Programmi

blog

Appunti sulla mondialità

Il Natale del Sud globale

Il Natale è stata la prima festa di matrice religiosa ad assumere portata davvero globale, prima ancora che finisse la Guerra Fredda. Ciò è accaduto parallelamente al progressivo allontanamento del Natale dal suo significato originario: ricordare la nascita, avvenuta in Medio Oriente, di quel bambino ebreo che i cristiani avrebbero considerato il figlio di Dio. Una ricorrenza destinata a radicarsi soprattutto in Europa e poi a espandersi nel mondo, grazie al colonialismo. Nel senso religioso, il Natale è una festa di preghiera e di speranza: ma in questi termini coinvolge solo una parte dell’umanità. Intesa in senso laico, invece, ormai da tempo la festa coinvolge qualche miliardo di persone in più. Tuttavia, sembra che oggi qualcosa stia cambiando. Rispetto agli anni passati, la “voglia di Natale” dei Paesi del Sud globale, soprattutto di quelli non cristiani, oggi è molto calata. Se celebrare il Natale era uno dei presupposti per fare (e sentirsi) parte di una comunità globale, con aspirazioni, interessi e simboli condivisi, il passaggio di questa festa a evento di secondo piano racconta molto dei mutamenti in corso.

Il successo del Natale, nella sua versione laica e contemporanea, aveva anticipato di qualche decennio il fenomeno della globalizzazione grazie a una coincidenza di valori fondanti: da un lato la retorica dell’uguaglianza universale, dall’altro l’identificazione dell’uguaglianza in un’omologazione dei consumi e degli immaginari. Ma le crepe che si sono aperte nella narrazione globale, le fratture provocate dalla pandemia e dai conflitti in corso e i “distinguo” sempre più numerosi dei Paesi del Sud globale rispetto alle politiche delle vecchie potenze, quelle dove il Natale è tradizione antica, stanno facendo tornare la slitta di Babbo Natale nel suo territorio di origine, l’Occidente. A proposito, c’è da dire che Babbo Natale di cristiano ha ben poco. Celebrarlo come simbolo del Natale per molti credenti è quasi una blasfemia, nonostante all’origine della sua figura ci sia un’antica venerazione per san Nicola (sint Nicolaas per gli olandesi, da cui Santa Claus), vescovo barbuto che, secondo l’agiografia, dispensava doni ai bisognosi. Di Santa Claus e della sua leggenda si impadronì a suo tempo la Coca-Cola, facendone un omone vestito di rosso a scopo meramente pubblicitario. Non a caso, proprio Babbo Natale è diventato il simbolo di una festa comandata dalle multinazionali, quelle che offrono ovunque gli stessi prodotti sfruttando l’universalizzazione del Natale al pari di quella di Halloween o di san Valentino.

Ai tempi però di una nuova Guerra Fredda multipolare, Paesi come Cina, India e Russia scelgono più o meno inconsciamente di tornare alle loro tradizioni. E non fa differenza che siano paesi a tradizione buddista, induista, musulmana o cristiana, perché il Natale mercificato e globalizzato stride anche nei Paesi cristiani impoveriti, colpiti dalle bombe o dai cambiamenti climatici. Ieri festeggiare tutti insieme il Natale, a prescindere dalla collocazione geografica o culturale, era un segno di speranza, di fiducia nella possibilità di raggiungere obiettivi universali. Oggi quegli obiettivi paiono allontanarsi irrimediabilmente e alla fine, nell’epoca del “si salvi chi può”, ognuno si tiene il suo: nazionalismi, sovranismi, integralismi sono tutti nemici dello spirito natalizio così come la storia del Novecento lo ha imposto al mondo. Questo del 2023 sarà così un Natale in scala minore, che interesserà “solo” qualche centinaio di milioni di persone. Per questo, forse, sarà più autentico. Babbo Natale potrebbe essere la prima vittima simbolica della fine del ciclo della globalizzazione, quello degli anni ’90: la sua slitta si è molto alleggerita, porterà doni a qualche miliardo di esseri umani in meno. Se questo sarà un bene o un male lo scopriremo più avanti, per il momento non ci si può esimere, almeno da noi, dall’augurarci che le feste del 2023 portino serenità e soprattutto consiglio a chi, nei prossimi mesi, dovrà decidere il destino del mondo.

  • Alfredo Somoza

    Antropologo, scrittore e giornalista, collabora con la Redazione Esteri di Radio Popolare dal 1983. Collabora anche con Radio Vaticana, Radio Capodistria, Huffington Post e East West Rivista di Geopolitica. Insegna turismo sostenibile all’ISPI ed è Presidente dell’Istituto Cooperazione Economica Internazionale e di Colomba, associazione delle ong della Lombardia. Il suo ultimo libro è “Un continente da Favola” (Rosenberg & Sellier)

ALTRO DAL BLOGVedi tutti
ARTICOLI CORRELATITutti gli articoli

Mia cara Olympe

Il Natale e i sassi di Martina

Sul tavolino del soggiorno c’è una ciotola trasparente piena di piccoli sassi lisci. Sono tutti neri, tranne uno che è bianco. Martina, quando viene da noi, sgombera il tavolo dalle fotografie non prima di aver nominato tutti i ritratti – non sbaglia mai i nomi –  poi va a prendere i suoi giochi e li mette in un canto e si dedica alle pietre. Ne tira fuori una per volta, le guarda con attenzione, rintraccia le forme, me le comunica, poi cerca quello bianca  – è contenta quando la trova – e le sposta tutte in un cestino. Talvolta le conta e quando vuole aumentare il coefficiente di difficoltà, lo fa in inglese fino a dieci perché  lo ha imparato all’asilo e così sa che noi le facciamo un mucchio di complimenti. Prima di andare via dovrà mettere in ordine perché sua madre glielo ha spiegato e lei lo fa tranquilla: dal cestino i sassi tornano alla ciotola, le matite nella vaschetta, i giochi in un loro posticino sulla libreria.

Mi piacciono i riti di Martina, mi piace la concentrazione con cui esamina ogni sassetto, mi piace il suo entusiasmo quando ritrova quello che preferisce: è liscio e nero come gli altri ma a guardar bene, mi ha mostrato Martina, ha la vaga forma di un cuore. Mi piace che stia a suo agio nella ripetizione dei gesti e che ogni volta li rinnovi e mi mostri una qualche scoperta.

Dal suo sereno mondo di duenne  – quanto valga questa serenità ce lo dice ogni telegiornale – mi arriva non soltanto il calore ma anche la piccola lezione di questo Natale in cui sembra arduo o vano persino nominare le grandi speranze: dare valore, guardare con occhi nuovi, non stancarsi di mettere fila le pietre. Se possibile costruire, cercando di tenere  in equilibrio anche i sassi più lisci. Per le cose difficili, si sa, bisogna rivolgersi ai bambini.

  • Assunta Sarlo

    Calabromilanese, femminista, da decenni giornalista, scrivo e faccio giornali (finché ci sono). In curriculum Ansa, il manifesto, Diario, il mensile E, Prima Comunicazione, Io Donna e il magazine culturale cultweek.com. Un paio di libri: ‘Dove batte il cuore delle donne? Voto e partecipazione politica in Italia’ con Francesca Zajczyk, e ‘Ciao amore ciao. Storie di ragazzi con la valigia e di genitori a distanza’. Di questioni di genere mi occupo per lavoro e per attivismo. Sono grata e affezionata a molte donne, Olympe de Gouges cui è dedicato questo blog è una di loro.

ALTRO DAL BLOGVedi tutti
ARTICOLI CORRELATITutti gli articoli

L'Ambrosiano

Il Natale di Erode

È Natale ma di Erode, non di Gesù. All’aggressione di Putin a Kiev s’è aggiunta la guerra Israele-Palestina. Ai bambini uccisi o feriti da missili russi in 18 mesi (quasi 1700) o tolti alle famiglie (20mila) son da aggiungere i decapitati dai boia di Hamas nei kibbutz (40), i sepolti a Gaza dalle bombe di Netanyahu (6mila), le vittime di esercito e coloni in Cisgiordania (41). Natale di guerra alle porte d’un’Europa affetta da cupio dissolvi (si pensa a come vincere le elezioni, non per cosa: non politica e intese per pace, giustizia, bambini, futuro). Strage degli Innocenti, dunque, e anche Natale di guerra sporca, cattiva, contro civiltà, umanità, cultura dei governi che impediscono a ong di soccorrere migranti lasciandoli di fatto morire o restituendoli ai libici torturatori; si prendon iniziative di dubbia costituzionalità e di barbarie per deportare i colpevoli di non essere annegati coi bambini e il sogno d’Europa. Il pudore è poco: sui bambini a Natale c’è pure guerra di propaganda cinica per una demografia bianca controllata. FdI chiama Elon Musk a invocare il “fate figli”, ma tace che il miliardario figli li ha fatti anche con la maternità surrogata che Giorgia Meloni, donna, madre, cristiana vuol reato universale; il neo idolo di destra poi può di mantenerli, non come milioni di italiani in soglia di povertà, affitti alle stelle, sanità al collasso, senza nidi (soprattutto al Sud). «Ho tanta / stanchezza / sulle spalle / Lasciatemi così / come una / cosa / posata / in un / angolo / e dimenticata» scrisse nel 1916 Ungaretti in licenza dalle trincee del Carso. Siamo provati, abbiam tanta stanchezza sulle spalle; oltre alla nostra portiamo quella che infligge al Paese l’irresponsabilità di chi lavora contro Mattarella (e tiene Mussolini in salotto), insegue l’Europa di Orban, Le Pen, neonazisti, ignora i sindacati, occupa la Rai, irride i poveri. Ma dopo 100 anni d’inutili stragi siamo ancora con la schiena abbastanza dritta da non darla vinta a Erode. Già 2000 anni fa un neonato è sfuggito alla strage. Il 25 si aspetta che quel Bambino torni a Betlemme (i Servizi hanno avvertito Bibi e coloni?), il macellaio Erode sia di nuovo beffato, la Sacra Famiglia dell’Umanità rientri dall’Egitto su un asino in pace! Fino a quando?

  • Marco Garzonio

    Giornalista e psicoanalista, ha seguito Martini per il Corriere della Sera, di cui è editorialista, lavoro culminato ne Il profeta (2012) e in Vedete, sono uno di voi (2017), film sul Cardinale di cui firma con Olmi soggetto e sceneggiatura. Ha scritto Le donne, Gesù, il cambiamento. Contributo della psicoanalisi alla lettura dei vangeli (2005). In Beato è chi non si arrende (2020) ha reso poeticamente la capacità dell’uomo di rialzarsi dopo ogni caduta. Ultimo libro: La città che sale. Past president del CIPA, presiede la Fondazione culturale Ambrosianeum.

ALTRO DAL BLOGVedi tutti
ARTICOLI CORRELATITutti gli articoli

Appunti sulla mondialità

La geopolitica del petrolio in Amazzonia

Ci sono tutti gli elementi perché diventi uno di quei film che presentano l’America Latina attraverso i suoi stereotipi. Stiamo parlando della vicenda della Guayana Esequiba, un territorio di 160mila chilometri quadrati che costituisce i due terzi della Repubblica Cooperativa della Guyana (l’ex Guyana Britannica). Gli ingredienti della fiction ci sono tutti: oro e foreste inestricabili, petrolio, dittatori e un’ambientazione esotica, un Paese tropicale che pare inventato dalla fantasia di un romanziere. Basti pensare che la Guyana è popolata al 40% da indiani, non nel senso di indios ma di discendenti di abitanti dell’India, che furono portati fin qui dai colonialisti inglesi. L’improvvisa notorietà di un lembo d’Amazzonia che pareva dimenticato da Dio si deve al fatto che, pochi anni fa, vi sono stati scoperti ricchi giacimenti di greggio, stimati in 11 miliardi di barili. Così il presidente venezuelano Nicolás Maduro si è ricordato che la Guayana Esequiba è da tempi lontani contesa tra il suo Paese e la Guyana, e a inizio dicembre ha organizzato un paradossale referendum “non vincolante” in cui ha domandato ai venezuelani se volessero rientrare in possesso di quella regione. È andata a votare circa la metà degli aventi diritto e con il 95% ha vinto il “sì” al passaggio della Guayana Esequiba a Caracas.

Subito Maduro ha chiesto alle compagnie energetiche venezuelane di entrare nella regione e di avviare estrazioni petrolifere, come se il referendum bastasse a rendere quel territorio davvero “suo”. Il blitz venezuelano ha fatto saltare in aria il lavoro della Corte Internazionale di Giustizia dell’Aia, che dal 2018, su richiesta della Guyana, stava esaminando il caso dell’appartenenza della Guayana Esequiba. La vicenda risale al periodo coloniale. La Repubblica Cooperativa della Guyana afferma la legittimità dell’attuale confine, ratificato da un tribunale arbitrale nel 1899. Il Venezuela nega la validità di quella sentenza e pretende il ritorno al più antico confine tra i possedimenti coloniali spagnoli (nei quali rientravano sia il Venezuela sia la Guayana Esequiba) e quelli olandesi, divenuti poi in larga parte britannici. Si tratta di una lite per la sovranità su un territorio che, in realtà, fu usurpato sia dalla Spagna sia dai Paesi Bassi e dal Regno Unito ai legittimi proprietari, gli indios che ancora vivono nelle foreste. Ma questo conta poco: tutti i diritti territoriali dei Paesi americani, dall’Alaska fino alla Terra del Fuoco, discendono dal diritto di occupazione che le potenze coloniali si auto-attribuirono a discapito di chi abitava quelle terre da millenni. Come facilmente prevedibile, anche questa strana “guerra di Macondo” è subito diventata una tessera nel mosaico delle tensioni geopolitiche globali. Maduro è sostenuto dalla Russia, la Guyana dagli Stati Uniti, in quello che pare un sequel della Guerra Fredda; il Brasile, che confina con entrambi i contendenti, sta tentando una mediazione pacifica, ma nel frattempo muove le sue truppe verso la regione.

Guardando il mondo da questi luoghi, è difficile pensare che la transizione energetica e il superamento delle fonti fossili avverranno in tempi rapidi. Anzi. Il petrolio rimane al centro di tensioni che possono sfociare in conflitti aperti, anche quando di mezzo c’è un Paese come il Venezuela, gigante del greggio che non riesce a sfruttare nemmeno il 50% del proprio potenziale per mancanza di investimenti e corruzione generalizzata. L’interesse degli Stati Uniti è ovvio, la Guyana ripagherà il sostegno di Washington rilasciando licenze estrattive alle compagnie statunitensi. Altrettanto evidente è la ragione del sostegno russo alla bizzarra mossa di Maduro: Mosca vuole aprire nuovi fronti caldi affinché gli Stati Uniti abbassino la guardia in Ucraina. È tutto scontato, alla luce del sole, ma non per questo meno pericoloso: finora il continente americano era rimasto fuori dalla mappa dei conflitti bellici, mentre ora la contesa per la  Guayana  Esequiba potrebbe cambiare la situazione. Se solo Maduro rileggesse la storia dei militari argentini, quelli che nel 1982 tentarono di riprendersi le Malvinas, sarebbe più cauto, perché il nazionalismo come salvagente di un regime che sta affondando è un’arma a doppio taglio. Accende sì entusiasmi immediati, ma poi il popolo si può rivoltare, quando diventa chiaro che l’irredentismo era solo un diversivo utile a far dimenticare questioni ben più gravi.

  • Alfredo Somoza

    Antropologo, scrittore e giornalista, collabora con la Redazione Esteri di Radio Popolare dal 1983. Collabora anche con Radio Vaticana, Radio Capodistria, Huffington Post e East West Rivista di Geopolitica. Insegna turismo sostenibile all’ISPI ed è Presidente dell’Istituto Cooperazione Economica Internazionale e di Colomba, associazione delle ong della Lombardia. Il suo ultimo libro è “Un continente da Favola” (Rosenberg & Sellier)

ALTRO DAL BLOGVedi tutti
ARTICOLI CORRELATITutti gli articoli

L'Ambrosiano

Utopia necessaria

Se vogliamo la pace facciam ciascuno qualcosa. Nei cuori si depongono le armi, nei gesti si mutano abitudini e modi di pensare, nel far noi la prima mossa senz’aspettar l’altro s’attinge allo spirito della vita, all’umano. Utopia? Forse. Temo però rimanga poc’altro. Potrebbe anzi essere la nostra forza immaginare un “non luogo” in cui, utilizzando le macerie del ‘900 e d’un Millennio dagli inizi disastrosi, si cerchi di metter insieme pezzi di memoria, ipotesi di futuro, sogni. Frustra l’indugio in aspettative tipo: gli sceicchi garantiscano la transizione ecologica, oltre ai bilanci del calcio; Netanyahu e Putin fermino le armi (ma gli garantiscono l’immunità!); gli Ayatollah liberino le donne (dovrebbero diventar uomini, non fanatici); Gutierrez non sia voce nel deserto Onu; i terroristi cessino stragi, sequestri, stupri (ma la disumanità è moneta di scambio per chi li finanzia e aspetta i loro delitti per giustificare i suoi); La Russa si ritiri a Paternò col busto di Mussolini, Salvini s’iscriva a un corso di recupero e impari un mestiere, gli Agnelli da Londra e Olanda riportino a Torino il frutto di oltre 200 miliardi che l’Italia ha dato (Meloni era in Serbia all’annuncio della Panda elettrica fatta là: udito nulla?). «Per sapere come va il mondo ascoltate la voce dei poeti» diceva Turoldo. Lui aveva fatto la Resistenza, sostenuto l’utopia di Nomadelfia (fare del lager di Fossoli “il luogo dove la fraternità è legge”), patito l’esilio, creduto al Concilio. Quando negli Anni 80 Milano fu “La città da bere” invitò a Tornare ai giorni del rischio, spirito, regole, idee: «Torniamo a sperare / come primavera torna / ogni anno a fiorire». La traccia è Dante: si scende all’Inferno (nelle peggiori bolge ci siam già); si passa per il Purgatorio (ci si purifica da pesti e contagi; Meloni non può più far finta d’esser nata senza peccato originale RSI, dar colpa a Draghi, sinistre, i venuti prima); espiate le colpe si prospetta il Paradiso. Questo in Dante ha straordinarie immagini arte e cultura del tempo. Per noi ora è già Paradiso l’utopia in cui l’uomo riconosce il vicino altro da sé, gli parla. Se lo vede solo come nemico deve sapere che a distruggerlo non riesce e mentre ci prova annienta sé stesso.

  • Marco Garzonio

    Giornalista e psicoanalista, ha seguito Martini per il Corriere della Sera, di cui è editorialista, lavoro culminato ne Il profeta (2012) e in Vedete, sono uno di voi (2017), film sul Cardinale di cui firma con Olmi soggetto e sceneggiatura. Ha scritto Le donne, Gesù, il cambiamento. Contributo della psicoanalisi alla lettura dei vangeli (2005). In Beato è chi non si arrende (2020) ha reso poeticamente la capacità dell’uomo di rialzarsi dopo ogni caduta. Ultimo libro: La città che sale. Past president del CIPA, presiede la Fondazione culturale Ambrosianeum.

ALTRO DAL BLOGVedi tutti
ARTICOLI CORRELATITutti gli articoli

Adesso in diretta

  • Ascolta la diretta

Ultimo giornale Radio

  • PlayStop

    Giornale Radio martedì 12/08 19:29

    Le notizie. I protagonisti. Le opinioni. Le analisi. Tutto questo nelle tre edizioni principali del notiziario di Radio Popolare, al mattino, a metà giornata e alla sera.

    Giornale Radio - 12-08-2025

Ultimo giornale Radio in breve

  • PlayStop

    Gr in breve martedì 12/08 18:30

    Edizione breve del notiziario di Radio Popolare. Le notizie. I protagonisti. Le opinioni. Le analisi.

    Giornale Radio in breve - 12-08-2025

Ultima Rassegna stampa

  • PlayStop

    Rassegna stampa di martedì 12/08/2025

    La rassegna stampa di Popolare Network non si limita ad una carrellata sulle prime pagine dei principali quotidiani italiani: entra in profondità, scova notizie curiose, evidenzia punti di vista differenti e scopre strane analogie tra giornali che dovrebbero pensarla diversamente.

    Rassegna stampa - 12-08-2025

Ultimo Metroregione

  • PlayStop

    Metroregione di venerdì 01/08/2025 delle 19:48

    Metroregione è il notiziario regionale di Radio Popolare. Racconta le notizie che arrivano dal territorio della Lombardia, con particolare attenzione ai fatti che riguardano la politica locale, le lotte sindacali e le questioni che riguardano i nuovi cittadini. Da Milano agli altri capoluoghi di provincia lombardi, senza dimenticare i comuni più piccoli, da dove possono arrivare storie esemplificative dei cambiamenti della nostra società.

    Metroregione - 01-08-2025

Ultimi Podcasts

  • PlayStop

    Music revolution del 12/08/2025

    Playlist puntata nr. 7 – 01 - Sting: Message in a Bottle 02 - Who: Baba O’Riley 03 - Eric Clapton: Layla 04 - Tracy Chapman: The Times They’re a-Changing 05 - Nick Cave: Into My Arms 06 - Eurythmics and Y. N’Dour: 7 seconds 07 - Oasis: Wonderwall 08 - Neil Young: Tell Me Why 09 - Bob Dylan: I Shall Be Released 10 – U2: Helter Skelter 11 - Paul McCartney: Maybe I’m Amazed 12 - Bruce Springsteen: Wrecking Ball 13 - Roger Waters and Eddie Vedder: Comfortably Numb 14 - Rolling Stones: Sympathy for the Devil A cura di Massimo Bonelli Regia - casalinga - di Ivana Masiero

    Music Revolution - 12-08-2025

  • PlayStop

    Music revolution del 12/08/2025

    Music Revolution esplora come la musica abbia manifestato idee, rivoluzionato stili e offerto resistenza contro le brutture della vita. Massimo Bonelli, con oltre 30 anni in discografia, è passato da ruoli di rilievo in EMI e Sony Music a riscoprire la passione per la musica autentica, abbandonando il business per tornare all'essenza dell'arte sonora come rifugio e bellezza. A cura di Massimo Bonelli Regia - casalinga - di Ivana Masiero

    Music Revolution - 12-08-2025

  • PlayStop

    News della notte di martedì 12/08/2025

    L’ultimo approfondimento dei temi d’attualità in chiusura di giornata

    News della notte - 12-08-2025

  • PlayStop

    Conduzione musicale di martedì 12/08/2025 delle 21:00

    Un viaggio musicale sempre diverso insieme ai nostri tanti bravissimi deejay: nei giorni festivi, qua e là, ogni volta che serve!

    Conduzione musicale - 12-08-2025

  • PlayStop

    Jazz in un giorno d'estate di martedì 12/08/2025

    “Jazz in un giorno d’estate”: il titolo ricalca quello di un famoso film sul jazz girato al Newport Jazz Festival nel luglio del ’58. “Jazz in un giorno d’estate” propone grandi momenti e grandi protagonisti delle estati del jazz, in particolare facendo ascoltare jazz immortalato nel corso di festival che hanno fatto la storia di questa musica. Dopo avere negli anni scorsi ripercorso le prime edizioni dei pionieristici festival americani di Newport, nato nel '54, e di Monterey, nato nel '58, "Jazz in un giorno d'estate" rende omaggio al Montreux Jazz Festival, la manifestazione europea dedicata al jazz che più di ogni altra è riuscita a rivaleggiare, anche come fucina di grandi album dal vivo, con i maggiori festival d'oltre Atlantico. Decollato nel giugno del '67 nella rinomata località di villeggiatura sulle rive del lago di Ginevra, e da allora tornato ogni anno con puntualità svizzera, il Montreux Jazz Festival è arrivato nel 2017 alla sua cinquantunesima edizione.

    Jazz in un giorno d’estate - 12-08-2025

  • PlayStop

    Popsera di martedì 12/08/2025

    Popsera è lo spazio che dedicheremo all'informazione nella prima serata. Si comincia alle 18.30 con le notizie nazionali e internazionali, per poi dare la linea alle 19.30 al giornale radio. Popsera riprende con il Microfono aperto, per concludersi alle 20.30. Ogni settimana in onda un giornalista della nostra redazione.

    Popsera - 12-08-2025

  • PlayStop

    Almendra di martedì 12/08/2025

    Almendra è fresca e dolce. Almendra è defaticante e corroborante. Almendra si beve tutta di un fiato. Almendra è una trasmissione estiva di Radio Popolare in cui ascoltare tanta bella musica, storie e racconti da Milano e dal mondo, e anche qualche approfondimento (senza esagerare, promesso). A luglio a cura di Luca Santoro, ad agosto di Dario Grande.

    Almendra - 12-08-2025

  • PlayStop

    Parla con lei di martedì 12/08/2025

    PARLA CON LEI: a tu per tu e in profondità con donne la cui esperienza professionale e personale offre uno sguardo sul mondo. Con Serena Tarabini. In questa puntata: Ludovica Sanfelice

    Parla con lei - 12-08-2025

  • PlayStop

    Sound Queens #7 - PJ Harvey

    Le donne nella musica hanno costantemente sfidato difficoltà e infranto barriere, hanno lottato attraverso esperienze potenti e stimolanti e conquiste significative, spesso in un modo fatto e gestito dagli uomini. Le loro vite, le storie complesse, le loro canzoni e le esibizioni hanno contribuito in modo determinante alla storia della musica e all’emancipazione femminile. C'è ancora molta strada da fare per le donne nell'industria musicale, ma è un motivo in più per celebrare le pioniere, le portatrici di cambiamento e le donne che con la loro determinazione, libertà, nonostante le difficoltà e le tragedie e tormenti personali hanno sfidato le aspettative, il sessismo la misoginia e le avversità nel corso della loro carriera musicale. La protagonista di questa puntata è PJ Harvey. Scritto e condotto da Elisa Graci.

    A tempo di parola - 12-08-2025

  • PlayStop

    Conduzione musicale di martedì 12/08/2025 delle 14:00

    a cura di Chawki Senouci

    Conduzione musicale - 12-08-2025

  • PlayStop

    Safwat Kahlout: "Israele vuole silenziare il giornalismo a Gaza"

    L'uccisione del reporter di Al Jazeera Anas Al-Sharif e dei suoi cinque colleghi da parte dell'esercito israeliano è solo l'ultima di una strage continua di reporter nella striscia di Gaza. Mentre da un lato Israele impedisce ai giornalisti internazionali di entrare a Gaza, uccide sistematicamente chi da dentro racconta al mondo cosa succede. Martina Stefanoni ne ha parlato con Safwat Kahlout, giornalista e producer di Al Jazeera, riuscito a scappare da Gaza con la sua famiglia ad aprile del 2024.

    Clip - 12-08-2025

Adesso in diretta