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Nicolini: “Se chiudi una rotta se ne apre un’altra”

Chiudere la rotta migratoria dalla Libia all’Italia si può, si deve, ed è alla nostra portata”. Sembra non avere dubbi il presidente del Consiglio europeo Donald Tusk.

Come con la Turchia, l’Europa ripropone una scelta che, se realizzata, comporterà conseguenze umane, geopolitiche ed economiche. La chiusura della rotta balcanica era stata contestata duramente da diverse associazioni umanitarie.

Secondo Tusk “il flusso di migranti dalla Libia all’Europa non è sostenibile. L’Europa ha dimostrato di essere in grado di chiudere le rotte di migrazione illegale, come ha fatto nel Mediterraneo orientale. Ora è tempo di chiudere la rotta dalla Libia all’Italia, questo permetterà di salvare molte vite“.

Nel 2016 hanno attraversato il Canale di Sicilia 181mila migranti, la maggior parte diretti verso l’Italia . Il 90 per cento dei barconi è partito dalla Libia su una rotta che da inizio decennio ha visto morire in mare 13mila persone, bambini, donne, uomini.

La proposta di Tusk non piace a Giusi Nicolini, sindaca dell’isola di Lampedusa, avamposto della rotta libica e approdo per decine di migliaia di profughi. Piero Bosio l’ha intervistata.

“Tusk dovrebbe sapere – spiega la sindaca Nicolini – che se chiudi una rotta se ne apre un’altra. La rotta della Libia si è aperta dopo la conclusione dell’accordo con la Tunisia. Se si chiudesse la rotta libica, se ne aprirebbe una dall’Egitto, come già molti segnali lasciano intendere. Non è sicuramente questo il modo per risolvere i problemi”.

E quindi secondo lei quale potrebbe essere l’alternativa?

“La soluzione è governare i flussi migratori. Quella urgente, urgentissima, è garantire l’esercizio d’asilo prima che le persone che ne hanno diritto si mettano nelle mani della criminalità organizzata”.

In concreto?

“Attivare le agenzie europee dell’asilo lungo i Paesi di transito, lungo la rotta migratoria”.

Quindi, in sostanza, lei non condivide la presa di posizione di Tusk.

“Assolutamente no. Sono uscite, trovate di sapore propagandistico e populistico. Peraltro la storia di questi ultimi vent’anni dimostra che, anche quando si facevano gli accordi con Gheddafi, il flusso non si è mai arrestato. Anzi, mettevamo nelle mani di Gheddafi un’arma di ricatto e di destabilizzazione geopolitica pericolosissima per la nostra Europa”.

Lei dice questo, però Tusk dice che con la chiusura della rotta libica si salverebbero tantissime vite. Lei cosa risponde?

“Queste persone che rischiano la vita per averne una, cosa farebbero non potendo più partire? Resterebbero nelle prigioni libiche, nei campi di concentramento della Libia?”

 

Venerdì 3 febbraio la questione dei migranti sarà al centro del vertice europeo a Malta. L’Italia si attende dai leader europei aiuti concreti per affrontare la crisi nel Mediterraneo. Il blocco della rotta libica sarà uno dei temi al centro del incontro, con una promessa generica di Tusk: “Proporremo misure operative per rafforzare il nostro lavoro e gestire meglio le rotte migratorie”.

Intanto sia Tusk che il presidente del Consiglio Gentiloni hanno parlato a lungo con il premier libico Fayez al-Sarraj. Sarraj ha già messo le mani avanti chiedendo più soldi, più aiuti economici e appoggio in mare alle motovedette libiche.

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    Un anno di Trump (dopo i primi quattro dal 2016). Il 6 novembre 2024 il tycoon veniva rieletto alla Casa Bianca con una maggioranza risicata, poco più di 2 milioni di voti su 156 milioni di schede votate. In un anno Trump ha trasformato il declino di una superpotenza - gli Stati Uniti degli ultimi anni - in una forza aggressiva contro paesi e principi che erano stati amici dal dopoguerra ad oggi. Trump e il tramonto della relazione privilegiata americana con l’Europa; Trump e il tramonto delle garanzie democratiche dello stato di diritto. Nel primo anniversario del ritorno di Trump alla Casa Bianca è arrivata l’elezione del sindaco di New York Zohran Mamdani. Ecco un passaggio del suo discorso della vittoria: «la saggezza convenzionale direbbe che sono ben lontano dall’essere il candidato perfetto. Sono giovane, nonostante i miei sforzi per invecchiare. Sono musulmano. Sono un socialista democratico. E, cosa ancora più grave, mi rifiuto di chiedere scusa per tutto questo». Pubblica ha ospitato Ida Dominijanni, giornalista e saggista, fa parte del direttivo del Centro per la Riforma dello Stato. Ha insegnato filosofia politica e teoria femminista all’università di Roma Tre ed è stata ricercatrice alla Cornell University (NY).

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    A Belèm in Brasile lunedì si apre la Cop30 per il clima per cercare di tenere insieme la lotta al riscaldamento globale sotto i colpi del negazionismo di Trump e delle guerre; insieme alla Cop nella città amazzonica si riuniscono migliaia di rappresentanti di movimenti e organizzazioni sociali per elaborare proposte sulla crisi climatica, a partire da quelle relative all'Amazzonia e ai popoli che la abitano. Si chiama Cupola dos Povos ovvero "cupola dei Popoli", e non è la prima volta che si riunisce anzi, è una tradizione. Come ci racconta una delle leader del movimento indigeno brasiliano Sila Mesquita Apurina intervistata da Sara Milanese.

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