Appunti sulla mondialità

Una nuova stagione per la sinistra latinoamericana

L’America Latina, che di solito anticipa ciò che succederà in altre regioni del pianeta, sta vivendo un veloce processo di rigenerazione a sinistra accelerato dall’emergenza sanitaria. Quel momento felice per i progressismi che erano stati gli anni 2000, con l’ondata dei presidenti bolivariani alla Chávez e alla Morales, i grandi progetti di unità politica e commerciale, il ripensamento delle relazioni internazionali, come ben sappiamo si era trasformato in una lunga fase di riflusso, per la verità ancora non finita. Basti pensare ai presidenti che ripropongono le solite ricette già fallite in passato, dall’ortodossia fondomonetarista di Lenín Moreno in Ecuador, che a giorni cederà la guida dell’Ecuador al “privatizzatore” Guillermo Lasso, all’eredità lasciata in Argentina da Mauricio Macri, indebitatosi con il FMI letteralmente come se non ci fosse un domani.

Nel frattempo, però, altri processi sono cresciuti dal basso, si sono forgiati nelle lotte contro le mega-minerie, l’agricoltura geneticamente modificata, la povertà, la violenza di genere. A un certo punto quei movimenti, espressione di una sinistra nuova, per quanto generica, spesso in conflitto con quella tradizionale, hanno cominciato a giocare sul serio. Alle recenti presidenziali in Ecuador sono stati vicinissimi ad andare al ballottaggio, in Cile hanno imposto l’elezione della Costituente, che hanno praticamente vinto, e si sono portati a casa importanti comuni come quello di Santiago. In Colombia la nuova sinistra si sta rinsaldando ora, nella lotta contro la riforma fiscale del governo Duque. In Perù, scegliendo di sostenere al ballottaggio contro Keiko Fujimori il candidato veteromarxista Castillo, sono riusciti a fargli accogliere molte delle loro istanze in materia di diritti. In altri Paesi la situazione è ancora bloccata tra un progressismo accusato di autoritarismo, come in Venezuela, oppure di corruzione e populismo, come in Argentina. Ma i semi, pur contraddittori, di una nuova stagione stanno germogliando dappertutto.

Papa Francesco è innegabilmente un punto di riferimento per questa galassia, ma soltanto per la parte che riguarda il lavoro, la società, la terra. È invece un antagonista sul terreno dei diritti individuali, soprattutto quelli di genere e l’aborto. Questo dato ci conferma la novità di quanto sta succedendo. I nuovi movimenti prendono le distanze dalla sinistra storica perché troppo propensa al compromesso, ma ne condividono la storica missione redistributiva; prendono le distanze dalla Chiesa sui diritti individuali ma ne condividono la visione sociale. Si tratta di forze che si collocano in un campo progressista ma senza ideologie, se non come sommatoria “fluida” delle varie culture politiche dei componenti.

L’emergere di questi nuovi movimenti sta dando vita a una fase di transizione, nella quale può capitare – come in Cile nel 2017 e in Ecuador nel 2021 – che vinca un presidente di destra con un seguito minoritario rispetto alla somma dei candidati progressisti. Il non accettare mediazioni al ribasso appare infatti una caratteristica propulsiva dei nuovi movimenti politici, disposti a consegnare il Paese alle destre, per poi organizzare l’opposizione di piazza e rinforzarsi alla base. Questa è la maggiore contraddizione ma ciò che sta accadendo ricorda i tempi lontanissimi in cui socialisti e comunisti arrivavano a governare partendo dalle lotte di contadini e operai. La differenza è che oggi si comincia dalle lotte per il diritto a una casa decente per chi vive nelle baraccopoli, per la legalizzazione dell’aborto o contro i disastri ambientali prodotti dall’estrazione mineraria. Sono le nuove frontiere della sofferenza ignorate dalla sinistra istituzionale, e che ora stanno trovando rappresentanza politica. A differenza di quanto accade in Europa, in America Latina il malcontento sociale prima o poi si incanala a sinistra. Sta succedendo anche questa volta.

  • Alfredo Somoza

    Antropologo, scrittore e giornalista, collabora con la Redazione Esteri di Radio Popolare dal 1983. Collabora anche con Radio Vaticana, Radio Capodistria, Huffington Post e East West Rivista di Geopolitica. Insegna turismo sostenibile all’ISPI ed è Presidente dell’Istituto Cooperazione Economica Internazionale e di Colomba, associazione delle ong della Lombardia. Il suo ultimo libro è “Un continente da Favola” (Rosenberg & Sellier)

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    Il grande flop delle case della salute. Solo il 5% è pienamente funzionante. La denuncia del Pd lombardo

    Dovevano essere i presidi con cui ricostruire la sanità sul territorio in Lombardia, ma finora le case di comunità sono state un flop. 216 sono quelle previste entro la scadenza dei fondi del Piano nazionale di ripresa e resilienza che arriverà a giugno 2026. Al momento 140 hanno aperto, ma solo otto in tutta la regione (sei in provincia di Bergamo e due nel varesotto) hanno tutti i requisiti obbligatori previsti dalla legge. In totale sono meno del 6 percento. La denuncia è del gruppo consiliare del Partito democratico lombardo che ha fatto un accesso agli atti alla direzione generale Welfare per ognuna delle case di comunità attive in Lombardia. L’assessorato ha replicato che i numeri diffusi “sono usati in modo difforme dalla realtà. Le rilevazioni mostrano percentuali elevate di attuazione per la maggior parte dei servizi obbligatori”. Per il capogruppo del Pd al Pirellone, Pierfrancesco Majorino, “Regione Lombardia è in colpevole ritardo”.

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