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Donald Trump vuole chiudere il ministero dell’istruzione

Trump

Chiudere il Dipartimento all’Educazione. Non lo può fare. Ma lo dice. La promessa di chiudere il Dipartimento all’Educazione Donald Trump l’ha fatta più volte durante la campagna elettorale. Ora il presidente americano ha preparato uno dei suoi ordini esecutivi, chiedendo alla nuova segretaria all’educazione, Linda MacMahon, di prendere tutte le misure necessarie per smantellare il dipartimento, che Trump stesso ha più volte definito a big con job, un grande raggiro, una grande truffa. Il Dipartimento all’educazione è del resto da tempo nel mirino dei conservatori. Praticamente dalla sua nascita, nel 1979, ai tempi della presidenza di Jimmy Carter. Da subito, con Ronald Reagan, la destra americana cercò di cancellare quello che veniva sostanzialmente considerato un carrozzone inutile e costoso. La gran parte delle mansioni relative all’educazione vengono infatti, negli Stati Uniti, demandate agli Stati e ai distretti scolastici. Il dipartimento all’educazione, che con poco più di 4mila dipendenti è il più piccolo tra i ministeri americani, ha dunque competenze limitate. Sostanzialmente, prestiti studenteschi, finanziamento dei programmi per le minoranze e le persone disabili, rispetto delle politiche antidiscriminazione nelle scuole. Tutte cose che i repubblicani americani non hanno mai particolarmente amato, o che comunque vorrebbero veder messe in atto dagli stati, non da un’autorità centrale. Il desiderio di cancellare il dipartimento all’educazione è quindi antico, risala praticamente alla sua creazione. Solo che i presidenti repubblicani del passato, Reagan, i due Bush, hanno sempre saputo una cosa. Per eliminare il dipartimento all’educazione, ci vuole un voto del Congresso, in particolare un voto del Senato, con 60 senatori a favore del suo smantellamento. I repubblicani non hanno mai avuto questa maggioranza, e non l’hanno nemmeno oggi, perché al Senato ci sono 53 senatori repubblicani e, anche se votassero tutti a favore, cosa non certa, non ci sono sette democratici per la cancellazione del dipartimento all’educazione. Un presidente, semplicemente, non può eliminare un dipartimento senza il voto del Congresso. Difficile, impossibile, che Donald Trump e i suoi legali non lo sappiano. Ma lo fanno lo stesso. Del resto, Trump interpreta il suo ruolo nel modo più assoluto. La sua volontà è appunto totale. Le sue decisioni sono ordini, slegati da qualsiasi controllo o limite. Si sa già dove questa storia finirà. Lui dice: il dipartimento all’educazione non esiste più. I tribunali gli diranno. Non lo puoi fare. Da lì nascerà una battaglia legale, che metterà ulteriormente sotto stress le istituzioni. Che indebolirà ulteriormente il sistema di pesi e contrappesi. Quello che Donald Trump può comunque fare, mentre piccona la democrazia americana, è un’altra cosa. Licenziare quanti più dipendenti può dal dipartimento all’educazione. Sottrargli i fondi. In modo che, se proprio un dipartimento all’educazione deve esistere, in realtà sia un simulacro vuoto.

  • Autore articolo
    Roberto Festa
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    La legislatura in corso non è solo quella in cui si registra la longevità del governo Meloni e della sua presidenza del Consiglio. E’ anche la prima legislatura successiva alla modifica costituzionale che ha ridotto il numero di parlamentari. I deputati sono stati tagliati a 400 (rispetto ai 630) e i senatori a 200 (rispetto ai 315). E' servita a qualcosa la riduzione dei parlamentari? Le motivazioni della legge del 2019 (votata a stragrande maggioranza) parlavano di miglioramento dei lavori parlamentari e di risparmio nei costi del Parlamento (500 milioni su 4 miliardi di euro complessivi). Se n’è vista traccia? La campagna contro la “casta” che incentivò il taglio dei parlamentari ha inizio dodici anni prima della legge costituzionale. Prima con il libro di Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella “La Casta” (pubblicato nel maggio 2007), scritto dai due giornalisti del Corriere. Sulla copertina c’era scritto: così i “politici italiani sono diventati degli intoccabili”. E poi con il raduno di Grillo a Bologna, il V-day dell’8 settembre 2007, con 50 mila persone in piazza Maggiore. La reazione alla Casta fu poi l’anti-politica. Di questo Pubblica ha parlato con un giurista e costituzionalista, Francesco Pallante, dell’università di Torino; e con la storica Valentine Lomellini, dell’università di Padova.

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    Landini: “Manovra inadeguata: soldi alle armi anziché a salari, scuola, sanità. Rischio di deriva autoritaria”

    Il 25 ottobre la Cgil ha organizzato una manifestazione a Roma contro le politiche economiche del governo, il riarmo, per investimenti pubblici su scuola, salari, sanità. L’intervista del segretario Cgil Maurizio Landini a Radio Popolare. “La manovra è inadeguata: con le tasse più alte di lavoratori e pensionati si è ridotto il deficit per investire in armi anziché in spesa sociale. I profitti delle imprese sono ai massimi: servono aumenti contrattuali. In piazza per praticare la democrazia contro il rischio di deriva autoritaria”. Ascolta l'intervista a cura di Massimo Alberti.

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    Gaza divisa in due dalla linea gialla e la fretta di costruire qualcosa (mentre il Parlamento israeliano vota "l'annessione" della Cisgiordania, il commento di Maria Luisa Fantappiè responsabile del programma "Mediterraneo, Medioriente e Africa" dello IAI. È stata consigliere speciale per il Medio Oriente e Nord Africa al Centro per il Dialogo Umanitario di Ginevra e all’International Crisis Group (ICG) di Bruxelles. La vita nei territori occupati raccontata dai fotografi palestinesi sostenuti da un progetto dell'agenzia Prospekt Photographers raccontato dal suo direttore Samuele Pellecchia. Silvia Bartellini, vice presidente cooperativa Abitare, racconta lo shock degli abitanti dei caseggiati del quartiere dopo l'assassinio in strada di Luciana Ronchi da parte del marito: come contrastare? Alessandro Bianchi, direttore del consorzio forestale del Ticino, ci racconta perché è costoso e complesso tutelare i boschi e lancia un appello.

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