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Nord Iraq, con i civili in fuga dall’ISIS

La zona di Assan Sham, 30 chilometri a nord-est di Mosul, porta i segni di pesanti combattimenti. La cittadina di Assan Sham è completamente distrutta. Se si percorre la strada che attraversa il centro abitato, in un continuo sali scendi, si vedono solo crollate o bruciate. È rimasto i piedi solo qualche muro. Un paesaggio spettrale, nel quale non è possibile entrare. Nei posti di blocco che si incontrano prima di Assan Sham arrivando da Erbil i Peshmerga curdi invitano a non lasciare mai la strada asfaltata, ci sono ancora troppe mine.

Quando la strada si lascia alle spalle quello che rimane della cittadina di Assan Sham ci si imbatte in due grossi campi profughi, che si perdono all’orizzonte, risucchiati dal deserto che li circonda.

Il campo che prende il nome dalla città, il campo di Hassan Sham, è aperto da meno di un mese e ospita già 10mila persone, ma la gente continua ad arrivare. Nel tardo pomeriggio ci troviamo di fronte anche noi una colonna di pullman e camion militari. Sopra sono stipate centinaia di profughi. Fuori dai finestrini sono appesi grossi sacchi di vestiti, segno evidente di una fuga non organizzata. Sulla rete che chiude il campo la gente saluta i nuovi arrivati.

Nella città di Mosul ci sarebbe ancora più di un milione di persone. Il flusso di profughi non ha il ritmo previsto. Molti sono rimasti intrappolati nella battaglia che da settimane combattono miliziani dell’ISIS da una parte ed esercito iracheno, peshmerga curdi e milizie sciite dall’altra. Ma appena c’è la possibilità la gente scappa, come ha fatto negli anni scorsi. In tutto l’Iraq ci sono quasi tre milioni e mezzo di profughi interni.

La sabbia del deserto copre tutto il campo di Hassan Sham. Le tende bianche dell’Alto Commissariato Onu per i Rifugiati sono sopra dei terrapieni coperti di ghiaia, ma la sabbia e la terra sono ovunque. La gente cerca spazi di normalità. Un gruppo di uomini gioca a dama, un gruppo di donne cuoce del pane in un piccolo forno nero, i bambini corrono e s’inventano dei giochi. Ci sono servizi igienici comuni. Intorno ai punti di erogazione dell’acqua donne e ragazzine lavano i panni.

La gente di questo campo è uscita dal territorio dello Stato Islamico da pochi giorni. Molti sono ancora terrorizzati. Gli operatori di Terre des Hommes Italia, che gestisce il centro per bambini, ci hanno raccontato che i più piccoli hanno pianto per diversi giorni prima di farsi coinvolgere nelle attività ricreative. “Erano spaventati, non si fidavano di nessuno”.

 

Casa bruciata dall'ISIS nella cittadina di Hassan Sham
Casa bruciata dall’ISIS nella cittadina di Hassan Sham

Rasha, 13 anni, è arrivata qui due settimane fa con la famiglia. Madre, padre e tre fratelli. Vivono tutti in una tenda. In realtà ci sono famiglie molto più numerose. “Siamo scappati da Mosul, la situazione era insostenibile. In realtà lo è ancora oggi, ma in maniera diversa. Qui siamo al sicuro ma non siamo a casa nostra. Mi mancano gli amici e la parte della nostra famiglia rimasta a casa”.

I genitori di Rasha ci chiedono di non fare fotografie. Tutte le persone scappate dall’ISIS temono che le loro immagini vengano viste dai servizi di sicurezza dello Stato Islamico, che per rappresaglia potrebbero uccidere i loro parenti. Nel campo di Hassan Sham le televisioni non possono entrare. “Li capisco perfettamente – ci spiega un’educatrice di Terre des Hommes Italia – anche io sono scappata dall’ISIS. La mia città è nella provincia di Anbar, a pochissimi chilometri dal confine siriano. Proprio in questi ultimi giorni i miei amici che sono rimasti lì mi hanno raccontato che tutta la popolazione della città è stata spostata in massa in Siria, per evitare i bombardamenti della coalizione internazionale”.

L’unico momento di normalità è una partita di calcio in uno spiazzo di terra enorme, quasi il doppio di un campo di calcio. I ragazzi giocano a piedi nudi nonostante i sassi. La palla è sgonfia. Intorno centinaia di persone. Alcuni bambini hanno la maglietta del Real Madrid numero 7, quella di Cristiano Ronaldo. Anche loro lo hanno visto in televisione.

Fuori dal campo, su una collina, sono parcheggiate centinaia di macchine, ormai coperte di sabbia. Sono le auto con le quali alcune famiglie sono arrivate qua. Ma adesso è impossibile muoversi. Assan Sham è nel governatorato di Nineveh, quello di Mosul. Non siamo nel Kurdistan iracheno, ma il confine è molto vicino, e i Peshmerga curdi hanno ottenuto che gli arabi sunniti scappati dalle zone occidentali dell’Iraq rimangano all’interno dei campi profughi. La memoria della repressione contro i curdi da parte di Saddam Hussein, che proveniva proprio dalla comunità sunnita irachena, è ancora molto viva.

Chi abita nella zona a est di Mosul vuole tornare indietro, nella speranza che il territorio liberato da Peshmerga ed esercito iracheno sia sicuro. Ma nella parte occidentale, sulla sponda ovest del fiume Tigri, ci sono centinaia di migliaia di persone intrappolate. Forse molte di più. Potrebbero arrivare qui, ma questa distesa di sabbia non sarebbe sufficiente.

  • Autore articolo
    Emanuele Valenti
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    “L'abbiamo vista arrivare”. La tecnica dell’odio secondo chi la studia da anni

    L'uccisione negli Usa di Charlie Kirk rischia di innescare un incendio che travalica i confini americani. Da subito la destra “globale” ha lanciato in quasi in tutto l’occidente una campagna contro la sinistra – a tutte le latitudini e senza distinzioni - accusandola di essere complice se non responsabile di quella morte. È un passo in più, nel paradosso in cui siamo immersi: chi ha alimentato campagne di odio ora accusa gli altri di fomentarlo. Una confusione da cui sarebbe necessario uscire rimettendo in fila i fatti, le cause, gli effetti e il loro intreccio. L'intervista di Massimo Bacchetta a Federico Faloppa, docente di “linguaggio e discriminazione” all’Università di Reading (UK), prova a farlo. Federico Faloppa è anche referente scientifico per la “Rete per il contrasto ai discorsi e fenomeni d’odio”.

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    Le dita mozzate: un “very cold case” preistorico che indaga la sottomissione femminile

    Edizioni le Assassine pubblica e continuerà a pubblicare letteratura gialla nei suoi molteplici sottogeneri, proponendo e riscoprendo autrici del presente e del passato. L'obiettivo è quello di mettere in luce la capacità dello sguardo femminile di descrivere, decifrare e interpretare vari contesti sociali, senza mai sacrificare la suspense che è tipica di questo genere. Con gli stessi obiettivi, nasce ora la nuova collana Sisters, che apre a voci inedite in grado di creare storie appassionanti e memorabili, portando il lettore su sentieri narrativi inaspettati. Il primo titolo di Sisters è "Le dita mozzate" di Hannelore Cayre, un noir atipico in cui il nostro passato remoto diventa lo sfondo perfetto per indagare la nascita della sottomissione femminile e le sue origini, ambientato nella preistoria ispirandosi alla scoperta, avvenuta in Francia esattamente quarant'anni fa, della famosa Grotta Chauvet, con le sue pareti ricoperte di misteriose impronte di mani femminili mutilate. Ne ha parlato a Cult la traduttrice Simonetta Badioli.

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    Musica leggerissima di lunedì 15/09/2025

    a cura di Davide Facchini. Per le playlist: https://www.facebook.com/groups/406723886036915

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