Appunti sulla mondialità

Guerra, fame e terra

Il conflitto ucraino ha ormai superato i due mesi di durata e ancora non se ne vede la fine. La meno considerata tra le ricadute negative della guerra sull’economia globale riguarda la sicurezza alimentare. In primavera nelle campagne ucraine si seminano il grano e il girasole, fondamentali per sfamare circa 400 milioni di persone nel mondo, soprattutto in Africa. I prezzi di queste materie prime vitali sono già raddoppiati rispetto a un anno fa, ma le conseguenze dell’uscita dal mercato di uno dei massimi esportatori mondiali sono destinate a farsi molto più pesanti. Questo perché l’agribusiness mondiale dipende da un numero sempre più ridotto di Paesi in grado di produrre grandi surplus di grano, soia, mais, riso, carne: alcuni degli storici esportatori, come l’Australia e il Brasile, da alcuni anni sono regolarmente colpiti da fenomeni meteorologici estremi, dovuti al cambiamento climatico; a ciò si aggiungono ora i disordini geopolitici, e il quadro complessivo della sicurezza alimentare planetaria diventa così sempre più fragile.

Si tratta, però, di una debolezza che ha origini antiche, risalenti al progressivo esproprio di terre e di colture su scala mondiale iniziato con il colonialismo. L’agricoltura da piantagione inaugurata nel XVI secolo, responsabile di scempi ambientali e della schiavitù degli africani, trasformò le terre espropriate ai popoli originari di America e Africa in latifondi, in gran parte gli stessi che oggi sono proprietà di grandi multinazionali.

Nel tempo la questione della terra, risalente all’inizio della prima globalizzazione, è diventata il motore di rivoluzioni e di lotte contadine e sindacali. Tra tutti i movimenti che, negli ex Paesi coloniali, si sono battuti per la riforma agraria spicca quello dei Sem Terra brasiliani, nato negli anni ’80 con le occupazioni di latifondi improduttivi. I lavoratori agricoli “senza terra”, oggi 600.000 famiglie, non hanno solo lottato per avere diritto alla terra in uno dei pochi Paesi in cui non c’è mai stata una riforma agraria, ma hanno anche dato vita a comunità rurali in cui le donne hanno pari diritti e doveri, e in cui si pratica un modello di condivisione del lavoro e della vita comunitaria che non ha precedenti al di fuori del mondo indigeno.

Anche i Sem Terra fanno parte del vasto movimento mondiale che si batte per il ritorno a un’agricoltura con agricoltori: il contrario del modello dominante, che è invece quello di un’agricoltura sempre più transgenica, industrializzata e meccanizzata, che non ha bisogno di manodopera umana.

Proprio gli uomini e le donne che si battono per la terra e per il diritto alla terra sono stati, e sono tuttora, le vittime più numerose degli scontri nell’era della nuova globalizzazione. E non solo in America Latina, dove Brasile e Colombia detengono il triste primato di violenze e omicidi ai loro danni, ma anche in Africa, dove si lotta contro il land grabbing, e in Asia, dove il presidente indiano vorrebbe dare mano libera all’agricoltura industriale, a discapito dei 700 milioni di persone che vivono di agricoltura familiare.

Come racconta Aldo Marchetti nel suo esauriente volume Il movimento brasiliano Sem Terra (Carocci, 28 euro), questa esperienza brasiliana ha dato vita a uno dei movimenti sociali più importanti dell’America Latina. Dove il concetto di movimento sociale ha due caratteristiche: la prima è quella di tipo sindacale, l’altra quella politica. I veri protagonisti delle ultime stagioni politiche nel subcontinente sono stati, infatti, i movimenti ambientalisti, contro l’industria mineraria e l’agricoltura ogm, per i diritti delle donne e dei popoli indigeni. Alcuni dei movimenti sono riusciti perfino a esprimere presidenti saliti alla guida dei rispettivi Paesi, e soprattutto hanno saputo dettare politiche diventate di Stato.

Eppure questo non basta perché il tema della terra e della sua integrità diventi centrale nel dibattito internazionale. Soprattutto in un momento in cui la pandemia e le guerre spingono tutti ad agire per il proprio interesse, all’insegna del “si salvi chi può”. La gestione sostenibile del pianeta dovrebbe invece essere al centro della politica globale, che finora si è concentrata solo sulle regole del commercio e mai sulle condizioni di vita di chi produce le materie prime, sulla sicurezza alimentare e men che meno sullo stato di salute della Terra.

  • Alfredo Somoza

    Antropologo, scrittore e giornalista, collabora con la Redazione Esteri di Radio Popolare dal 1983. Collabora anche con Radio Vaticana, Radio Capodistria, Huffington Post e East West Rivista di Geopolitica. Insegna turismo sostenibile all’ISPI ed è Presidente dell’Istituto Cooperazione Economica Internazionale e di Colomba, associazione delle ong della Lombardia. Il suo ultimo libro è “Un continente da Favola” (Rosenberg & Sellier)

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    L’Atlante italiano dei morti (e dei feriti gravi) in bicicletta, la più completa mappatura dell’incidentalità ciclistica in Italia finora mai realizzata (gratis e consultabile a questo link: https://craft.dastu.polimi.it/it/articles/15) è il risultato di uno studio del Competence Centre on Anti-Fragile Territories (CRAFT) del Politecnico di Milano. Quattro Dashboard offrono un’analisi degli incidenti ciclistici su base ISTAT 2014-2023 in ogni singolo comune italiano e i dati possono essere consultati per province, regioni e aggregazioni spaziali libere. La quinta Dashboard consente di visualizzare la localizzazione degli incidenti con le coordinate utili alla geolocalizzazione degli incidenti. Paolo Bozzuto, docente del Dipartimento di Architettura e Studi Urbani del Politecnico di Milano - DAStU, coordinatore del progetto: “Geolocalizzare e mappare tutti gli incidenti ciclistici è un cambio di paradigma per l’analisi dell’incidentalità ciclistica in Italia è diventa uno strumento di conoscenza e pianificazione per contribuire a ridurre gli incidenti”.

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    Plastica, annunciato il blocco degli impianti di riciclo: “Il Governo salvi il settore”

    L’associazione Assorimap, che riunisce gran parte degli impianti italiani di riciclo della plastica, ha annunciato il loro blocco immediato denunciando “mancate misure urgenti per salvare il comparto”. A ottobre l’organizzazione aveva avuto due incontri con il Governo. Da mesi Assorimap parla di un crollo del fatturato e degli utili del settore, dando la colpa a questioni come i costi dell’energia e la concorrenza della plastica importata da paesi esterni all’Unione europea, che sarebbe venduta a prezzi insostenibili per gli impianti italiani. Mattia Guastafierro ne ha parlato con Stefano Ciafani, presidente di Legambiente.

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