A osservarli, Meloni e Salvini, reagire alla bocciatura del progetto del ponte sullo stretto di Messina da parte della Corte dei Conti, si potrebbe dire “chiacchiere e distintivo”. Prima hanno sbraitato contro i magistrati contabili, poi il Governo ha deciso di non far nulla, di attendere le motivazioni tra un mese. In realtà, sarebbe un errore pensare alla solita incoerenza, perché sono vere entrambe le cose: il Governo frena in relazione al ponte reale e, al tempo stesso, il ponte si smaterializza; diventa non più solo un’infrastruttura da costruire, ma un’idea, un grimaldello per attaccare l’indipendenza della magistratura. “Fatevi eleggere, se volete prendere decisioni politiche” hanno ripetuto leader politici e commentatori di area dopo il pronunciamento della Corte dei Conti. Approvando in via definitiva al Senato la riforma della Giustizia, che prevede la separazione delle carriere di Pubblico Ministero e magistratura giudicante, Forza Italia è scesa in piazza esibendo le fotografie di Silvio Berlusconi. Oggi, però, siamo oltre al berlusconismo. Siamo all’idea trumpiana di predominio assoluto della politica— o meglio, del potere esecutivo — su qualsiasi altro organo dello Stato. Fino al punto di non voler rispettare i pronunciamenti delle corti. Lo ha minacciato più volte Trump, sui dazi, sull’immigrazione. Lo hanno detto ieri sera Meloni e Salvini: “Non ci fermeranno, andiamo avanti”. Un qualsiasi studente universitario che si presentasse all’esame di diritto costituzionale affermando un principio del genere verrebbe bocciato e rimandato a qualche sessione successiva. Ma questo è il vento dell’autoritarismo cosiddetto sovranista: il Re al di sopra di tutto, le altre istituzioni come strumenti al suo servizio.


