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G7, il Giappone sceglie Hiroshima per tentare di ridurre la minaccia di un’apocalisse atomica

G7 Hiroshima ANSA

Park Namjoo è una donna di 91 anni. Aveva 13 anni nel 1945, quando la bomba atomica lanciata dagli Stati Uniti ha colpito Hiroshima. Park è una degli hibakusha, che in giapponese significa “sopravvissuti alla bomba”. I suoi racconti di quel giorno sono impressionanti. “Era l’inferno sulla terra – ha raccontato – sembrava che il cielo stesse cercando di schiacciarci. La gente si lamentava del caldo e chiedeva l’acqua. E non appena la ricevevano, morivano. Tutte le case lungo la strada erano state appiattite. Mi sono fermata lungo il fiume a guardare la città: Hiroshima non esisteva più”.

Park Namjoo, insieme agli altri hibakusha, quasi 80 anni dopo la bomba atomica, lancia un appello ai leader che oggi iniziano il meeting dei G7 proprio ad Hiroshima: guardate quello che è stato qui e fate di tutto perché non succeda più.

Questa è la speranza con cui Fumio Kishida, il primo ministro giapponese, originario di Hiroshima, ha scelto questa città per il meeting, quella che i leader mondiali accettino di concordare quantomeno una tabella di marcia per riprendere i colloqui sul controllo delle armi nucleari.
A febbraio, infatti, la Russia si è ritirata dal trattato New Start del 2010, che pone limiti agli arsenali nucleari strategici dispiegati delle due maggiori potenze nucleari del mondo, Russia e Stati Uniti.

Il governo giapponese spera che “mostrando al mondo la forza della ripresa di Hiroshima, il Giappone riesca a sottolineare quanto è preziosa la pace”. La parola d’ordine di questo G7, invece, sarà guerra. Come proseguire con quella in Ucraina e come prevenire quella di Taiwan. Alcune indiscrezioni dicono che i leader del G7, nei prossimi giorni discuteranno una proposta per un vertice di pace in Ucraina nel tentativo di promuovere la proposta di Kiev per porre fine alla guerra della Russia. Ma per il momento non c’è niente di più concreto di questo.
La guerra, però, è ovunque, dall’europa, all’Africa, all’Asia ed è insieme causa e conseguenza di un altro problema di dimensioni planetarie: la fame.

Al vertice dei G7 dello scorso anno, in Germania, i leader avevano promesso di “non risparmiare sforzi per aumentare la sicurezza alimentare e nutrizionale globale” e per proteggere i più vulnerabili. È fondamentale che questo non passi in secondo piano durante il vertice di Hiroshima. Il World Food Programm, ha chiesto ai leder di rispettate le promesse fatte con urgenza.
Secondo i dati comunicati dall’agenzia dell’Onu, circa 345 milioni di persone stanno attualmente vivendo alti livelli di insicurezza alimentare con un aumento di quasi 200 milioni dall’inizio del 2020. Di questi, 43 milioni sono a un passo dalla carestia. In più, in Afghanistan, Bangladesh e Palestina il WFP è stato recentemente costretto a tagliare le razioni di cibo per mancanza di fondi e si prospettano altri tagli in Somalia e Ciad.

Le crisi di Haiti, del Sudan e del Sahel non fanno che peggiorare l’emergenza e la guerra in Ucraina – ormai da più di un anno – ha ridotto notevolmente le esportazioni di grano e fertilizzanti. Lo stesso accordo sui porti del mar nero, che è appena stato rinnovato di altri due mesi e preoccupantemente fragile. Proprio oggi il ministero degli esteri russo ha fatto sapere che non acconsentirà a un’ulteriore estensione dell’accordo se non verranno rispettati gli impegni presi in un memorandum allegato tra Moca e l’Onu che prevede tra l’altro la rimozione dell’export di fertilizzanti e cibo russi dalla lista delle sanzioni.

La fame e la minaccia atomica sono due facce della stessa medaglia, due nubi scure che non possono e non devono essere ignorate. Hiroshima è un monito vivente di fino a dove può arrivare la forza distruttrice della guerra e di quanto è importante la pace per poter ricostruire. La fame, invece è una bomba già esplosa, che fa già milioni di vittime ogni anno. E questo, i leader del G7, non possono ignorarlo.

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    Martina Stefanoni
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