Appunti sulla mondialità

Ucraina, la riscoperta dello scontro delle civiltà.

Per spiegare il conflitto russo-ucraino si sta facendo spesso riferimento alle teorie di Samuel Huntington, il politologo statunitense che nel 1993 contrappose il concetto di “scontro delle civiltà” alle tesi del collega Francis Fukuyama, il teorico della “fine della storia”. Huntington non credeva che la vittoria degli Stati Uniti sull’Unione Sovietica nella Guerra Fredda avrebbe portato a un mondo unipolare nel quale mercato e democrazia avrebbero prevalso per sempre; al contrario, ipotizzava che a breve si sarebbero riaccesi scontri “tra civiltà”. Nella sua idea di civiltà, però, si mescolavano alcuni dati di fatto con molta fantasia. Se è vero che esiste un mondo fortemente influenzato dall’Islam sotto il profilo culturale, occorre anche precisare che esso è politicamente disomogeneo; inoltre non è mai esistita una “civiltà latinoamericana” se non nella visione stereotipata che uno statunitense può avere del mondo che si sviluppa a sud del Río Bravo. È però un altro il punto sul quale Huntington ha operato una clamorosa forzatura: e cioè quando da una parte ha definito il concetto di “Occidente” sulla base della ricchezza, e quindi includendovi il Giappone, e dall’altra ha definito un mondo cristiano ortodosso, gravitante attorno alla Russia, su basi culturali.

La lettura della geopolitica di Huntington è stata smentita più volte dalla storia recente. Il cosiddetto “mondo islamico” è stato sconvolto da lotte intestine tra sciiti e sunniti, e tra Stati e movimenti jihadisti. Dell’inconsistenza del concetto di mondo latinoamericano si è detto, e anche il “mondo africano” non è mai esistito. Soprattutto, il concetto di Occidente è ormai fuori dalla storia.

La definizione “Occidente” ha un preciso significato culturale, legato alle sue origini storico-religiose: collocando Gerusalemme al centro del mondo, come a lungo fecero i cristiani, Occidente era la collocazione geografica dell’Europa, terra cristiana per eccellenza. Ma l’Occidente di cui parla la stampa internazionale, quando afferma che la guerra di Putin all’Ucraina è una guerra “contro l’Occidente”, è altra cosa: una specie di club al quale si accede sulla base di parametri variabili, in base ora alla ricchezza, ora al sistema politico o alle libertà civili di cui godono i popoli.

Possono dunque essere “occidentali” i giapponesi, in grande maggioranza non cristiani e geograficamente collocati in Estremo Oriente, così come lo sono l’America Latina, anche quella indigena o affacciata sul Pacifico, e lo Stato ebraico di Israele. Nel primo caso perché ricchi e democratici, nel secondo perché cristiana, nel terzo perché popolato a maggioranza da cittadini di origine europea. “Occidente” è quindi un concetto che si può adattare alla bisogna, per spiegare qualsiasi cosa, e soprattutto per affermare che esiste un consenso unanime, appunto tra i Paesi “occidentali”, riguardo i valori di democrazia e libertà. Dato che in realtà è tutto da verificare, soprattutto perché del drappello considerato occidentale fanno parte Stati che continuano a occupare territori non loro, che discriminano minoranze etniche, che promuovono conflitti armati e vendono armi senza preoccuparsi dell’utilizzo che ne farà l’acquirente, che usano il diritto di veto all’ONU per favorire gli amici, sostenendo dittatori in giro per il mondo.

Non esistono infatti blocchi valoriali: nemmeno laddove vi sono profondi legami storico-culturali, come tra Ucraina e Russia. Per questo motivo Vladimir Putin non sta combattendo contro l’Occidente ma per garantirsi una “cintura di sicurezza” attorno alle frontiere occidentali russe. Principio discutibile e senza dubbio perseguito con il metodo sbagliato, ma l’ultimo dei pensieri di Putin, in queste ore, è quello di condurre una lotta nell’ambito di uno scontro di civiltà. Il mondo d’oggi, in realtà, è molto più semplice di quello della Guerra Fredda, essendo venuta a mancare la componente ideologica: lo scontro si riduce alla conquista, alla tutela e all’allargamento del potere. Non ci sono secondi fini ideali o etici, solo equilibri da ricomporre o da ribaltare. La vecchia idea di Occidente nulla c’entra con l’uso che di questa parola si fa in tempi di guerra. Soprattutto se si considera che gli stessi Paesi occidentali, negli ultimi decenni, hanno usato più volte la guerra come strumento di politica estera. Putin combatte, sbagliando metodo, per conservare la posizione di forza che il suo Paese si è costruito negli anni in Europa orientale. Non è un crociato del “mondo ortodosso” e non sta combattendo l’Occidente, ma soltanto un Paese più piccolo e debole del suo, che tra mille contraddizioni ha provato a essere indipendente.

 

  • Alfredo Somoza

    Antropologo, scrittore e giornalista, collabora con la Redazione Esteri di Radio Popolare dal 1983. Collabora anche con Radio Vaticana, Radio Capodistria, Huffington Post e East West Rivista di Geopolitica. Insegna turismo sostenibile all’ISPI ed è Presidente dell’Istituto Cooperazione Economica Internazionale e di Colomba, associazione delle ong della Lombardia. Il suo ultimo libro è “Un continente da Favola” (Rosenberg & Sellier)

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    La tregua a Gaza è sempre più in bilico

    È sempre più in bilico la tregua a Gaza. Il premier israeliano Netanyahu ha detto che la decisione presa all'unanimità dal governo è che "se Hamas non restituisce gli ostaggi entro sabato a mezzogiorno", senza specificare il numero, "il cessate il fuoco verrà interrotto e l’esercito tornerà a combattere. Netanyahu ha anche detto che "alla luce dell'annuncio di Hamas della sua decisione di sospendere il rilascio degli ostaggi, ha ordinato alle Idf di radunare le forze dentro e intorno alla Striscia di Gaza". Le dichiarazioni di Netanyahu seguono quelle di Trump, che ha minacciato “l’inferno” se Hamas non libererà TUTTI gli ostaggi sabato, anche se secondo gli accordi era previsto il rilascio solo di 3 ostaggi. Il rischio della ripresa della guerra si unisce anche al piano di Donald Trump di svuotare la striscia di Gaza. Oggi ha ricevuto a Washington il Re di Giordania, che – insieme all’Egitto – è uno dei paesi individuati da Trump per accogliere i palestinesi espulsi da Gaza. Sia Amman che Il Cairo hanno rigettato la proposta, e Trump ha minacciato di tagliare i fondi a questi due paesi, in violazione anche degli accordi di Camp David del 1979. Sentiamo Eric Salerno, giornalista e scrittore esperto di Medio Oriente:

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