
Un discorso lunghissimo, ondivago, ancora una volta più da comizio che da podio delle Nazioni Unite. Un discorso, quello di Trump, da cui emergono soprattutto due cose. Da un lato, l’attacco all’Onu. Dall’altro, una descrizione cupa degli effetti dell’immigrazione sulla stabilità dei Paesi. Trump ha iniziato il discorso criticando l’ONU per non averlo aiutato nel processo di “porre fine a sette guerre” da quando è tornato in carica.
A suo giudizio, il corpo delle Nazioni Unite non starebbe sfruttando al meglio il suo potenziale: “Sembra che tutto ciò che facciano sia scrivere una lettera molto forte e poi non dare mai seguito a quella lettera. Sono parole vuote, e le parole vuote non risolvono la guerra”, ha detto Trump, che si è dilungato anche sull’aiuto che l’ONU darebbe, con copiosi finanziamenti, all’immigrazione illegale.
In realtà, si tratta di quello che l’ONU fa in termini di distribuzione di cibo e aiuti alle popolazioni nelle aree di crisi. Va segnalato che, in questa serie di accuse, è difficile trovare un pensiero coerente. Poco dopo aver attaccato l’ONU dal podio, Trump ha incontrato il segretario generale Guterres e ha spiegato che gli Stati Uniti “sono, al 100%, allineati con il Palazzo di Vetro”.
L’immigrazione è stato un altro tema forte dell’intervento del presidente americano, che ha rivendicato la sua “azione coraggiosa” per “bloccare rapidamente l’immigrazione incontrollata”, lanciando al tempo stesso un avvertimento che riguarda i Paesi europei, che starebbero “andando all’inferno” a causa dell’immigrazione incontrollata e “all’agenda migratoria globalista”. Praticamente nulla Trump ha detto su Gaza e Ucraina, se non che bisogna riportare la pace in Medio Oriente – e da questo punto di vista riconoscere lo Stato palestinese non serve – e che lui avrebbe creduto fosse più facile far finire il conflitto tra Mosca e Kiev.
“Sono pronto a imporre dazi alla Russia”, ha spiegato Trump, ma solo se anche gli europei lo faranno. Per il resto, i cinquantasette minuti di intervento del presidente americano sono stati segnati dai tradizionali attacchi personali – contro Sleepy Joe, Joe Biden, frequente obbiettivo dei suoi strali, e contro il sindaco di Londra Sadiq Khan, accusato di voler imporre la sharia – e in generale dalla riproposizione degli strumenti più tradizionali della sua retorica politica e propagandistica. Ciò che è mancata è una visione più larga del ruolo globale che gli Stati Uniti intendono giocare durante questo mandato presidenziale.