Appunti sulla mondialità

La guerra normalizzata

Dopo i primi mesi di caos economico e di timori generalizzati sui rifornimenti energetici e sul mercato dei cereali, e sul rischio che lo scontro potesse degenerare in un conflitto nucleare, il mondo sembra ora avere metabolizzato la guerra in corso in Ucraina. Una guerra che resta un mix di vecchio – anzi, di molto vecchio – e di nuovo. Una guerra di conquista territoriale che ha anche risvolti etnici, con la “difesa” delle minoranze russofone in Ucraina, che si combatte all’ultimo sangue, addirittura in trincea, come non capitava dalla Prima guerra mondiale. D’altra parte, questa è anche una guerra moderna nella quale si usano droni e armamenti sofisticati, che possono così essere messi in mostra anche sul piano commerciale come non capitava da molto tempo. Dal punto di vista militare, la superiorità numerica e missilistica della Russia è stata pareggiata grazie alle moderne armi cedute dai Paesi Nato al più modesto esercito ucraino. Ne è derivata una situazione di stallo che oggi non lascia intravedere vie di uscita, se non il prolungamento di un conflitto che, nel frattempo, sta radendo al suolo l’economia e le infrastrutture ucraine e rovinando economicamente la Russia, che comincia a sentire il peso dell’embargo imposto dall’Occidente: Mosca non poteva immaginare che l’Europa, in così poco tempo, sarebbe riuscita a ridurre ai minimi termini la sua dipendenza energetica dal gas siberiano.

In realtà, tutto il conflitto è un grande concentrato di malintesi e di calcoli sbagliati, a partire dalla convinzione, smentita dai fatti, che l’Ucraina si sarebbe arresa poche ore dopo l’invasione russa e che la dipendenza dal gas importato avrebbe legato le mani all’Unione Europea. Ma ciò non può distogliere l’attenzione dal fatto che nulla è cambiato rispetto agli schieramenti internazionali di un anno fa. L’embargo economico contro Mosca è stato decretato dal 19% degli Stati del mondo, che rappresentano però il 59% dell’economia mondiale. Restano ancora fuori tre giganti, tra l’altro membri dei Paesi Brics, come la Russia: India, Cina e Brasile. In questo primo anno di guerra, ciò è bastato perché la Russia non restasse senza ossigeno, ma ora cominciano a farsi pesanti le conseguenze delle sanzioni, con una flessione del PIL russo stimata in 4-6 punti percentuali per il 2023, che andrà ad aggiungersi al meno 3% circa del 2022.

Sul fronte della pace, invece, va registrato che al momento ci sono solo due proposte sul tavolo: quella avanzata da Zelensky all’ONU, che ha il peccato originale di essere stata proposta da una delle parti in guerra, e quella cinese, alla quale sia i Paesi Brics sia l’Europa stanno prestando attenzione. Dalle potenze che fino a oggi hanno permesso all’Ucraina di reggere militarmente, cioè dagli USA, dal Regno Unito e dall’UE, ancora non è arrivato nulla. Come se questi Paesi pensassero, ipotesi altamente improbabile, che la guerra possa risolversi sul campo a favore dell’Ucraina.

È questa impasse, una mancanza generalizzata di volontà negoziale, che sta relegando la guerra in Ucraina tra le notizie di secondo piano. Come accadde per la guerra in Iraq o per quella in Afghanistan, ormai si dà per scontato che lo scontro andrà per le lunghe e ci si concentra quindi su altre questioni. Invece, questo conflitto non solo è potenzialmente molto più pericoloso degli altri, ma potrebbe anche essere il primo di una lunga serie, destinata a sancire i confini tra la sfera d’influenza geopolitica dell’Europa occidentale e quella della Russia: un tema del quale non si è mai voluto discutere dopo la fine della Guerra fredda, perché la tanto evocata conferenza per la pace e la sicurezza tra l’Europa e la Russia, diventata una repubblica democratica dopo il 1991, non c’è mai stata. Abbiamo avuto la fine del Patto di Varsavia da una parte, la crescita della Nato dall’altra; e una Russia integrata velocemente nello spazio economico europeo ma sempre tenuta ai margini dello spazio politico.

Sono ancora molte le cose che questo conflitto racconta: eppure, a meno di sconvolgenti novità, ne sentiremo parlare sempre di meno. Perché il nostro mondo è fatto così, si sfugge dal trovare una risposta alla complessità per ripararsi nel quotidiano. Un “giorno per giorno” che non risolve nulla e che, anzi, esaspera i problemi.

  • Alfredo Somoza

    Antropologo, scrittore e giornalista, collabora con la Redazione Esteri di Radio Popolare dal 1983. Collabora anche con Radio Vaticana, Radio Capodistria, Huffington Post e East West Rivista di Geopolitica. Insegna turismo sostenibile all’ISPI ed è Presidente dell’Istituto Cooperazione Economica Internazionale e di Colomba, associazione delle ong della Lombardia. Il suo ultimo libro è “Un continente da Favola” (Rosenberg & Sellier)

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    Piazza Fontana: ricordiamo la strage e la risposta democratica

    Anniversario numero 56 per la Strage di Piazza Fontana, quest’anno oltre alle istituzioni nella celebrazione del pomeriggio parleranno una studentessa di un liceo milanese e uno dei vigili del fuoco che entrarono per primi dopo lo scoppio della bomba, ci spiega Federico Sinicato, presidente dell’Associazione dei Familiari delle vittime di Piazza Fontana. “L’importanza del 12 dicembre va al di là della celebrazione e del ricordo che si fa in piazza, è una data storica per l’intero Paese perché è l’inizio della strategia della tensione che produce effetti devastanti e blocca di fatto il grande movimento di riforma del Paese nato dalle lotte dei lavoratori e degli studenti, basta pensare che l’approvazione del Senato dello Statuto dei lavoratori è del 11 dicembre, il giorno prima, il momento fu scelto come risposta all’avanzata dei diritti e se pensiamo che oggi questi valori vengono rimessi in discussione. E’ una data sacra per il Paese”, In Piazza dopo le celebrazioni istituzionali ci sarà il corteo dei movimenti con partenza alle 18.30 da Piazza XXIV Maggio. E ci sarà anche l’inaugurazione del memoriale “Non dimenticarmi“, un’installazione permanente nata dal basso che ricorda le vittime delle stragi, donata al Comune di Milano e installata in Piazza Fontana. L'intervista di Cinzia Poli e Claudio Jampaglia.

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