
Nella musica colombiana dei giorni nostri c’è tutta una vena surrealista e dadaista, pensiamo per esempio a Meridian Brothers, il progetto che Eblis Alvarez ha avviato già alla fine degli anni novanta; ed è una vena a cui il gusto psichedelico di molta musica latinoamericana degli anni sessanta e settanta ha sul piano sonoro preparato il terreno. Ma se si ascolta un album come Chak Chak Chak Chak di Julián Mayorga, pubblicato dalla Glitterbeat, si sente che si ha a che fare con un background molto più vasto.
Mayorga viaggia verso la quarantina, ha pubblicato in Colombia alcuni EP, poi una dozzina d’anni fa si è trasferito in Spagna per studiare composizione elettroacustica e tecniche di composizione algoritmica: da allora vive e lavora a Madrid, ed è al suo nono album, inciso pressoché completamente da solo, con voce, chitarra, percussioni e programmazione.
In questo suo ultimo lavoro è evidente l’intento – che del resto percorreva precedenti album di Mayorga – di realizzare qualcosa che sia fuori dal coro, che si distingua rispetto alla globalizzazione musicale, alla uniformizzazione, alla omologazione degli stilemi, dei suoni e anche della lingua: che in Mayorga non è l’inglese, ma nemmeno lo spagnolo standard, e invece – in un voluto spirito anti-globalizzazione e di creazione di spazi un po’ nascosti e persino esoterici – è uno spagnolo colombiano e anche declinato in maniera molto personale, che non è facilissimo da capire e che contribuisce a rendere non così comprensibili di primissimo acchito dei testi che già di loro – anche cercando ispirazione in una letteratura latinoamericana del magico e del meraviglioso – giocano sullo humour, sulla satira, sull’assurdo: il brano di apertura, sul ritmo di una sorta di swing onirico e stralunato, invoca un gigantesco opossum di scendere dal cielo e di mangiare i ricchi.
Volendo chiamarsi fuori dal conformismo musicale, nelle sue trovate pirotecniche e nel suo andamento frenetico Chak Chak Chak Chak suona però per certi versi molto familiare: perché alle spalle e intorno ha tutta una memoria e una sedimentazione di sovversivismo contro le convenzioni e le logiche commerciali nella musica. Appunto degli esempi colombiani come Meridian Brothers, un grande eccentrico brasiliano come Tom Zé, dei brasiliani di generazioni più giovani, come Moreno Veloso, Domenico Lancellotti, la band Passo Torto con Kiko Dinucci, dei chitarristi come appunto Dinucci, i newyorkesi Marc Ribot e – newyorkese ma cresciuto in Brasile – Arto Lindsay, un compianto sperimentatore come l’americano Captain Beefheart e una storica band come The Residents – di cui Mayorga riprende il classico Semolina: ma il pensiero corre anche ad un filone transnazionale fine anni settanta come quello di Rock in Opposition, con fra gli altri gli inglesi Henry Cow, i francesi Etron Fou e i nostri Stormy Six.