Appunti sulla mondialità

In Olanda vince la paura del cambiamento

In Olanda, dalle urne è uscito vincitore il PVV di Geert Wilders, un partito presentato dai media internazionali come islamofobo. Wilders ha promesso di “restituire l’Olanda agli olandesi”, come se il Paese fosse stato invaso da una potenza straniera. La centralità attribuita a questo tema, che si inserisce nella logica della cosiddetta sostituzione etnica, racconta però molte altre cose. Le società europee si sono forgiate nei secoli attorno all’idea-forza dello Stato-nazione, nel quale esistono una cultura ufficiale, una religione e un gruppo etnico egemone, vero o falso che sia. Non esiste Paese con un passato coloniale che non consideri queste tre caratteristiche come essenziali e indiscutibili. Dalla Francia repubblicana che già nell’Ottocento “appianò” le diversità interne, alla Germania che fece tragicamente la sua pulizia etnica nel XX secolo. In Spagna, Paese che già ha sperimentato il nazionalismo franchista, ma che rimane un contenitore di diverse culture e nazionalità, oggi forti movimenti di estrema destra vorrebbero eliminare le autonomie e le lingue locali in nome dell’ispanità.

La paura del cosiddetto “pericolo islamico” è un fenomeno più recente, ed è collegata ai flussi migratori (che, per la verità, spesso sono iniziati per volontà degli stessi Paesi ricettori, nel secondo dopoguerra). Secondo gli imprenditori della paura che condizionano l’opinione pubblica, in Europa si starebbe formando una sorta di califfato, ostile alla storia e alla cultura dei Paesi ospitanti, che ambisce a conquistare il potere. In questa teoria si tralasciano molti elementi di realtà, a partire dal fatto che la religione musulmana è al tempo stesso minoritaria e fortemente resiliente: non ha bisogno di alimentarsi con flussi migratori né di diventare egemone per continuare a tramandarsi anche in contesti diversi da quelli d’origine. Soltanto nelle Americhe tra gli immigrati di religione islamica si è verificato un distanziamento culturale rispetto alle origini. In Europa, entrambi i principali modelli di gestione della società moderna post-coloniale, quello multiculturale britannico e quello assimilazionista francese, hanno fallito. Le cause non riguardano la religione. Per comprenderlo basta tornare sull’esempio americano: là esistono ampie possibilità di affermazione sociale per gli immigrati, mentre in Europa non solo i migranti ma anche le “seconde generazioni” sono spesso condannate ai ghetti urbani, ai lavori subalterni, a un’educazione di serie B, alle discriminazioni quotidiane, al fastidio per l’esibizione dei sentimenti e dei simboli religiosi. La “guerra del velo” che la Francia ha intrapreso a più tornate ha finito per produrre effetti contrari rispetto alle intenzioni. Pensata per eliminare le discriminazioni, è diventata invece fonte di discriminazione per chi, ovviamente in modo libero, sceglie un certo tipo di abbigliamento. È il frutto di quella stessa idea di superiorità dei propri valori che accompagnò, e giustificò, il colonialismo. La cultura europea era ritenuta superiore quando si colonizzavano l’Africa, l’Asia o l’Oceania, e oggi nelle nostre metropoli si predica una sola e indiscutibile concezione dei diritti e delle libertà.

I politici come Wilders sono molto abili nel sottolineare l’apparenza per non dovere affrontare la sostanza. Una sostanza che non è fatta di dispute teologiche, ma di cose concrete, come la possibilità di studiare in scuole di buon livello, di avere un lavoro decente, di non essere costretti a inviare, come in Francia, un curriculum vitae “cieco”, cioè senza nome, cognome e foto, per evitare discriminazioni nella ricerca di occupazione. Che poi la rabbia di chi è discriminato e relegato ai margini della società determini un ritorno alla religione, magari nelle sue forme più radicali, è solo una conseguenza, e non la questione centrale. Davanti al calo demografico generalizzato e all’invecchiamento della popolazione, da una parte l’Europa sa perfettamente che, senza ricorrere all’immigrazione, tra 10 o 20 anni non avrà futuro; dall’altra, gli europei stanno esercitando il diritto al voto come una clava. Ma, al di là delle polemiche, è solo una questione di tempo: non è facile, per chi è stato per secoli al centro del mondo, accettare l’idea che per poter mantenere lo status quo occorra chiedere aiuto proprio a quelle popolazioni a lungo denigrate.

  • Alfredo Somoza

    Antropologo, scrittore e giornalista, collabora con la Redazione Esteri di Radio Popolare dal 1983. Collabora anche con Radio Vaticana, Radio Capodistria, Huffington Post e East West Rivista di Geopolitica. Insegna turismo sostenibile all’ISPI ed è Presidente dell’Istituto Cooperazione Economica Internazionale e di Colomba, associazione delle ong della Lombardia. Il suo ultimo libro è “Un continente da Favola” (Rosenberg & Sellier)

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    100 posti di lavoro a rischio per la chiusura della Lpe, fabbrica metalmeccanica di Baranzate

    Sciopero e presidio fuori dai cancelli dell’azienda alla Lpe di Baranzate, alle porte di Milano. La proprietà della fabbrica di semiconduttori, la multinazionale olandese Asm, ha deciso di spostare la produzione a Singapore. Una scelta che rischia di portare a oltre 100 licenziamenti in una realtà, fino a poco tempo fa, considerata strategica dal governo italiano. Le interviste ai lavoratori a cura di Martino Fiumi…

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    1) Bombe sul negoziato. Israele colpisce la delegazione di Hamas in Qatar che stava discutendo sulla proposta di cessate il fuoco a Gaza. Tel Aviv rivendica l’attacco: “è un messaggio per l’intero medio oriente”. (Chawki Senouci, Ugo Tramballi - Sole 24 ore) 2) La Global Sumud Flotilla si prepara a partire dall’Italia verso Gaza dopo che nella notte un drone non rivendicato ha colpito una delle barche nel porto di Tunisi. 3) “In piazza e alle finestre osserviamo la rivoluzione”. In esteri la testimonianza dal Nepal, mentre i giovani tornano in piazza e il primo ministro si dimette. 4) La Francia tra la crisi politica e quella sociale. Il premier Bayrou ha dato le dimissioni e mentre Macron si appresta a scegliere il successore, domani il movimento “blocchiamo tutto” si prepara a fermare il paese. (Francesco Giorgini) 5) Spagna, le manifestazioni contro il genocidio a Gaza bloccano la gara di ciclismo che viene accorciata. (Giulio Maria Piantadosi)

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    Il nuovo Premio Loano: Jacopo Tomatis racconta RiGenerazioni 2025

    In occasione della ventesima edizione del Premio Nazionale Città di Loano, il direttore artistico, Jacopo Tomatis, ci racconta il festival che da quest'anno prende il nome di "RiGenerazioni – Tradizioni aumentate". Un festival diffuso che dal 5 al 14 settembre animerà Loano e i borghi dell’entroterra — Balestrino, Boissano, Toirano— con concerti, talk, camminate, laboratori e azioni di comunità. Un osservatorio creativo su come la musica di tradizione si reinventa e guarda al futuro, contaminandosi con elettronica, post-rock, improvvisazione e nuove geografie sonore. A cura di Elisa Graci e Dario Grande.

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    quando ci rallegriamo per l'archiviazione ottenuta dai compagni coltivatori di cannabis sativa e poi scendiamo nell'abisso, andando a cercare l'oro nei canali di scolo di uno dei distretti orafi italiani

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