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“Schiavi per un euro all’ora”

Trattati come schiavi, sfruttati da un caporale e da 29 imprenditori agricoli della piana di Sibari, in Calabria. Diciannove immigrati, lavoratori, costretti a vivere in stalle e porcili adibiti a veri e propri dormitori e in condizioni igienico-sanitarie degradanti. I loro documenti di identità erano tenuti dal caporale chiusi a chiave in armadi metallici.

Gli operai agricoli erano costretti a lavorare per un euro all’ora, in condizioni dure e senza sicurezza.

Il colonnello della Finanza Marco Grazioli ha coordinato l’operazione che ha portato alla denuncia di 49 persone tra cui il caporale, un uomo di nazionalità pachistana, cui gli imprenditori disonesti si rivolgevano per avere mano d’opera illegale, a basso costo.

Il caporale aveva anche rapporti con due persone in regime di “protezione” già affiliati alla ‘ndrangheta locale e con un altro individuo, latitante.

bosio caporalato foto stalla 1

“Abbiamo trovato questi lavoratori in condizioni degradanti – ci dice il colonnello Grazioli – in stalle e porcili, dove erano stati portati dal caporale”.

Quanto ore al giorno lavoravano?

“Mediamente 10/12 ore al giorno, senza sicurezza, in condizioni pesantissime”.

Qual era la loro paga oraria?

“Circa un euro, un euro e mezzo all’ora”.

E il caporale quanto si prendeva?

“Il caporale riceveva dalle imprese 25 euro al giorno per operaio. Lui si intascava 13 euro e gli altri 12 euro li dava all’operaio. Quindi 12 euro circa per una giornata di lavoro. Sono paghe da sfruttamento pesante, ma per persone che non hanno nulla, costrette a vivere in condizioni di estremo disagio, povertà e di ricatto, possono essere purtroppo accettate”.

Non è la prima volta che trovate persone in queste condizioni di sfruttamento, tenute a vivere in stalle.

“Sì, purtroppo non è la prima volta che interveniamo in situazioni del genere. In questo territorio sono presenti da tempo situazioni di sfruttamento diffuse che noi cerchiamo di contrastare”.

Come siete arrivati a individuare questo uso illegale di manodopera?

“Abbiamo controllato i movimenti dei lavoratori sui pullmini sulle strade. Quindi abbiamo fermato alcuni di questi mezzi e siamo riusciti a ricostruire la provenienza dei lavoratori immigrati, in buona parte nordafricani, e dove vivevano. Abbiamo poi fatto perquisizioni e intercettato le telefonate tra il caporale e le imprese che usavano manodopera illegale”.

Ci sono i caporali, ma ci sono soprattutto le imprese agricole disoneste che usano i caporali per avere operai in nero, sottopagati. Ci parli di questo.

“E’ preoccupante, sembra quasi normale qui che diverse imprese si comportino in questo modo illegale. E’ un comportamento storicamente presente da tempo. Pare quasi normale a volte per queste imprese usare manodopera in nero. Come le dicevo pagano 25 euro al caporale per operaio, in nero, senza versare i contributi previdenziali, assicurativi. Abbiamo denunciato 29 di questi imprenditori”.

Colonnello, quando siete entrati in queste stalle e porcili, dove gli immigrati era costretti a vivere, cosa avete visto, che reazioni ha avuto?

“Mi sono visto davanti condizioni di degrado umano, di abbandono, e anche la rassegnazione nelle persone che trovavano lì, che tocca il cuore. Faremo di tutto per ridurre questo sfruttamento e, se possibile, che non accada mai più”.

Oltre al caporale pachistano, avete individuato anche altri ?

“Sì. abbiamo individuato anche caporali dell’Est europeo”.

Avete poi esaminato le transazioni finanziarie. Che cosa è emerso?

“L’esame delle transazioni finanziarie ha permesso di ricostruire i guadagni illegali del caporale. Si tratta di 250mila euro in un anno. Una parte di questi soldi finiva nelle cosiddette bacinelle (le casse comuni delle organizzazioni criminali, ndr). Il restante dei guadagni illeciti veniva trasferito in Pakistan, Paese di origine del caporale, attraverso servizi di money-transfer”.

Il caso della piana di Sibari è uno dei tanti raccolti nell’ultimo rapporto del 2016 “Agromafie e caporalato”, realizzato dall’Osservatorio Placido Rizzotto – Flai Cgil. Il quadro è inquietante: dalle rilevazioni contenute nel rapporto emergono circa 80 distretti agricoli (indistintamente da Nord a Sud dell’Italia) nei quali si registra un grave sfruttamento e caporalato, seppur con diversi livelli di intensità. A essere vittime del caporalato (e delle sue diverse forme) sono indistintamente italiani e stranieri, circa 430.mila persone, tra i 30 e i 50mila in più rispetto alle stime dell’anno precedente.

bosio caporalato foto 2

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    Piero Bosio
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