Approfondimenti

La ricchezza (nascosta) delle nazioni

Proviamo a mettere in fila alcune implicazioni dei cosiddetti Panama Papers, gli 11 milioni e mezzo di documenti su 214 mila società offshore hackerati da uno studio legale di Panama, il Mossack Fonseca.

Scopriremo che i Panama Papers sono una sorta di bigino di alcune grandi questioni dell’oggi: la criminalità dei potenti, le disuguaglianze crescenti nella distribuzione della ricchezza, l‘impotenza delle organizzazioni internazionali di fronte all’influenza delle lobbies.

Prima implicazione: i Panama Papers hanno “messo in luce – cito dal Guardian di ieri – come “i leader mondiali e i loro più stretti associati hanno usato una serie di complesse strutture finanziarie per occultare la loro ricchezza. Tra i nomi circolati, i più noti sono il presidente russo Putin, il premier britannico Cameron, il presidente argentino Macri, quello ucraino Poroschenko, il premier pakistano Sharif.

Seconda implicazione: la disponibilità crescente di patrimoni privati che cercano riparo all’ombra dei paradisi fiscali, dell’opacità del sistema finanziario. Cito l’economista francese Thomas Piketty, dal suo blog su LeMonde: “un po’ ovunque nel mondo le maggiori fortune patrimoniali hanno continuato a crescere dal 2008 molto più rapidamente della crescita dell’economia, in parte perché pagano meno imposte rispetto agli altri”.

Terza implicazione: la Commissione europea ieri ha presentato una proposta di direttiva che vuole imporre alle multinazionali l’obbligo di far sapere le tasse che pagano nei singoli paesi dell’unione. Non tutte le multinazionali, solo quelle che fatturano più di 750 milioni di euro (sono solo il 10-15% del totale, ci raccontava ieri Elisa Bacciotti di Oxfam Italia). Quando entrerà in vigore questa direttiva? Speriamo nel 2018, dicono a Bruxelles. Oggi a Parigi si incontrano i rappresentanti delle autorità fiscali di 28 paesi dell’area Ocse (dall’Europa agli Stati Uniti, all’Australia) per definire una strategia comune per “schiacciare i segreti attorno alle società offshore”. Una strategia comune che ancora manca, nonostante si dicano pronti ad agire.

Tre implicazioni, dunque, della vicenda dei Panama Papers. Cosa rivelano?

La prima: il tasso alto di criminalità dei potenti. Un’espressione urticante, ma tant’è.

La seconda: l’occultamento dei grandi patrimoni è una conseguenza delle disuguaglianze crescenti in questi anni di crisi. I patrimoni crescono più dei redditi – come racconta Piketty – e si concentrano in poche mani, quelle di élites e oligarchie che mettono in pericolo la democrazia.

La terza implicazione rivela le difficoltà, le lentezze, delle organizzazioni internazionali (la Commissione europea, l’Ocse) quando sono chiamate a mettere mano ai paradisi fiscali.

Ospite di Memos il sociologo Vincenzo Ruggiero, direttore del Crime and Conflict Research Centre presso la Middlesex University di Londra. È autore di un libro che si occupa della devianza delle classi dirigenti: Perché i potenti delinquono (Feltrinelli, 2015).

Sui Panama Papers, il professor Ruggiero dà una lettura particolare dal suo punto di osservazione britannico: «i Panama Papers provano che ormai le carriere politiche si formano grazie a questa ricchezza nascosta delle nazioni. Il classico di Adam Smith parlava della “Ricchezza delle Nazioni”, ormai siamo di fronte ad una ricchezza nascosta. Ci sono poi i benefattori, coloro che danno donazioni ai partiti, in particolare al partito conservatore britannico. Attraverso la donazione si stabilisce uno scambio. Quando si parla di lobby, si parla di pezzi di legislazione che saranno a favore di questi benefattori. Tutto ciò – racconta Ruggiero – perpetua un sistema di classe che è una forma di ossessione per i costumi e la cultura britannica. Un parlamentare conservatore britannico in questi giorni ha detto: “se continuiamo con questa caccia alle streghe, l’élite di questo paese, che ha una sua tradizione e integrità, non si riprodurrà più”. Il parlamentare paventa, a suo modo di vedere, il rischio che senza questa élite il paese finisca in mano ad una “classe dirigente di ruvidi analfabeti”.  È l’atteggiamento tipico della criminalità dei potenti che rivendicano il proprio diritto a delinquere».

Ospite della puntata di Memos anche Fabio Natalucci, ethical hacker, che racconta la vulnerabilità dei sistemi di protezione informatica di società come lo studio legale Mossack Fonseca di Panama.

Ascolta tutta la puntata di Memos

 

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  • Autore articolo
    Raffaele Liguori
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