
Mahmoud è laureato in Diplomazia e Relazioni Internazionali. Prima della guerra lavorava per il Ministero della Sanità e viveva nel nord di Gaza. Dal 7 ottobre 2023 lui e la sua famiglia si sono spostati cinque volte tra Gaza City, Rafah e Khan Younis. Ora si trovano a Gaza City, dove pagano un affitto mensile per il loro alloggio, un capannone di legno e teloni. Ma Mahmoud non ha mai dimenticato la sua casa nel nord della Striscia, quella che ha dovuto lasciarsi alle spalle un anno e mezzo fa.
“Cosa significa trasferirsi da un luogo all’altro? È l’apice del lutto e della sofferenza – racconta Mahmoud. L’apice del dolore. Immagina di lasciare la casa dove hai vissuto i tuoi sogni, dove hai vissuto l’infanzia dei tuoi figli e dove sono nati. La casa dove hai vissuto i tuoi ricordi più belli. Non ho mai dimenticato il giorno in cui l’ho lasciata. Sono uscito con le lacrime che scendevano. Mi sono chiesto se ci sarei mai tornato. Purtroppo, no. Lo spostamento da un posto all’altro – continua Mahmoud – è una storia di sofferenza, perché quando andiamo da un posto all’altro montiamo le tende, i bagni, facciamo il bucato, laviamo i piatti. Immagina di metterci quasi una settimana a sistemare le tende, il bagno dove lavarsi, la cucina. Per poi lasciare tutto e andare in un altro posto. Una storia di sofferenza che nessun essere umano può immaginare, tranne chi lo vive”.
L’ONU ha recentemente dichiarato che quattordicimila bambini potrebbero morire di fame. Mahmoud ha quattro figli. Mohammed, Osama, Sawsan e Leen. Il maggiore ha 15 anni, la più piccola solo 3. “Riesci a immaginare la profondità della sofferenza dei bambini quando vengono spostati da un posto all’altro? Quando piangono e sono spaventati? È una storia dell’orrore. I bambini non capiscono, non capiscono come gli adulti. Pensano solo a sé, a come mangiare e a cosa mangiare. Tutto quello a cui pensano è come giocare. Immaginate di essere sfollati e con quattro figli spaventati, che piangono e vogliono solo sopravvivere”.
In queste ore stanno aumentando le pressioni internazionali su Israele per il dramma umanitario a Gaza, soprattutto da parte dell’Europa. Ma non è chiaro se avranno un impatto sul governo di Netanyahu. “Naturalmente le persone che si aiutano sono molto poche, perché? Perché ognuno – spiega Mahmoud – si prende cura di sé. È un peso grande spostarsi da un posto all’altro. È una sofferenza grande. Non esiste nessuna persona che si adoperi per aiutare l’altro”.
Ormai ci siamo abituati a racconti e immagini di questo tipo. A Gaza temono che non a noi non facciano più alcuna impressione. “Penso che purtroppo la nostra storia non venga ascoltata. Viviamo una grande sofferenza – racconta ancora Mahmoud – e manca anche il cibo. Personalmente prima della guerra vivevo una vita dignitosa con i miei figli. Gli davo tutto ciò di cui avevano bisogno. Ora invece la situazione è molto brutta per tutti. Credo che le persone si siano abituate a vedere queste scene e ciò che mi dà la forza durante i periodi di sfollamento e di bombardamenti sono i miei figli. Ogni volta che li guardo mi dico che devo essere forte per loro. Immagina: ieri sera i bombardamenti sono continuati fino a quasi le tre del mattino. Mia figlia Sawsan si è svegliata piangendo molto forte per la paura. Io stesso dentro avevo paura, ma le dicevo “non avere paura figlia mia, sono con te, non avere paura, sono con te” In realtà sono terrorizzato, ma loro mi danno forza e io gli do forza. Viviamo per i nostri figli”.
di Marina Giulia Razza