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Tra Buddha e Jimi Hendrix

Quel live di Battiato all’ombra della luce

Arrivai ad Alassio comodo, un’oretta prima del concerto. Con mia moglie Daria – incinta di quello che circa sei mesi dopo sarebbe diventato Leonardo, per tutti “little satan, il nostro secondo figlio” – avevamo deciso che niente ci avrebbe impedito di vedere il concerto del maestro Battiato. Non le nausee, non il lavoro, non il dover tornare a rotta di collo a casa entro la mezzanotte per liberare la babysitter del nostro primo, tranquillissimo figlio Alessandro – per tutti “il piccolo Buddha”. Nessuno poteva rubarci quella bella serata d’estate che avevamo deciso di regalarci prima di tuffarci in una nuova esperienza da genitori e in tutta una serie di allucinanti problemi che – allora questo non lo sapevamo ancora – la vita presto ci avrebbe sbattuto senza garbo sull’uscio di casa.

Avevo inoltre saputo da un amico giornalista molto vicino a Battiato, che il maestro era prossimo al ritiro e quella sarebbe stata una delle ultime occasioni in cui vederlo dal vivo. Il mio amico non si era lasciato scappare nient’altro, resistendo ai miei reiterati tentativi di saperne di più e trincerandosi dietro un “mi spiace non posso dirti altro”.

Il parco San Rocco sembrava un teatro greco, una location altamente suggestiva. E noi stavamo aspettando un artista che poteva tranquillamente passare per la reincarnazione di Platone. Tutto tornava, insomma, eccome se tornava.

Il tempo di ritirare gli accrediti e mangiare un panino sui gradoni e sul palco salì Giovanni Caccamo, vincitore di un Sanremo Giovani di qualche anno prima. Ugola delicata e un tocco al pianoforte abbastanza efficace le sue armi per scaldare il pubblico.

Mi spostai dietro il palco proprio poco prima dell’arrivo di Franco. Sorridente, etereo, divertito ed elegante uscì da un macchinone scuro all’improvviso. Riuscii ad intercettarlo al volo e a regalargli il mio libro sulla meditazione trascendentale, prima che venisse strappato dallo staff e condotto negli spogliatoi, giusto un piano sotto. Dieci minuti dopo eccolo risalire, fra il boato di almeno tre generazioni diverse. Una devozione quasi religiosa che Battiato si era guadagnato emozionando e creando bellezza in modo personale e totalmente suo per oltre quarant’anni. E a chi gli aveva chiesto, quasi come fosse un rimprovero, come avesse fatto lui, cantante sperimentale d’avanguardia, ad adeguarsi al becero ambiente del pop da classifica, candidamente aveva risposto: “Semplice, ho portato il mio mondo nel loro, e non il loro nel mio”.

Quella sera aprì con L’Ombra della Luce, che intonò proprio mentre il sole stava tramontando. Da brividi.

Difendimi dalle forze contrarie
La notte, nel sonno, quando non sono cosciente
Quando il mio percorso si fa incerto
E non abbandonarmi mai
Non mi abbandonare mai

L’orchestra – piano, effetti e quattro archi – cuciva sottofondi delicati, sui quali la voce impastata di misticismo e mestiere dell’artista catanese si accomodava consapevole, con lo stesso confort con cui il suo karmico sedere poggiava sul solito tappeto persiano, immancabile seduta a ogni concerto.

Con Daria era una gara a chi si emozionava di più. Per lei Franco era unico. Per me pure. Spiritualità e musica erano le passioni che accendevano le mie notti invitandomi a spendermi durante il giorno. E il maestro Battiato le incarnava entrambe.

Con Le sacre sinfonie del tempo provai pura e autentica beatitudine.

Che siamo angeli caduti in terra dall’eterno
Senza più memoria: per secoli, per secoli
Fino a completa guarigione

Avevo ancora gli occhi chiusi quando attaccò una sequela di classici, con la beatitudine ad allargarsi a tutto il pubblico, anche quello meno attento, che letteralmente impazzì. La Cura, Summer on a solitary Beach, La Stagione dell’Amore, E Ti Vengo a cercare, Gli Uccelli, e via con alcuni dei passaggi più conosciuti della sua variegata discografia.

Due ore di concerto che volarono alte, come i gabbiani che regnano sui cieli della riviera. Al momento del bis i più esagitati invasero pacificamente il palco per stringere la mano al maestro, complimentarsi, farsi una foto. E lui sorridente, disponibile, empatico, a eseguire gesti e consuetudini di una vita trascorsa sul palco.

Poi, al suono di Le Nostre Anime il buon Franco salutò tutti, scese le scale, salì veloce in macchina e via.

Il mistico aveva lasciato la città.

Qualche mese dopo la carriera.

E dopo qualche altro silenzioso e chiacchierato anno, anche questo mondo.

Sciolto in un oceano di silenzio.

Franco Battiato, un artista unico e solo, diverso da tutti. D’altronde, come diceva lui stesso nell’omonima canzone, le aquile non volano a stormi.

  • Federico Traversa

    Genova 1975, si occupa da anni di musica e questioni spirituali. Ha scritto libri e collaborato con molti volti noti della controcultura – Tonino Carotone, Africa Unite, Manu Chao, Ky-Many Marley – senza mai tralasciare le tematiche di quelli che stanno laggiù in fondo alla fila. La sua svolta come uomo e come scrittore è avvenuta grazie all'incontro con il noto prete genovese Don Andrea Gallo, con cui ha firmato due libri di successo. È autore inoltre autore di “Intervista col Buddha”, un manuale (semi) serio sul raggiungimento della serenità mentale grazie all’applicazione psicologica del messaggio primitivo del Buddha. Saltuariamente collabora con la rivista Classic Rock Italia e dal 2017 conduce, sulle frequenze di Radio Popolare Network (insieme a Episch Porzioni), la fortunata trasmissione “Rock is Dead”, da cui è stato tratto l’omonimo libro.

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Mia cara Olympe

Spagna, la legge sui diritti sessuali e riproduttivi: due buone notizie in una

Ogni tanto è di una buona notizia che si può dire e, in tanta guerra e in tanti guai, ce n’è di molto bisogno.

Quella che arriva dalla Spagna è, per me, una doppia buona notizia: per il contenuto della legge che il governo Sanchez ha approvato –  la legge organica per la Protezione dei diritti sessuali e riproduttivi e di garanzia dell’interruzione volontaria di gravidanza, – e per ciò che l’ha mossa e che dovrebbe servire da esempio anche in queste contrade.

La parte della legge che ne fa un provvedimento apripista in tutta Europa e che rimanda ad una nuova generazione di diritti è quella che rimanda alla salute mestruale: un congedo dal lavoro garantito alle donne che soffrono, su certificazione medica, di mestruazioni invalidanti. C’è già, un provvedimento del genere, in alcuni paesi asiatici, in Europa non esiste, in Italia un progetto giace in parlamento. A chi, anche sul fronte del governo, ha avanzato timori su una possibile ancor maggiore discriminazione delle donne in ambito lavorativo, la ministra di Uguaglianza Irene Montero ha risposto affermando che, invece, questa legge va a smontare l’insieme di pregiudizi e stereotipi che fanno delle mestruazioni un tabù.

C’è poi il corposo capitolo che riguarda l’aborto che in Spagna, dopo la prima legge Zapatero, aveva registrato un tentativo di controriforma  particolarmente restrittivo portato avanti dai popolari nel 2014: la nuova legge riporta l’interruzione di gravidanza dove finora non era ed è importante che stia, ovvero nell’ambito  della sanità pubblica, consentendo il ricorso al privato, nel quale ora si svolge la stragrande maggioranza delle interruzioni di gravidanza, solo in pochi, specifici casi.  Inoltre consente alle giovani donne dai 16 ai 18 anni di abortire senza il consenso dei genitori con un percorso di tutela legale simile a quello italiano e dispone che la pillola del giorno dopo venga gratuitamente fornita nei centri di salute sessuale e riproduttiva.

Questa la prima buona notizia: una buona legge che guarda ai diritti sessuali e riproduttivi in maniera  complessiva e adeguata ai tempi, non dimenticando l’educazione sessuale che viene istituita in tutte le scuole, anche perché, dice la ministra, si sappia che la contraccezione non è solo affare delle ragazze.

La seconda buona notizia sta nella forza che il movimento femminista spagnolo dimostra ancora una volta e nonostante ci siano  divisioni pesanti al proprio interno di cui dà conto qui  Ettore Siniscalchi. Una forza che non è soltanto di piazza – e non è poco per chi ricordi quella straordinaria mobilitazione messa in campo in Spagna e in molti altri paesi, Italia inclusa, nel 2014 per contrastare con successo la controriforma sull’aborto – ma è anche di contrattazione sui tavoli della politica. Non per caso, illustrando la legge in una conferenza stampa che va ascoltata soprattutto,  Irene Montero ha riconosciuto al movimento delle donne di essere il principale artefice dei grandi avanzamenti  femministi a livello istituzionale in Spagna, non per caso ha ricordato il lavoro di tante associazioni e reti che hanno capito per prime che i diritti sessuali e riproduttivi sono la porta fondamentale per la cittadinanza piena delle donne e fanno da termometro della ‘qualità democratica’ di un paese. E non per caso ha definito questa legge un messaggio a a chi, dall’America latina, agli Stati Uniti alla Polonia, sta lottando per ottenere che l’aborto sia libero, sicuro e gratuito o lo sta difendendo da nuovi attacchi.

Non è la prima volta che in Spagna ciò accade e non solo per contrastare un attacco ai diritti delle donne: il movimento femminista era stato protagonista e ispiratore di un’altra legge, quella sulla violenza di genere varata dal governo Zapatero nel 2004, che è stata pioniera in Europa proprio per il suo approccio organico al tema, dalla repressione penale alla tutela delle donne agli aspetti più culturali.  Resta ancora oggi, quella legge che abbiamo studiato con una certa invidia, un importante esempio di come un femminismo forte possa essere non solo capace di imporre una propria agenda alla politica, ma anche di sedersi ad un tavolo per trasformare il proprio sapere in provvedimenti di enorme e collettiva importanza.
La legge sui diritti sessuali e riproduttivi licenziata dal governo Sànchez dovrà vivere altri non facili passaggi. Intanto però vedere una (giovane) ministra  – anche questo elemento va apprezzato nell’infinito dibattito sulla differenza che le donne sono o no capaci di portare nella politica istituzionale – che ricorda il lungo cammino del femminismo, annunciandone un’altra significativa tappa, non solo fa bene ma dovrebbe servire a pensare  anche qui che sì, si può fare.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Un passo indietro: a Milano quel giorno di

 

  • Assunta Sarlo

    Calabromilanese, femminista, da decenni giornalista, scrivo e faccio giornali (finché ci sono). In curriculum Ansa, il manifesto, Diario, il mensile E, Prima Comunicazione, Io Donna e il magazine culturale cultweek.com. Un paio di libri: ‘Dove batte il cuore delle donne? Voto e partecipazione politica in Italia’ con Francesca Zajczyk, e ‘Ciao amore ciao. Storie di ragazzi con la valigia e di genitori a distanza’. Di questioni di genere mi occupo per lavoro e per attivismo. Sono grata e affezionata a molte donne, Olympe de Gouges cui è dedicato questo blog è una di loro.

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Appunti sulla mondialità

Ucraina: il ritorno dalla Dottrina Bush

Al di là della retorica di guerra adottata fin dall’inizio dell’invasione, ora conosciamo le “vere” cause del conflitto ucraino. Nel discorso del Giorno della Vittoria pronunciato sulla Piazza Rossa, il presidente della Federazione Russa Vladimir Putin ha sostenuto che l’Ucraina stava per “ricevere” l’arma atomica e che la Nato aveva in previsione la conquista militare della Crimea e del Donbas. La sua spiegazione dei fatti si allinea con la cosiddetta “legittima difesa preventiva”, una dottrina non contemplata dal diritto internazionale che fu teorizzata e messa in pratica dagli Stati Uniti dopo gli attentati del 2001 contro le Torri Gemelle. In sostanza, gli USA considerarono come “legittima difesa” il ricorso all’azione militare in presenza di una politica di sostegno a gruppi terroristici da parte di uno Stato estero (nel caso dell’Afghanistan) oppure in presenza di una politica tesa all’acquisizione di armi di distruzione di massa suscettibili di essere impiegate in attacchi terroristici (nel caso dell’Iraq). Oggi Putin “reinterpreta liberamente”, come già gli Stati Uniti, l’articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite, secondo il quale la legittima difesa può essere esercitata solo in caso di attacco armato in atto, sferrato da forze regolari attraverso una frontiera internazionale. La difesa preventiva è dunque una forzatura, più volte proposta non solo dagli Stati Uniti ma anche da Israele, che non ha mai trovato consenso generale. Anche perché, se fosse legittimata, autorizzerebbe chiunque ad aggredire altri Paesi sulla base del sospetto delle loro intenzioni bellicose. E poi, quali sono le prove richieste per riconoscere un pericolo imminente? Quali sono le prove di cui dispone Putin per affermare che l’Ucraina stava per ricevere ordigni nucleari o che la Nato stava preparando un intervento militare per liberare la Crimea? Scenari, tra l’altro, piuttosto improbabili, perché entrambi avrebbero determinato uno scontro nucleare certo.

Ovviamente parliamo di propaganda di guerra, utile a giustificare un conflitto che al momento non presenta sbocchi, se non disastrosi, oltre che per l’aggredito anche per l’aggressore. Una guerra che si è impantanata e che dissanguerà sia l’Ucraina sia la Russia, che ha già ripercussioni pesanti sull’andamento dell’economia globale e che potrebbe provocare un dramma maggiore rispetto alla guerra stessa, per via della dipendenza del continente africano dai cereali prodotti dall’Ucraina. Nel discorso di Putin, invece, la giustificazione sulla base del pericolo imminente era autoassolutoria, sull’esempio forse dell’intervento lanciato da George W.Bush nel 2001 contro l’Afghanistan, dopo l’ultimatum ai talebani perché consegnassero i terroristi di Al Qaida, o di quello contro l’Iraq del 2003, dopo la vergognosa esibizione di prove false all’ONU sulle armi di distruzione di massa che Saddam Hussein avrebbe avuto.

Putin si iscrive così al club di chi, anziché rafforzare il diritto internazionale, lo strattona per adeguarlo ai propri interessi. Ed è questa la cifra del conflitto in corso, nel quale le parti in causa, aggressore e aggredito, sono più evidenti che mai. Cosa che invece si faceva fatica a considerare quando gli aggrediti erano i talebani afghani o il dittatore Saddam Hussein. Questo dato ci parla della priorità che bisognerebbe attribuire alla riforma del diritto internazionale – chiarendo fino in fondo quando e come è legittimo il ricorso alla forza – e soprattutto la riforma dell’organismo chiamato a risolvere i conflitti, il Consiglio di Sicurezza dell’ONU, dove siedono permanentemente e con diritto di veto proprio le potenze che in questi anni hanno usato il diritto internazionale alla bisogna, rendendolo alla fine sterile.

  • Alfredo Somoza

    Antropologo, scrittore e giornalista, collabora con la Redazione Esteri di Radio Popolare dal 1983. Collabora anche con Radio Vaticana, Radio Capodistria, Huffington Post e East West Rivista di Geopolitica. Insegna turismo sostenibile all’ISPI ed è Presidente dell’Istituto Cooperazione Economica Internazionale e di Colomba, associazione delle ong della Lombardia. Il suo ultimo libro è “Un continente da Favola” (Rosenberg & Sellier)

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L'Ambrosiano

Preghiera per l’Europa (casa comune), tregua, braci da riattizzare

Cerchiamo una tregua in noi per sperare in quella sui campi di battaglia. Fare i conti con se stessi è condizione perché la realtà cambi. Così funziona la psiche: non puoi cambiare un altro se non hai prima cambiato il tuo cuore. Già, ma come, se attorno è nebbia, violenza, individualismi, impotenze? Aiuto e ispirazione posson venire dalla Preghiera per l’Europa di Martini del 2005, parole pregne di laicità e profezia, acme di anni di prossimità, incontri, cultura. Dice il testo: «Padre dell’umanità, Signore della storia, guarda questo continente europeo al quale tu hai inviato tanti filosofi, legislatori e saggi, precursori della fede nel tuo Figlio morto e risorto.

Guarda questi popoli evangelizzati da Pietro e Paolo, dai profeti, dai monaci, dai santi; guarda queste regioni bagnate dal sangue dei martiri e toccate dalla voce dei Riformatori. Guarda i popoli uniti da tanti legami ma anche divisi, nel tempo, dall’odio e dalla guerra. Donaci di lavorare per una Europa dello Spirito fondata non soltanto sugli accordi economici, ma anche sui valori umani ed eterni. Una Europa capace di riconciliazioni etniche ed ecumeniche, pronta ad accogliere lo straniero, rispettosa di ogni dignità. Donaci di assumere con fiducia il nostro dovere di suscitare e promuovere un’intesa tra i popoli che assicuri per tutti i continenti, la giustizia e il pane, la libertà e la pace». Le radici, 1989 anno cruciale: all’Onu si parlava di nuovo ordine mondiale e Gorbaciov cambiava l’Urss. A Basilea i cristiani si riunirono dopo 500 anni: Martini rappresentava i cattolici; Aleksij (Metropolita a Leningrado, poi Patriarca): ortodossi, protestanti, anglicani. Prospettarono un’Europa “casa comune” dall’Atlantico agli Urali, dal Mare del Nord al Mediterraneo, su tre pilastri: «Giustizia, pace, salvaguardia della Creazione». Si disse a Basilea che l’eurocentrismo avrebbe portato «alla terza guerra mondiale»; si puntò su la «conversione del cuore», base di riforme, perché «le trasformazioni politiche e sociali che oggi accadono in Europa danno motivi di speranza». Il sogno ecumenico fu uno dei cunei che a Berlino minò il Muro. Moriamo noi; i sogni no: son braci da riattizzare, pure per chi non crede e chi gli fa guerra.

  • Marco Garzonio

    Giornalista e psicoanalista, ha seguito Martini per il Corriere della Sera, di cui è editorialista, lavoro culminato ne Il profeta (2012) e in Vedete, sono uno di voi (2017), film sul Cardinale di cui firma con Olmi soggetto e sceneggiatura. Ha scritto Le donne, Gesù, il cambiamento. Contributo della psicoanalisi alla lettura dei vangeli (2005). In Beato è chi non si arrende (2020) ha reso poeticamente la capacità dell’uomo di rialzarsi dopo ogni caduta. Ultimo libro: La città che sale. Past president del CIPA, presiede la Fondazione culturale Ambrosianeum.

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Appunti sulla mondialità

Gli oligarchi della West Coast

I populisti della West Coast statunitense, quelli come Musk, Zuckerberg, Bezos e Gates, possono essere anche definiti oligarchi a stelle e strisce. Come i loro “colleghi” russi, infatti, dispongono di un enorme potere di ricatto nei confronti della politica, accumulano fortune inimmaginabili, non pagano le tasse (anche se in modo legale) e desertificano i loro habitat: nei paradisi del miracolo digitale, il folle aumento dei prezzi immobiliari e del costo della vita espelle i ceti medi e soprattutto i poveri, impossibilitati a vivere. Non a caso la California, che ha il 12% della popolazione degli Stati Uniti, ospita (si fa per dire) il 50% dei senzatetto di tutto il Paese, con i picchi di Los Angeles e San Francisco, che contano da sole 70.000 homeless: luoghi che presentano un contrasto sociale stridente, tipicamente “americano”, ma che siamo abituati a localizzare nella parte sud del continente.

A differenza dei colleghi russi, gli oligarchi digitali hanno anche la pretesa di cambiarci la vita. Il marketing racconta che da loro non ti devi aspettare un semplice prodotto, ma servizi che rendono la vita migliore e il mondo un luogo più vivibile. Ostentano una sensibilità che poco si addice a multinazionali che da anni evitano di pagare le tasse nei Paesi in cui operano e accumulano miliardi di dollari nei paradisi fiscali caraibici: usufruendo, in sostanza, degli stessi benefici che banche senza occhi né legge offrono agli oligarchi di tutto il mondo, anche a quelli che trafficano armi o droga.

La loro vera natura si palesa con iniziative come quella del gigante Apple, che promette 2,5 miliardi di dollari per un piano di edilizia popolare in California: il diritto alla casa, che ai più è stato negato dalla folle corsa al rialzo del mercato immobiliare, ora dovrebbe essere affidato alle donazioni caritatevoli delle stesse aziende che, di quel diritto, hanno determinato la scomparsa. È il vecchio leitmotiv del capitalismo compassionevole, quello che cancella il principio della giustizia sociale, incentrato sulla ridistribuzione delle tasse pagate da chi più possiede, sostituendolo con le elargizioni benevole, ovviamente sulla base dei gusti e dei bisogni di immagine del donatore. Si tratta di un approccio alla società che laddove si è affermato, ad esempio negli Stati Uniti, non ha mai prodotto uguaglianza, bensì un aumento dei divari tra i cittadini.

Allargando il campo visivo, si tratta dello stesso criterio che solitamente viene applicato quando si tratta di definire l’approccio della cooperazione internazionale verso i Paesi poveri. Non si discute della ridefinizione delle regole del commercio, di investimenti produttivi o di corretta valorizzazione delle materie prime, ma si regalano soldi per costruire qualche ospedale e qualche scuola. E gli utopici obiettivi di sviluppo delle Nazioni Unite, anziché avvicinarsi, si allontanano ancor di più.

Alla fine, anche questo è un modo per non affrontare i nodi critici tuttora irrisolti e per non stabilire vere relazioni di partenariato e solidarietà: sia all’interno della società di un singolo Paese, come accade negli Stati Uniti, sia nel condominio-mondo. Le priorità sono sempre altre: in pandemia, garantire vaccini in sovrabbondanza a chi può permetterselo, in guerra far crescere la spesa globale in armi, rimandando sempre a tempi migliori la transizione energetica. Oggi assistiamo al rinvigorirsi dell’uso del carbone per produrre energia, anche se sono arcinote le conseguenze sui cambiamenti climatici, che andranno a colpire soprattutto la sicurezza alimentare dei Paesi più deboli.

Quello degli oligarchi della West Coast non è affatto un mondo reso migliore dalla rivoluzione digitale, e le gravi fratture che esso contribuisce a creare nel tessuto sociale e globale non si curano certo con la beneficenza. Eppure le contraddizioni di questo mondo si possono cogliere, e solo parzialmente, soltanto nei rari momenti in cui si dirada la nuvola tossica dell’informazione orientata al business e della propaganda di Stato. Giusto per qualche giorno: poi inizia una nuova emergenza, che ancora una volta legittimerà l’esistente.

  • Alfredo Somoza

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    Gli omosessuali? Sono in peccato mortale e la chiesa non deve benedire le coppie gay. Sono parole del cardinale tedesco Gerhard Ludwig Müller, prefetto emerito per la congregazione della dottrina della fede. Il porporato è uno dei punti di riferimento dell’ala più conservatrice in Vaticano, che osteggiò papa Francesco. Müller ha detto anche che aver fatto passare le associazioni cattoliche dalla Porta Santa di San Pietro in occasione del Giubileo è “solo propaganda”. A chi si rivolge il cardinale? Vuole provare a influenzare Papa Leone? Ne abbiamo parlato con il giornalista vaticanista e scrittore Marco Politi, autore di "La rivoluzione incompiuta, la Chiesa dopo Francesco". L'intervista di Alessandro Principe.

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    L'Orizzonte è l’appuntamento serale con la redazione di Radio Popolare. Dalle 18 alle 19 i fatti dall’Italia e dal mondo, mentre accadono. Una cronaca in movimento, tra studio, corrispondenze e territorio. Senza copioni e in presa diretta. Un orizzonte che cambia, come le notizie e chi le racconta. Conducono Luigi Ambrosio e Mattia Guastafierro.

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    A Milano arriva il Godai Fest: Rodrigo D'Erasmo, tra gli ideatori, ce l'ha raccontato

    Sabato 20 e domenica 21 settembre al Paolo Pini di Milano si terrà la prima edizione del Godai Fest, il festival multidisciplinare che unisce la musica alle arti performative e visive nato da un’idea del musicista Rodrigo D’Erasmo, del produttore Daniele Tortora e dell’artista visivo Cristiano Carotti per abbattere i recinti di genere e di partecipazione, connettere le arti, sperimentare nuovi linguaggi, ampliare le visioni. L’arte, in tutte le sue declinazioni, sarà protagonista di un viaggio attraverso i 4 elementi della cultura umana (Fuoco, Terra, Acqua, Aria) ai quali si aggiunge, secondo la filosofia orientale, il principio del Vuoto. Ad ogni elemento corrisponde un curatore: Rodrigo D'Erasmo in questa intervista di Elisa Graci e Dario Grande a Volume ci ha presentato il concetto e il programma di questo festival.

    Volume - 17-09-2025

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    Poveri ma belli di mercoledì 17/09/2025

    Un percorso attraverso la stratificazione sociale italiana, un viaggio nell’ascensore sociale del Belpaese, spesso rotto da anni e in attesa di manutenzione, che parte dal sottoscala con l’ambizione di arrivare al roof top con l’obiettivo dichiarato di trovare scorciatoie per entrare nelle stanze del lusso più sfrenato e dell’abbienza. Ma anche uno spazio per arricchirsi culturalmente e sfondare le porte dei salotti buoni, per sdraiarci sui loro divani e mettere i piedi sul tavolo. A cura di Alessandro Diegoli e Disma Pestalozza

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    Vieni con me di mercoledì 17/09/2025

    Il primo Pride della Valtellina Chiavenna. L'emozione, ha fatto salir la fame! Per merenda: pane burro e acciughe con bollicina,. Poi via si torna a Milano, al Piccolo Salone del Libro Politico al Conchetta. Vuoi segnalare un evento, un’iniziativa o raccontare una storia? Scrivi a vieniconme@radiopopolare.it o chiama in diretta allo 02 33 001 001 Dal lunedi al venerdì, dalle 16.00 alle 17.00 Conduzione, Giulia Strippoli Redazione, Giulia Strippoli e Claudio Agostoni La sigla di Vieni con Me è "Caosmosi" di Addict Ameba

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    In Etiopia inaugurata la diga della discordia

    Il 9 settembre, dopo 14 anni di lavori, l’Etiopia ha inaugurato ufficialmente la Gerd, la Grand Ethiopian Renaissance Dam, il più grande progetto idroelettrico d'Africa, e tra i 20 più grandi al mondo. Da anni la diga è anche causa di tensione con i paesi a valle del Nilo: Sudan e soprattutto Egitto, che temono di vedere ridotte le proprie risorse idriche, anche in considerazione dei sempre più frequenti periodi di siccità. “Questa diga sarà certamente uno degli epicentri di tensione di questa regione nel prossimo futuro” spiega Luca Puddu, docente di storia dell’Africa all'Università di Palermo, al microfono di Sara Milanese. Ascolta l’intervista andata in onda in A come Africa.

    Clip - 17-09-2025

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    Volume di mercoledì 17/09/2025

    Oggi a Volume abbiamo iniziato parlando del Festival Suoni Delle Dolomiti giunto alla sua 30a edizione, ma anche del Godai Fest, evento che si terrà nel weekend al Parco Ex Paolo Pini di Milano e che ci racconta Rodrigo D'Erasmo in qualità di direttore artistico. A seguire segnaliamo il concerto-evento pro Palestina organizzato da Brian Eno che si terrà questa sera a Londra, e concludiamo con il quiz dedicato al cinema, oggi incentrato sul film Il Diavolo Veste Prada del 2006.

    Volume - 17-09-2025

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