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Appunti sulla mondialità

Il Risiko della tassa globale

Sono stati il G20 e poi l’OCSE a dare il via a una piccola rivoluzione dal grande significato: quella della Global Tax, proposta da Joe Biden. Un provvedimento che dovrebbe introdurre un principio di equità fiscale globale, chiudendo una parentesi durata tre decenni in cui le grandi multinazionali, soprattutto quelle del settore digitale, sono riuscite legalmente a non versare tasse sui loro profitti, grazie ad abili giochi di fantasia fiscale. Si tratta di un tema di equità che si è fatto urgente: non a caso la decisione è stata presa durante il G20 di Roma, in piena pandemia, da parte di Stati che si stavano indebitando per sostenere società alle prese con il lockdown mentre alcuni comparti industriali e del terziario, proprio grazie alla pandemia, crescevano come mai in passato.

Il percorso della Global Tax verso un’applicazione efficace appare però tortuoso. Il provvedimento introduce una tassazione minima al 15%, nettamente inferiore al 22% proposto dagli Stati Uniti all’inizio delle trattative. Dovrebbe interessare le multinazionali con un fatturato globale sopra i 750 milioni di euro che versano le tasse in Paesi con aliquote inferiori, chiamate ora a versare al fisco del Paese di residenza la “quota mancante” per raggiungere la soglia del 15%. Inoltre, la Global Tax istituisce per le imprese digitali l’obbligo di versare una parte delle tasse nei Paesi in cui vendono e producono il loro fatturato, anche se hanno sede altrove; in questo secondo caso, però, il fatturato deve superare i 20 miliardi con un margine di profitto superiore almeno del 10% rispetto ai ricavi.

Visti questi numeri, parliamo di una tassazione poco più che simbolica. Anzitutto perché il 15% di tasse sui profitti è una delle aliquote più basse al mondo, se si escludono i paradisi fiscali, e poi perché le aziende digitali non avranno difficoltà a mostrare a bilancio che i loro profitti non superano il 10% dei ricavi. Dunque l’aspetto più forte di questo provvedimento dovrebbe essere il suo valore politico e simbolico. Ma la tassa, che avrebbe dovuto entrare in vigore all’inizio del 2023, è già stata rimandata di un anno. E non è nemmeno detto che alla fine venga davvero applicata, perché nel fronte dei Paesi che dovrebbero “spingere” per l’introduzione della nuova tassa si sono evidenziate diverse spaccature. Nel Consiglio Ecofin dell’Unione Europea dello scorso aprile sono rientrate le resistenze di Svezia, Malta ed Estonia, ma non quelle della Polonia, che minaccia di porre il veto alla riunione di fine maggio. In realtà Varsavia non è interessata alla questione della Global Tax: sta semplicemente tentando di ricattare l’Unione Europea per via del blocco dei pagamenti del PNNR decretato da Bruxelles verso i Paesi responsabili di violazioni dello Stato di diritto.

Negli Stati Uniti le cose non vanno meglio, il Senato è spaccato e i repubblicani non vorrebbero l’aumento della tassa introdotta da Donald Trump sui profitti all’estero delle multinazionali statunitensi, oggi al 10%.

In conclusione, la Global Tax è appesa a un filo. Con ogni probabilità seguirà la scia di altre riforme globali, come quella sul protezionismo in agricoltura in discussione al WTO dal 2003, indirizzata verso l’insabbiamento.

I grandi gruppi che sarebbero stati chiamati a fare la loro parte, versando cioè una parte dei profitti agli Stati in cui operano, sono diventati così potenti da impaurire e condizionare la politica. Chi li attacca rischia di morire, politicamente parlando, per via della grande massa di informazioni e della grande capacità di manipolazione dell’opinione pubblica di cui queste società dispongono.

Nel frattempo gli Stati continuano a indebitarsi, prima per la pandemia e ora per la corsa al riarmo, mentre interi comparti produttivi (sanità, logistica, informatica, armi) ingrassano ulteriormente. L’osmosi tra Stato ed economia rischia così di diventare un abbraccio soffocante da parte di operatori economici sempre più grandi e meno numerosi, che usufruiscono dei servizi materiali e immateriali offerti dagli Stati ma si sottraggono sistematicamente alle loro responsabilità. Prima di parlare di Global Tax al G20, forse andava riscritto il patto di convivenza tra il grande capitale e gli Stati. Perché i grandi capitalisti sono convinti, a ragion veduta, che le loro iniziative non abbiano più limiti né comportino costi, mentre i secondi si ostinano a tentare lotte di retroguardia che non hanno più la capacità di portare a termine.

  • Alfredo Somoza

    Antropologo, scrittore e giornalista, collabora con la Redazione Esteri di Radio Popolare dal 1983. Collabora anche con Radio Vaticana, Radio Capodistria, Huffington Post e East West Rivista di Geopolitica. Insegna turismo sostenibile all’ISPI ed è Presidente dell’Istituto Cooperazione Economica Internazionale e di Colomba, associazione delle ong della Lombardia. Il suo ultimo libro è “Un continente da Favola” (Rosenberg & Sellier)

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L'Ambrosiano

La scialuppa di salvataggio

«Ho scelto di fare la pace con la vita e con gli altri». È il modo che Gemma Capra ha scelto per ricordare il marito Luigi Calabresi, commissario di Polizia assassinato 50 anni fa. Quelle parole m’han toccato il cuore. Sono semplici, sembran venute da un altro mondo: un meteorite su Milano e, per la valenza simbolica delle cose piccole e vere, su Italia, Europa, mondo. Su Milano dove la violenza esplose in piazza Fontana, ma i germi della reazione covavano da quando col centrosinistra l’Italia parve matura da attuare Costituzione, democrazia dell’alternanza, incontro tra cattolicesimo popolare e riformismo socialista. Sul Paese gnucco nel non fare i conti con memoria e verità: son giorni, oltre che per Calabresi di ricorrenze per Pio La Torre, Falcone e Borsellino e grazie a Bellocchio l’omicidio Moro.

Su Europa e altri attori internazionali (Onu, Nato, Usa, Bruxelles, Cina, India, Turchia, Israele) di fatto impotenti perché sempre più irretiti da Putin. Lui continua a condurre il gioco; lascia agli altri d’agire di rimessa. Possono schierarsi in difesa dell’aggredita Ucraina, ma forte è la miopia di usare la politica estera per regolamenti interni (Italia docet!); decidere sanzioni, che però con gli assetti europei sono efficaci sinché non toccano l’interesse di uno Stato o di gruppi. Putin può addirittura alzare la posta, evocare l’incidente nucleare, giustificare la sua invasione con la paura di tutti. La scialuppa di salvataggio Vale per individui, gruppi, Stati. La navigazione della scialuppa, rischiosa e lunga, richiede scorte di: immaginazione, coraggio, pensieri, verità, utopie, cultura, fiducia, umiltà. Ci son scialuppe più di quanto si creda.

Nelle stesse ore in cui Gemma Capra dava respiro a Milano colla sua libertà, ai funerali di Valerio Onida è stato rivelato che, da Presidente della Consulta, il professore s’era prenotato come consulente per i diritti dei detenuti del carcere di Bollate. Fino alla fine fu la sua scialuppa. Ciascuno armi la propria se vuole la pace.

  • Marco Garzonio

    Giornalista e psicoanalista, ha seguito Martini per il Corriere della Sera, di cui è editorialista, lavoro culminato ne Il profeta (2012) e in Vedete, sono uno di voi (2017), film sul Cardinale di cui firma con Olmi soggetto e sceneggiatura. Ha scritto Le donne, Gesù, il cambiamento. Contributo della psicoanalisi alla lettura dei vangeli (2005). In Beato è chi non si arrende (2020) ha reso poeticamente la capacità dell’uomo di rialzarsi dopo ogni caduta. Ultimo libro: La città che sale. Past president del CIPA, presiede la Fondazione culturale Ambrosianeum.

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Tra Buddha e Jimi Hendrix

Quel live di Battiato all’ombra della luce

Arrivai ad Alassio comodo, un’oretta prima del concerto. Con mia moglie Daria – incinta di quello che circa sei mesi dopo sarebbe diventato Leonardo, per tutti “little satan, il nostro secondo figlio” – avevamo deciso che niente ci avrebbe impedito di vedere il concerto del maestro Battiato. Non le nausee, non il lavoro, non il dover tornare a rotta di collo a casa entro la mezzanotte per liberare la babysitter del nostro primo, tranquillissimo figlio Alessandro – per tutti “il piccolo Buddha”. Nessuno poteva rubarci quella bella serata d’estate che avevamo deciso di regalarci prima di tuffarci in una nuova esperienza da genitori e in tutta una serie di allucinanti problemi che – allora questo non lo sapevamo ancora – la vita presto ci avrebbe sbattuto senza garbo sull’uscio di casa.

Avevo inoltre saputo da un amico giornalista molto vicino a Battiato, che il maestro era prossimo al ritiro e quella sarebbe stata una delle ultime occasioni in cui vederlo dal vivo. Il mio amico non si era lasciato scappare nient’altro, resistendo ai miei reiterati tentativi di saperne di più e trincerandosi dietro un “mi spiace non posso dirti altro”.

Il parco San Rocco sembrava un teatro greco, una location altamente suggestiva. E noi stavamo aspettando un artista che poteva tranquillamente passare per la reincarnazione di Platone. Tutto tornava, insomma, eccome se tornava.

Il tempo di ritirare gli accrediti e mangiare un panino sui gradoni e sul palco salì Giovanni Caccamo, vincitore di un Sanremo Giovani di qualche anno prima. Ugola delicata e un tocco al pianoforte abbastanza efficace le sue armi per scaldare il pubblico.

Mi spostai dietro il palco proprio poco prima dell’arrivo di Franco. Sorridente, etereo, divertito ed elegante uscì da un macchinone scuro all’improvviso. Riuscii ad intercettarlo al volo e a regalargli il mio libro sulla meditazione trascendentale, prima che venisse strappato dallo staff e condotto negli spogliatoi, giusto un piano sotto. Dieci minuti dopo eccolo risalire, fra il boato di almeno tre generazioni diverse. Una devozione quasi religiosa che Battiato si era guadagnato emozionando e creando bellezza in modo personale e totalmente suo per oltre quarant’anni. E a chi gli aveva chiesto, quasi come fosse un rimprovero, come avesse fatto lui, cantante sperimentale d’avanguardia, ad adeguarsi al becero ambiente del pop da classifica, candidamente aveva risposto: “Semplice, ho portato il mio mondo nel loro, e non il loro nel mio”.

Quella sera aprì con L’Ombra della Luce, che intonò proprio mentre il sole stava tramontando. Da brividi.

Difendimi dalle forze contrarie
La notte, nel sonno, quando non sono cosciente
Quando il mio percorso si fa incerto
E non abbandonarmi mai
Non mi abbandonare mai

L’orchestra – piano, effetti e quattro archi – cuciva sottofondi delicati, sui quali la voce impastata di misticismo e mestiere dell’artista catanese si accomodava consapevole, con lo stesso confort con cui il suo karmico sedere poggiava sul solito tappeto persiano, immancabile seduta a ogni concerto.

Con Daria era una gara a chi si emozionava di più. Per lei Franco era unico. Per me pure. Spiritualità e musica erano le passioni che accendevano le mie notti invitandomi a spendermi durante il giorno. E il maestro Battiato le incarnava entrambe.

Con Le sacre sinfonie del tempo provai pura e autentica beatitudine.

Che siamo angeli caduti in terra dall’eterno
Senza più memoria: per secoli, per secoli
Fino a completa guarigione

Avevo ancora gli occhi chiusi quando attaccò una sequela di classici, con la beatitudine ad allargarsi a tutto il pubblico, anche quello meno attento, che letteralmente impazzì. La Cura, Summer on a solitary Beach, La Stagione dell’Amore, E Ti Vengo a cercare, Gli Uccelli, e via con alcuni dei passaggi più conosciuti della sua variegata discografia.

Due ore di concerto che volarono alte, come i gabbiani che regnano sui cieli della riviera. Al momento del bis i più esagitati invasero pacificamente il palco per stringere la mano al maestro, complimentarsi, farsi una foto. E lui sorridente, disponibile, empatico, a eseguire gesti e consuetudini di una vita trascorsa sul palco.

Poi, al suono di Le Nostre Anime il buon Franco salutò tutti, scese le scale, salì veloce in macchina e via.

Il mistico aveva lasciato la città.

Qualche mese dopo la carriera.

E dopo qualche altro silenzioso e chiacchierato anno, anche questo mondo.

Sciolto in un oceano di silenzio.

Franco Battiato, un artista unico e solo, diverso da tutti. D’altronde, come diceva lui stesso nell’omonima canzone, le aquile non volano a stormi.

  • Federico Traversa

    Genova 1975, si occupa da anni di musica e questioni spirituali. Ha scritto libri e collaborato con molti volti noti della controcultura – Tonino Carotone, Africa Unite, Manu Chao, Ky-Many Marley – senza mai tralasciare le tematiche di quelli che stanno laggiù in fondo alla fila. La sua svolta come uomo e come scrittore è avvenuta grazie all'incontro con il noto prete genovese Don Andrea Gallo, con cui ha firmato due libri di successo. È autore inoltre autore di “Intervista col Buddha”, un manuale (semi) serio sul raggiungimento della serenità mentale grazie all’applicazione psicologica del messaggio primitivo del Buddha. Saltuariamente collabora con la rivista Classic Rock Italia e dal 2017 conduce, sulle frequenze di Radio Popolare Network (insieme a Episch Porzioni), la fortunata trasmissione “Rock is Dead”, da cui è stato tratto l’omonimo libro.

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Mia cara Olympe

Spagna, la legge sui diritti sessuali e riproduttivi: due buone notizie in una

Ogni tanto è di una buona notizia che si può dire e, in tanta guerra e in tanti guai, ce n’è di molto bisogno.

Quella che arriva dalla Spagna è, per me, una doppia buona notizia: per il contenuto della legge che il governo Sanchez ha approvato –  la legge organica per la Protezione dei diritti sessuali e riproduttivi e di garanzia dell’interruzione volontaria di gravidanza, – e per ciò che l’ha mossa e che dovrebbe servire da esempio anche in queste contrade.

La parte della legge che ne fa un provvedimento apripista in tutta Europa e che rimanda ad una nuova generazione di diritti è quella che rimanda alla salute mestruale: un congedo dal lavoro garantito alle donne che soffrono, su certificazione medica, di mestruazioni invalidanti. C’è già, un provvedimento del genere, in alcuni paesi asiatici, in Europa non esiste, in Italia un progetto giace in parlamento. A chi, anche sul fronte del governo, ha avanzato timori su una possibile ancor maggiore discriminazione delle donne in ambito lavorativo, la ministra di Uguaglianza Irene Montero ha risposto affermando che, invece, questa legge va a smontare l’insieme di pregiudizi e stereotipi che fanno delle mestruazioni un tabù.

C’è poi il corposo capitolo che riguarda l’aborto che in Spagna, dopo la prima legge Zapatero, aveva registrato un tentativo di controriforma  particolarmente restrittivo portato avanti dai popolari nel 2014: la nuova legge riporta l’interruzione di gravidanza dove finora non era ed è importante che stia, ovvero nell’ambito  della sanità pubblica, consentendo il ricorso al privato, nel quale ora si svolge la stragrande maggioranza delle interruzioni di gravidanza, solo in pochi, specifici casi.  Inoltre consente alle giovani donne dai 16 ai 18 anni di abortire senza il consenso dei genitori con un percorso di tutela legale simile a quello italiano e dispone che la pillola del giorno dopo venga gratuitamente fornita nei centri di salute sessuale e riproduttiva.

Questa la prima buona notizia: una buona legge che guarda ai diritti sessuali e riproduttivi in maniera  complessiva e adeguata ai tempi, non dimenticando l’educazione sessuale che viene istituita in tutte le scuole, anche perché, dice la ministra, si sappia che la contraccezione non è solo affare delle ragazze.

La seconda buona notizia sta nella forza che il movimento femminista spagnolo dimostra ancora una volta e nonostante ci siano  divisioni pesanti al proprio interno di cui dà conto qui  Ettore Siniscalchi. Una forza che non è soltanto di piazza – e non è poco per chi ricordi quella straordinaria mobilitazione messa in campo in Spagna e in molti altri paesi, Italia inclusa, nel 2014 per contrastare con successo la controriforma sull’aborto – ma è anche di contrattazione sui tavoli della politica. Non per caso, illustrando la legge in una conferenza stampa che va ascoltata soprattutto,  Irene Montero ha riconosciuto al movimento delle donne di essere il principale artefice dei grandi avanzamenti  femministi a livello istituzionale in Spagna, non per caso ha ricordato il lavoro di tante associazioni e reti che hanno capito per prime che i diritti sessuali e riproduttivi sono la porta fondamentale per la cittadinanza piena delle donne e fanno da termometro della ‘qualità democratica’ di un paese. E non per caso ha definito questa legge un messaggio a a chi, dall’America latina, agli Stati Uniti alla Polonia, sta lottando per ottenere che l’aborto sia libero, sicuro e gratuito o lo sta difendendo da nuovi attacchi.

Non è la prima volta che in Spagna ciò accade e non solo per contrastare un attacco ai diritti delle donne: il movimento femminista era stato protagonista e ispiratore di un’altra legge, quella sulla violenza di genere varata dal governo Zapatero nel 2004, che è stata pioniera in Europa proprio per il suo approccio organico al tema, dalla repressione penale alla tutela delle donne agli aspetti più culturali.  Resta ancora oggi, quella legge che abbiamo studiato con una certa invidia, un importante esempio di come un femminismo forte possa essere non solo capace di imporre una propria agenda alla politica, ma anche di sedersi ad un tavolo per trasformare il proprio sapere in provvedimenti di enorme e collettiva importanza.
La legge sui diritti sessuali e riproduttivi licenziata dal governo Sànchez dovrà vivere altri non facili passaggi. Intanto però vedere una (giovane) ministra  – anche questo elemento va apprezzato nell’infinito dibattito sulla differenza che le donne sono o no capaci di portare nella politica istituzionale – che ricorda il lungo cammino del femminismo, annunciandone un’altra significativa tappa, non solo fa bene ma dovrebbe servire a pensare  anche qui che sì, si può fare.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Un passo indietro: a Milano quel giorno di

 

  • Assunta Sarlo

    Calabromilanese, femminista, da decenni giornalista, scrivo e faccio giornali (finché ci sono). In curriculum Ansa, il manifesto, Diario, il mensile E, Prima Comunicazione, Io Donna e il magazine culturale cultweek.com. Un paio di libri: ‘Dove batte il cuore delle donne? Voto e partecipazione politica in Italia’ con Francesca Zajczyk, e ‘Ciao amore ciao. Storie di ragazzi con la valigia e di genitori a distanza’. Di questioni di genere mi occupo per lavoro e per attivismo. Sono grata e affezionata a molte donne, Olympe de Gouges cui è dedicato questo blog è una di loro.

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Appunti sulla mondialità

Ucraina: il ritorno dalla Dottrina Bush

Al di là della retorica di guerra adottata fin dall’inizio dell’invasione, ora conosciamo le “vere” cause del conflitto ucraino. Nel discorso del Giorno della Vittoria pronunciato sulla Piazza Rossa, il presidente della Federazione Russa Vladimir Putin ha sostenuto che l’Ucraina stava per “ricevere” l’arma atomica e che la Nato aveva in previsione la conquista militare della Crimea e del Donbas. La sua spiegazione dei fatti si allinea con la cosiddetta “legittima difesa preventiva”, una dottrina non contemplata dal diritto internazionale che fu teorizzata e messa in pratica dagli Stati Uniti dopo gli attentati del 2001 contro le Torri Gemelle. In sostanza, gli USA considerarono come “legittima difesa” il ricorso all’azione militare in presenza di una politica di sostegno a gruppi terroristici da parte di uno Stato estero (nel caso dell’Afghanistan) oppure in presenza di una politica tesa all’acquisizione di armi di distruzione di massa suscettibili di essere impiegate in attacchi terroristici (nel caso dell’Iraq). Oggi Putin “reinterpreta liberamente”, come già gli Stati Uniti, l’articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite, secondo il quale la legittima difesa può essere esercitata solo in caso di attacco armato in atto, sferrato da forze regolari attraverso una frontiera internazionale. La difesa preventiva è dunque una forzatura, più volte proposta non solo dagli Stati Uniti ma anche da Israele, che non ha mai trovato consenso generale. Anche perché, se fosse legittimata, autorizzerebbe chiunque ad aggredire altri Paesi sulla base del sospetto delle loro intenzioni bellicose. E poi, quali sono le prove richieste per riconoscere un pericolo imminente? Quali sono le prove di cui dispone Putin per affermare che l’Ucraina stava per ricevere ordigni nucleari o che la Nato stava preparando un intervento militare per liberare la Crimea? Scenari, tra l’altro, piuttosto improbabili, perché entrambi avrebbero determinato uno scontro nucleare certo.

Ovviamente parliamo di propaganda di guerra, utile a giustificare un conflitto che al momento non presenta sbocchi, se non disastrosi, oltre che per l’aggredito anche per l’aggressore. Una guerra che si è impantanata e che dissanguerà sia l’Ucraina sia la Russia, che ha già ripercussioni pesanti sull’andamento dell’economia globale e che potrebbe provocare un dramma maggiore rispetto alla guerra stessa, per via della dipendenza del continente africano dai cereali prodotti dall’Ucraina. Nel discorso di Putin, invece, la giustificazione sulla base del pericolo imminente era autoassolutoria, sull’esempio forse dell’intervento lanciato da George W.Bush nel 2001 contro l’Afghanistan, dopo l’ultimatum ai talebani perché consegnassero i terroristi di Al Qaida, o di quello contro l’Iraq del 2003, dopo la vergognosa esibizione di prove false all’ONU sulle armi di distruzione di massa che Saddam Hussein avrebbe avuto.

Putin si iscrive così al club di chi, anziché rafforzare il diritto internazionale, lo strattona per adeguarlo ai propri interessi. Ed è questa la cifra del conflitto in corso, nel quale le parti in causa, aggressore e aggredito, sono più evidenti che mai. Cosa che invece si faceva fatica a considerare quando gli aggrediti erano i talebani afghani o il dittatore Saddam Hussein. Questo dato ci parla della priorità che bisognerebbe attribuire alla riforma del diritto internazionale – chiarendo fino in fondo quando e come è legittimo il ricorso alla forza – e soprattutto la riforma dell’organismo chiamato a risolvere i conflitti, il Consiglio di Sicurezza dell’ONU, dove siedono permanentemente e con diritto di veto proprio le potenze che in questi anni hanno usato il diritto internazionale alla bisogna, rendendolo alla fine sterile.

  • Alfredo Somoza

    Antropologo, scrittore e giornalista, collabora con la Redazione Esteri di Radio Popolare dal 1983. Collabora anche con Radio Vaticana, Radio Capodistria, Huffington Post e East West Rivista di Geopolitica. Insegna turismo sostenibile all’ISPI ed è Presidente dell’Istituto Cooperazione Economica Internazionale e di Colomba, associazione delle ong della Lombardia. Il suo ultimo libro è “Un continente da Favola” (Rosenberg & Sellier)

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    Chiara Bersani a Triennale Teatro: "Michel Petrucciani mi ha ispirata"

    Chiara Bersani a Triennale Teatro: "Michel Petrucciani mi ha ispirata" Artista associata di Triennale Teatro per il triennio 2025-27, la coreografa e perfomer Chiara Bersani arriva a Milano con il suo ultimo spettacolo, The Animals I Am. Il lavoro è una evoluzione di due precedenti lavori, in cui Bersani ripensava i codici del balletto classico a partire da un corpo divergente, come il suo, a causa dell’osteogenesi imperfetta. Il nuovo progetto porta in scena tre performer con disabilità, per sfatare il concetto dell'artista disabile come "eccezione", con uno statement essenzialmente politico. Bersani si è ispirata al celebre pianista jazz Michel Petrucciani, che aveva la sua stessa condizione genetica, a sua volta audace nel suo modo di esprimere arte attraverso il proprio corpo. L'intervista di Ira Rubini.

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    a cura di Davide Facchini. Per le playlist: https://www.facebook.com/groups/406723886036915

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    Noi e altri animali È la trasmissione che da settembre del 2014 si interroga su i mille intrecci di una coabitazione sul pianeta attraverso letteratura, musica, scienza, costume, linguaggio, arte e storia. Ogni giorno con l’ospite di turno si approfondisce un argomento e si amplia il Bestiario che stiamo compilando. In onda da lunedì a venerdì dalle 12.45 alle 13.15. A cura di Cecilia Di Lieto.

    Considera l’armadillo - 10-11-2025

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    «Democrazia alla prova». Oggi la democrazia è sfidata da una potente deriva autoritaria in giro per il mondo e dalle conseguenze di un neoliberismo ancora in forze. Che cosa può fare la democrazia per riscattarsi da queste sfide minacciose? Quali risposte può dare, ad esempio, alle richieste di giustizia sociale? In altre parole, oggi la democrazia da un lato è messa alla prova da cattive influenze (autoritarismo e neoliberismo), dall'altro è chiamata a rispondere, a dire se ce la fa a tenere il passo con il presente e a rigenerarsi per il futuro. «Democrazia alla prova» è titolo di un convegno che si svolgerà il 23-24-25 gennaio 2026 a Genova e che è stato presentato la settimana scorsa da Fabrizio Barca, coordinatore del Forum Disuguaglianze&Diversità, e Luca Borzani, storico, già presidente della Fondazione Palazzo Ducale di Genova, l’istituzione che ospiterà la tre giorni di fine gennaio. Luca Borzani è stato ospite oggi di Pubblica.

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    Trasmissione trisettimanale, il lunedì dedicata all’America Latina con Chawki Senouci, il mercoledì all’Asia con Diana Santini, il giovedì all’Africa con Sara Milanese.

    A come Atlante – Geopolitica e materie prime - 10-11-2025

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    MASSIMILIANO VIEL (curatore) - ALLA RICERCA DI UNA MUSICA CONCRETA di Pierre Schaeffer

    MASSIMILIANO VIEL (curatore) - ALLA RICERCA DI UNA MUSICA CONCRETA di Pierre Schaeffer - presentato da Ira Rubini

    Note dell’autore - 10-11-2025

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    Sguardi, opinioni, vite, dialoghi al microfono. Condotta da Massimo Bacchetta, in redazione Luisa Nannipieri.

    Tutto scorre - 10-11-2025

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    Presto Presto - Interviste e Analisi di lunedì 10/11/2025

    Giorgia Meloni dice "mai la patrimoniale", ma nessun partito l'ha proposta e invece la CGIL, come ad esempio Oxfam con “Tax the Rich” propongono imposte selettive su grandi patrimoni, quindi di cosa stiamo parlando? Lo abbiamo chiesto a Mikhail Maslennikov, policy advisor su giustizia fiscale di Oxfam Italia. Mentre Marco Revelli politologo (intervistato da Alessandra Tommasi" ricostruisce come e da quando la sinistra italiana ha deciso che non voleva più "tassare i ricchi". Sara Milanese ci aggiorna sull'apertura dei lavori della COP30 di Belém (Brasile) tra grandi Paesi che vogliono meno imposizioni, negazionismo climatico di Trump e mancanza di fondi. Infine, Jim Skea tra i maggiori climatologi al mondo e presidente dell’IPCC (l’organismo dell’Onu che misura i cambiamenti climatici e promuove mitigazione e riduzione), intervistato da Lorenzo Tecleme de "Il Giusto Clima", ci spiega l'urgenza di guardare al futuro dell'umanità.

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    Rights now di lunedì 10/11/2025

    - 19 paesi europei vogliono rimandare in Afghanistan i profughi. Dicono che non c’è più pericolo. Chiedetelo ad una delle tante studentesse afgane scappate dai talebani. Tra loro c’è la giornalista Rahel Saya. - I rastrellamenti della polizia di Trump contro gli immigrati sono stati uno dei motivi della vittoria democratica. Anche perché in un’economia anziana c’è bisogno degli immigrati. Giovanni Peri, docente all’Università della California, studia da anni le conseguenze economiche delle migrazioni. - Dittatori, Casa Bianca, tagliagole fascisti da tutto il mondo: questo era il Plan Condor, che ha insanguinato l’America Latina negli anni ’70 e ’80. “Gli artigli del Condor”, il libro di Mimmo Franzinelli e Marina Cardozo svela particolari inediti. Lo presentiamo martedì 11 alle 19 alla Casa della Memoria di Milano. A cura di Danilo De Biasio. Per suggerimenti: direzione@fondazionedirittiumani.org

    Rights now – Il settimanale della Fondazione Diritti Umani - 10-11-2025

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    Presto Presto - Lo stretto indispensabile di lunedì 10/11/2025

    Il kit di informazioni essenziali per potere affrontare la giornata (secondo noi).

    Presto Presto – Lo stretto indispensabile - 10-11-2025

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