificando, il cocchiere poteva diventare autista, il mezzadro operaio. Anche questa volta l’agricoltura è stata il primo settore nel quale sono comparsi i cambiamenti, con l’introduzione massiccia di macchinari che hanno ridotto al lumicino l’occupazione nel settore cerealicolo e dell’allevamento, risparmiando solo – almeno per ora – il ciclo della frutta e degli ortaggi. La differenza è che oggi il combinato disposto di irruzione dell’intelligenza artificiale nei cicli produttivi e decarbonizzazione del settore energetico sembra destinato a creare un duplice problema: dove troveranno impiego le persone che perdono i posti di lavoro? E come si potrà reggere un sistema pensionistico e di welfare in cui i “sostituti” dei lavoratori non verseranno contributi?

Questo è uno degli aspetti bui delle rivoluzioni green e smart. Tutto il dibattito si concentra sugli aspetti ambientali e sulle questioni produttive, raramente tocca l’aspetto occupazionale, quasi mai allarga il campo fino a comprendere le ricadute sulla società nel suo complesso.

L’ottimismo della volontà, largamente profuso dalla pubblicistica aziendale, non basta. Le promesse dei populisti della Silicon Valley sul futuro radioso dell’umanità, che sarebbe garantito a patto di usare i loro prodotti, non sono sostenute dai dati di fatto. Quella proposta di Bill Gates, di introdurre un prelievo fiscale extra per le imprese che costruiscono i robot e per quelle che li utilizzano al posto dei lavoratori, è rimasta un fatto isolato, nascosto nel silenzio generale. Si continuerà a ignorarla finché l’agenda della globalizzazione ci costringerà a recuperare e ad aprire questo capitolo: ma probabilmente ciò accadrà quando i problemi saranno già grandi e bisognerà ricorrere a criteri emergenziali.

  • Alfredo Somoza

    Antropologo, scrittore e giornalista, collabora con la Redazione Esteri di Radio Popolare dal 1983. Collabora anche con Radio Vaticana, Radio Capodistria, Huffington Post e East West Rivista di Geopolitica. Insegna turismo sostenibile all’ISPI ed è Presidente dell’Istituto Cooperazione Economica Internazionale e di Colomba, associazione delle ong della Lombardia. Il suo ultimo libro è “Un continente da Favola” (Rosenberg & Sellier)

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    Dopo la sforbiciata da 270 milioni in tre anni ai fondi per le politiche anti inquinamento, arriva la conferma che dal governo Meloni arriveranno fondi insufficienti anche per il trasporto pubblico locale. La Lombardia è particolarmente penalizzata e se n’è accorto persino il presidente della giunta lombarda Attilio Fontana che ora chiede più risorse al Governo. La Lombardia riceve il 17,6% delle risorse nazionali destinate al trasporto pubblico, una quota che sembra destinata a non aumentare. Il risultato per chi si muove sui mezzi pubblici è che, sia con la mano del governo nazionale, sia con quello di quello regionale, i fondi sono insufficienti. E davanti ai finanziamenti insufficienti tocca ai comuni integrare con fondi propri. Per le opposizioni di centrosinistra la destra è incapace di risolvere i problemi dei cittadini. La denuncia di Simone Negri, consigliere regionale del Pd che si occupa di trasporti.

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