Approfondimenti

Avere vent’anni a Gaza

Gaza Strip, Khan Younis

Mi sento male, sono davvero molto triste per la vita che sto affrontando a Gaza. Essendo un ragazzo giovane, dovrei divertirmi, godermi la vita. Invece ogni giorno soffro per la situazione e per la mancanza d’acqua, di cibo, rifornimenti e altre attrezzature. La mia quotidianità è davvero deprimente. Non ho niente da fare. Non posso neppure uscire di casa, è troppo pericoloso.Potrei essere ferito o rischiare di essere ucciso dagli israeliani. Così resto a casa 24 ore su 24.

Quando parli con le persone della tua età, cosa pensate del vostro futuro? Cosa significa avere vent’anni oggi a Gaza?
Ricordo che, quando andavo a scuola, ero un po’ lo psicologo della classe, tutti mi raccontavano dei loro problemi e della difficoltà di vivere a Gaza. Direi che il 95% delle persone della mia età soffrono per la vita che siamo costretti a vivere qui. Nella mia scuola c’erano molti ragazzi e ragazze capaci e intelligenti, ai quali tuttavia era stata tolta la possibilità di coltivare i loro talenti. Vedere che le loro vite – così come la mia – ingiustamente, non potevano migliorare mi rendeva davvero triste. Il nostro presente, la nostra vita a Gaza, ci mette davanti a molte responsabilità. Prova a metterti nei miei panni. Immagina di avere 20 anni e una famiglia che non riesce a provvedere per te. Noi siamo costretti a lavorare eppure, pur lavorando otto o dieci ore al giorno, alla fine del mese, guadagniamo non più di 200 dollari. Una cifra troppo basta, che non copre alcun tipo di spesa. Vivere a Gaza è davvero orribile.

Guardando le generazioni passate e confrontandole con la tua, vedi delle differenze? Pensi che la tua generazione in futuro possa riuscire a cambiare un pochino la situazione?
Sì, rispetto alle passate generazioni, la nostra è senza dubbio più moderna e tecnologica. Siamo giovani. Tuttavia, siamo anche molto amareggiati. Desideriamo cambiare qualcosa, interrompere questa routine quotidiana, la stessa che si ripete ogni giorno. Vogliamo viaggiare, sentirci liberi. È questo il punto di rottura più forte con i nostri genitori: noi nutriamo una profonda passione per la vita, per questo vogliamo cambiare il presente. Nessuno di noi vuole rimanere ciò che siamo ora.

Come trascorri le tue giornate e in quale modo provi a cambiare la mentalità delle persone del tuo paese?
Resto a casa tutto il giorno, provando a imparare cose nuove. In effetti, non riesco ad andare dormire senza aver imparato qualcosa di nuovo. Molti miei amici sono annoiati dalla vita, depressi, mi ripetono: “Questa vita è terribile”, vogliamo uscire, socializzare. Io sto provando a mettere da parte un po’ di soldi per viaggiare, fare nuove esperienze e conoscere vite diverse.

Cosa sogni per il tuo futuro?
Il mio sogno, il mio sogno… Io voglio cambiare tutto a Gaza, a partire da me stesso. E poi la mia famiglia e tutti coloro che mi sono più vicini.

Che lavoro vorresti fare da grande?
Penso di poter essere uno streamer molto bravo, uno streamer di videogiochi, ma anche un fotografo, per mostrare al mondo la mia esperienza. Mi piacerebbe viaggiare per scattarefoto e girare video. Allo stesso tempo, però, fare lo streamer sarebbe più semplice all’estero, perché a Gaza ho sempre problemi con internet, continuamente. Ogni volta che voglio condividere qualche contenuto online, ho problemi. Questo mi uccide, perché è quello che mi piace fare, ma non posso.

Parlando degli eventi più recenti: cosa sta accadendo, com’è la situazione?
Continuano a bombardare, proprio ora, mentre parlo con te. Ho appena sentito le sirene d’allarme delle bombe. Israele continua a bombardare, ma la nostra resistenza spara. E’ un modo per dire che non abbiamo intenzione di arrenderci e non accettiamo di essere umiliati. La gente qui a Gaza è stanca, siamo pronti a sacrificare la nostra vita. Siamo 2 milioni, 2 milioni pronti a morire per poter vedere qualche cambiamento. Non abbiamo nemmeno una vita, per questo non ci interessa così tanto della nostra vita, ci interessa la vita delle prossime generazioni. Quindi la situazione ora è molto pericolosa e Israele continua a bombardare accanto a casa mia e in tante altre aree.

Hai paura?
No, non sono spaventato. Se la morte arriverà per me, l’accoglierò. Non ho paura, morirei per questa terra sono già morto e risorto più volte per questo paese.

Gaza ha celebrato la fine del Ramadan in silenzio e dentro le case, mentre fuori continuavano a cadere le bombe. Sara è una ragazza di 16 anni che vive a Gaza City.

Abbiamo cancellato tutte le feste e le celebrazioni perché non possiamo accettare l’idea di festeggiare, mangiare biscotti e seguire tutte le nostre tradizioni come facciamo ogni anno. Stiamo semplicemente insieme e ci diciamo quanto siamo importanti l’uno per l’altro. Niente di speciale quest’anno.In realtà non mi sembra nemmeno che sia festa, perché normalmente avremmo comprato dei vestiti speciali, prepareremmo dolcetti, andremmo a trovare amici e parenti. Ma ora non possiamo farlo. L’attacco dell’occupazione sta causando vittime tra civili e innocenti.

Non posso semplicemente camminare per strada rischiando che succeda anche a me. Io temo per la mia vita. Vedo continuamente cadaveri, praticamente tutti i giorni. Vedo sempre più ambulanze e sento le bombe, gli aerei sopra di noi, ci sparano addosso tutti i giorni da quando questa guerra è cominciata. La mia famiglia sta cercando di stare insieme così che se moriamo, almeno saremo insieme.

Foto | Un giovane palestinese sta in cima a un mucchio di auto distrutte a Khan Younis, una città palestinese con campo profughi nel sud della striscia di Gaza

  • Autore articolo
    Martina Stefanoni
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    In un libro le 15 immagini che raccontano l'Italia

    "Aprire lo sguardo" (Garzanti) è un libro in cui Alessandra Mauro ha scelto 15 immagini che compongono un “mosaico visuale” dell'Italia. In una selezione di grande forza evocativa, sfilano volti, luoghi e momenti: dall’arresto Benito Mussolini, immortalato da Adolfo Porry-Pastorel nel 1915, ai ritratti di Wanda Wulz, ai manicomi documentati da Gianni Berengo Gardin nel 1968, fino alla fotografia di moda di Ferdinando Scianna e allo studio del tessuto urbano di Gabriele Basilico. L'intervista di Tiziana Ricci a Alessandra Mauro.

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