La scuola non serve a nulla

Cosa? Una conferenza internazionale sull’Umorismo? Ma stiamo scherzando? Dai, su… – Puntata 1

Sì, non tutti l’avranno saputo, immagino… ma dal 29 giugno al 2 luglio si è tenuta a Bertinoro (FC), organizzata dall’Università di Bologna, l’importante ISHS Conference, l’annuale conferenza dell’International Society of Humour Studies (cioè, la Società Internazionale di studi sull’Umorismo). Oddio, annuale: causa Covid, l’ultima è stata in Canada nel 2019, e poi più nulla… ma andiamo con ordine perché la faccenda, vi assicuro, è stata molto, molto interessante.  E per meglio farvi apprezzare quanto figo sia stato, lo divido in quattro appuntamenti. Perché n’è valsa davvero la pena!

Per i tanti che non lo sapessero, l’International Society of Humour Studies (riporto dal sito) “è un’organizzazione accademica e professionale dedicata al progresso della ricerca sull’umorismo. Molti dei membri della Società sono professori universitari in Lettere e discipline umanistiche, Scienze biologiche, sociali e filosofiche. La Società comprende anche professionisti nei settori della consulenza, della gestione, dell’assistenza infermieristica, del giornalismo e del teatro. I nostri membri ricercano le molteplici sfaccettature dell’umorismo, incluso il suo ruolo negli affari, nell’intrattenimento e nell’assistenza sanitaria, nonché come l’umorismo varia in base alla cultura, all’età, al sesso, allo scopo e al contesto”, In altre parole, si tratta di un consesso largo e variegato di studiosi (per lo più psicologi, sociologhi e semiologi) provenienti da tutto il mondo (ça va sans dire, soprattutto università inglesi o americane) che hanno scelto l’umorismo e il riso come perno della loro ricerca accademica, in un approccio dialogato e multidisciplinare che superi e integri i loro ambiti scientifici d’origine. Gli italiani, comunque, si raggruppano intorno alla rivista R.I.S.U.

I suddetti studiosi non si occupano quindi della creazione dell’umorismo, né insegnano come generarlo (niente della loro attività può essere ricondotto a quella di un corso di scrittura creativa, o di un laboratorio comico); a loro interessa invece analizzare, una volta che l’umorismo si sia manifestato, i suoi effetti, le sue applicazioni e le implicazioni sociali, e nei più diversi campi. Potremmo dire che i membri della Society stanno ai comici come i critici letterari ai poeti; cionondimeno questi studiosi si interessano non solo del comico “creato ad arte” (per la pubblicazione sul web, per l’uso su un palco, o per le battute di un film), ma anche di quello “involontario”, che scaturisce casualmente dai nostri intoppi quotidiani; oppure, di come l’humour viene strumentalmente usato nel linguaggio politico o pubblicitario.

Comunque, arrivo a Bertinoro, e la prima cosa che noto – e vi ho già detto che la Conferenza si tiene in Italia! – è proprio la scarsità di italiani: su un centocinquanta persone, tra studenti e relatori, dal Bel Paese saremmo stati solo in meno di dieci (tra questi, il decano degli studiosi dell’umorismo in Italia, nonché caro amico, il prof. Forabosco, e il ricercatore, amico anche lui, Matteo Andreone). E qui si intrufola il primo acido pensiero: ma come, anni a disquisire, postare e pestarci tra noi comici sui (presunti) limiti della satira, sulla “cattiveria” e la libertà della medesima, su #jesuischarlie, su ciò su cui è lecito scherzare, sulla censura… e qui, dove finalmente se ne parla con approccio scientifico, siam quattro gatti? Mi riferisco alle laceranti diatribe (oramai, fortunatamente, quisquiglie dell’anteguerra) su Cabaret e Stand-up, e soprattutto sulla goffa risemantizzazione di quest’ultimo termine che, nato in origine nei paesi anglosassoni per indicare semplicemente il “comico”, in generale (cioè, tutto ciò da cui, in Italia, ci si voleva distinguere usando questo termine), è passato poi in italiano a indicare ciò che in Italia in realtà già c’era, cioè il monologhista “caustico e cattivo”. Insomma, una sorta di autocertificazione di qualità e soprattutto “di novità”, semplicemente cambiando lingua nel definire ciò che già si faceva. Alcuni interventi hanno, indirettamente, chiarito come in Italia su questa faccenda, e per una distorsione esterofila, si sia creduto al tragico fraintendimento per cui i comici anglosassoni siano in qualche modo più “cattivi, politically uncorrect”, con “meno peli sulla lingua” e più “liberi dalla censura” rispetto agli italiani. Fraintendimento dovuto sia al fatto che di questi paesi si guardava solo ai “giganti” (se ci si volesse fare un’idea del livello di libertà dei comici italiani guardando soltanto a Fo, Guzzanti, Gaber… o Lundini, Maccio, Bergonzoni… o anche Benigni pre-Oscar, Grillo pre-politica o Luttazzi pre-plagio… be’, si avrebbe un’idea falsata sul panorama medio di tutti gli altri comici italiani meno celebri, che magari meno facilmente possono infrangere tabù o parlare di argomenti ostici), ma anche al fatto che lì all’estero, i tabù ci sono, eccome: semplicemente, sono diversi dai nostri. Altro fraintendimento: che in quel contesto anglosassone non si usino i giochi di parole, i puns (tradizione invece lì fiorentissima, quasi più che da noi); ma se si inizia a conoscere quel mondo solo dai video sottotitolati di Youtube, difficile che un appassionato inglese possa anche solo trovare un video di Bergonzoni, o uno italiano un video di Tim Vine. Insomma, si conferma l’idea che in Italia ci sia (stata?) nient’altro che la MisunderStand-up Comedy. Ma fortunatamente tutta la faccenda ha avuto anche esiti molto positivi: ad esempio, la rivitalizzazione della scena comica live nei locali, ma anche l’aver trasformato simbolicamente l’ideale “Università dei monologhisti in Tv” da “una facoltà a numero chiuso a una a numero aperto”.

Ma con ordine, in breve, gli interventi che più ho apprezzato alla Conferenza.

Parte il Professor Tristan Miller, che tratteggia la pazzoromanzesca figura di Reinhold Aman, fine linguista e pioniere mondiale dello studio del turpiloquio, e che fondò pure una rivista accademica, sull’argomento, Maledicta, per la quale finì anche in prigione (attualmente, ancora l’unica rivista a pubblicare studi esclusivamente su questo argomento). Una “passione” nata a seguito dei suoi studi filologici sul tedesco medievale, ma che verso la fine della sua vita lo aveva portato a vantarsi “di saper insultare in 200 lingue”.  Grande!

E poi? E poi basta, mi fermo perché lo spazio è finito ma soprattutto perché, della prima giornata, mi ricordo solo lui…

Alla prossima!

 

 

Che ne pensate? Per qualunque cosa vogliate dirmi riguardo ai miei articoli su questo Blog, dagli apprezzamenti, ai consigli, alle critiche fino agli insulti (questi ultimi però purchè formulati rigorosamente in lingue antiche), scrivete a: antonellotaurino1@gmail.com .

 

  • Antonello Taurino

    Docente, attore, comico, formatore: in confronto a lui, Don Chisciotte è uno pratico. Nato a Lecce, laurea in Lettere e diploma in Conservatorio, nel 2005 si trasferisce a Milano. Consegue il Diploma di attore nel Master triennale SAT 2005-2008 del M° J. Alschitz e partecipa a Zelig dal 2003 al 2019. Si esibisce anche inglese all’estero con il suo spettacolo di Stand-up, Comedian. Attualmente è in tournèe con i suoi spettacoli (non tutti la stessa sera): Miles Gloriosus (2011), Trovata una Sega! (2014), La Scuola non serve a nulla (2016) e Sono bravo con la lingua (2020). La mattina si diverte ancora tanto ad insegnare alle Medie. Non prende mai gli ascensori.

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    Trattandosi di un film horror si può raccontare poco. Ferine di Andrea Corsini si sviluppa intorno ad Irene, una donna che desidera una figlia ma nello stesso tempo è costretta a difendersi da chi la ostacola. In seguito a un incidente, la donna va in cerca di sangue per sopravvivere. Il tutto si svolge in un paesaggio vuoto e deprimente: “Cercavo una provincia in cui si respirasse solitudine e isolamento, come la villa di architettura brutalista e il centro commerciale esternamente vuoto. Il cemento da una parte e dall’altra le zone boschive, in cui si scatena l’aspetto selvaggio della storia”. Spiega Corsini, che nel film ha ricreato delle atmosfere che ogni tanto ricordano David Lynch, accompagnate dalla musica di Pino Donaggio: “È sempre stato il mio sogno, ma non avrei mai pensato di riuscirci. Non ho dovuto dirgli quasi niente per arrivare a questo risultato”. Un film prevalentemente femminile, con attrici internazionali che recitano in inglese e in cui gli uomini hanno soltanto parti in secondo piano. L'intervista di Barbara Sorrentini ad Andrea Corsini.

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